Il blog di Luigi Accattoli Posts

–         Che porti, un regalo?
–         Ho comprato il muschio per il presepio: una cassetta 15 euro.
–         Costoso!
–         Beh, costa quanto un mazzo di fiori.
–         Ma il muschio cresce spontaneo…
–         Però bisogna raccoglierlo. A me il muschio piace più dei fiorie e dura anche di più.
–         Perché non vai a raccoglierlo nel bosco, al Soratte o al Terminillo?
–         Faccio il presepe in casa da sempre, prima lo raccoglievo nei campi, con un’uscita il fine settimana, ma adesso non ho tempo e lo compro.
–         Non ti sa di falso a comprarlo?
–         No, anzi dal fioraio lo trovo migliore di quello che saprei cercare io.

“Sarò felice solo quando morirò e potrò ritrovare mio figlio”: così Salvatore Piscitello, graziato il 5 dicembre dal presidente Napolitano. Uccise con un colpo di pistola nel 2003 il figlio Sergio autistico, sordomuto, violento, che aveva assistito per 39 anni.

“Buongiorno principessa… se solo mi aprissi il tuo cuore ti darei il mondo…”: scritto sul marciapiede davanti a un portone di via Carlo Alberto a Roma.

– Quello stesso giorno siamo andati dal notaio per aprire il testamento della bisnonna americana.
– Che cosa avete ereditato? 
– Niente! E non solo non ci abbiamo guadagnato, ma abbiamo pure scoperto che siamo ebrei!
– Non lo sapevate proprio?
– Non se ne sapeva nulla. Non proprio ebrei ebrei, ma ebrei per un sesto, vai a capire. Il notaio ha detto che vale solo per le donne.
– Forse ha detto che è attraverso le donne che si trasmette l’appartenenza alla comunità ebraica…
– Sì, ha detto così, ma io capivo poco perchè parlava lento lento e veloce veloce.
– Sei contenta di essere per un sesto ebrea?
– Ci devo pensare. E’ a tutta la storia che devo ancora pensare. Non capisco come faceva la nonna a essere ebrea e a non saperlo.
– La mamma che dice?
– Non l’ha presa bene. La prendevamo sempre in giro dicendole che era una “mamma ebrea”, da quando avevamo visto Moni Ovadia in televisione e a lei non importava. Ma ora che sa di essere ebrea quella battuta non le piace per niente.
(Conversazione ascoltata in treno tra una ragazzina di terza media e un accompagnatore)

Dicevo al post precedente della malia di Istanbul e che ero contento di averla vista. Aggiungo oggi l’emozione delle moschee costruite sul modulo di Santa Sofia e l’altra forte impressione di quella parte del mondo musulmano chiamata Turchia che ha cercato di avvicinarsi – come ha potuto – all’Occidente. Penso a questi vasti mondi e mi chiedo se abbia senso un’Unione europea senza Costantinopoli. Da Costantinopoli vengono Bucarest e Belgrado, Sofia e Kiev: ci saranno un giorno – in Europa – queste figlie e non la madre? E se non ci saranno nè le figlie nè la madre, avremo un’Europa a una sola dimensione, quella latino-germanica? Essa – come diceva papa Wojtyla – non dovrebbe tornare a respirare con ambedue i polmoni? – Forse Istanbul è più di quanto vorremmo, ma di Costantinopoli non possiamo fare a meno e Costantinopoli è dentro Istanbul! Questo è un dilemma – io credo – che il cardinale Ratzinger e papa Benedetto hanno discusso fittamente tra loro, tra l’estate del 2004 e l’autunno del 2006.

Non ero mai stato a Istanbul, ma l’avevo sempre sognata. Avevo letto anni addietro un bel saggio su Costantinopoli “capitale cristiana” e poi, in più stagioni, storici bizantini e cronache arabe e crociate, racconti di assedi e saccheggi. In preparazione all’incontro con la città che congiunge Europa e Asia mi ero deliziato con il volume Istanbul del premio Nobel Orhan Pamuk, che è due volte bello perchè pieno di foto. Avevo dunque molte immagini della metropoli, ma non la sua veduta. Ci ho dormito due notti e non ho avuto il tempo di visitare granchè ma sono andato avanti e indietro, di giorno e di notte, per le grandi vie che la percorrono lungo le due rive del Bosforo. Me la sono vista intorno e sentita addosso, l’interminabile città che si alza sui colli e si avvalla, chiude e apre orizzonti su se stessa, dispendiosa e maliosa squaderna spettacoli del tutto nuovi a ogni svolta della strada o della riva. La stessa sorpresa agli occhi e all’anima mi era venuta dal primo contatto con Gerusalemme e con Rio de Janeiro, città delle quali pure avevo tante vedute, mitiche e fotografiche e cinematografiche, ma non la veduta che le tiene unite. Per Gerusalemme l’ebbi – quell’immagine viva – salendo sul Monte degli Olivi, per Rio e Istanbul attraversandole. Sono contento di quanto ho visto.

Ero giovedì tra gli ospiti dello speciale di Porta a porta da Istanbul, trasmesso dalla cabina di comando di una nave traghetto ancorata alla riva del Bosforo, in vicinanza del ponte Galata. La scelta era dovuta al desiderio di ambientare la conversazione nel gorgo di luci di quell’incredibile città posta a cavallo di due continenti e capitale di imperi, per più secoli rispetto a ogni altra. L’ultima mia partecipazione a una puntata di Porta a Porta risaliva al 10 marzo del 2000, una serata da Gerusalemme, in occasione del pellegrinaggio giubilare di papa Wojtyla. Allora le riprese avvenivano dal terrazzo di un albergo che dava sulle mura di Solimano. Ta gli ospiti di ieri sera c’era il cardinale Bertone, che era stato accompagnato all’appuntamento da due uomini della vigilanza vaticana e dal padre Lombardi. Sono restato colpito dalla valutazione entusiasta che i due davano delle giornate passate da papa Benedetto in Turchia. Trovavano buona la copertura televisiva, incoraggianti i commenti degli editorialisti, utili i contatti che avevano avuto con le autorità: “Meglio di così non poteva andare”. Il cardinale aveva promesso a Bruno Vespa di restare “solo per dieci minuti” e invece si è trattenuto per l’intera trasmissione. Devono aver avuto davvero un grande timore in Vaticano, se così grande è il loro gradimento per l’accaduto.

Sono ancora a Istanbul – ripartiamo per Roma alle 13 – scrivo con una tastiera che non controllo per dire che papa Benedetto ieri ha onorato l Islam che prega; come farebbe ognuno di noi che venga a trovarsi con un musulmano che durante la visita a una moschea si metta in preghiera – cosi’ ha mostrato ai veri musulmani che non e’ un crociato e non disprezza la loro fede. Non mi aspettavo che visitasse una moschea e non mi aspettavo quel minuto di raccoglimento ma sono contento che vi siano stati. Sono mutamenti che capitano a chi gira il mondo e ovviamente per primi agli apostoli – chiamati a farsi giudei con i giude. pagani con i pagani, ismaeliti con i figli di Ismaele.

Un saluto da un luogo straordinario: la “Collina dell’usignolo”, a picco sul Mare Egeo, a quattro chilometri da Efeso, dove si trova il santuario di Meryem Ana Evì (Casa della Madre Maria). Vi si venera una casetta che si dice abitata da Maria, venuta qui con l’apostolo Giovanni. Il papa sta celebrando in italiano e si fanno preghiere in ogni lingua, compreso il turco. In turco il papa ha salutato la piccola folla, dove sono anche dei musulmani, che pure onorano Maria “madre del profeta Gesù”. C’è sole sugli ulivi e davvero cantavano gli usignoli prima che iniziasse il suono dell’organo. Scrivo questo saluto seduto su un gradino della scala di accesso al santuario, contando mentalmente la gran quantità di militari appostati su ogni balza della collina. Mi godo il bel momento e dico tra me che certamente oggi non sarei andato in campagna se non fossi venuto qui.

Immaginavo di trovare il tempo per raccontare qualche aspetto sorprendente della giornata del papa ad Ankara, ma non l’ho avuto. Riesco a scrivere due righe solo ora che qui è quasi mezzanotte. Ci siamo alzati stamane alle 5 e domani la sveglia è alla stessa ora. Dunque solo un saluto e un’istantanea dall’aereo, con papa Benedetto impegnatissimo a spiegare a noi giornalisti la portata simbolica di questo viaggio. in tre giorni si può fare “ben poco”, ma si può affermare un ‘simbolismo’, sia in ordine al dialogo e alla pace, sia verso l’unità delle chiese. Per la prima volta tutti siamo rimasti al nostro posto, egli aveva un microfono e non c’era bisogno di accalcarsi per sentirlo. I fotografi erano davanti per poterlo riprendere, noi ‘redattori’ dietro a sentire. Ricordo papa Wojtyla assaltato dai giornalisti, proprio mentre veniva in Turchia, nel 1979, che restò sconcertato per la ressa indegna che gli facevamo intorno e se ne andò senza lasciare spazio alla consueta conversazione, adirato: ‘Chiedete sempre democrazia, e poi vi comportate così’.