Il blog di Luigi Accattoli Posts

Già ieri durante la premiazione e poi oggi per e-mail mi è arrivata da più parti la domanda: perchè tocca ai puri di cuore cogliere il bene mescolato al male? Di quale risorsa dispongono per “vedere” nel buio di questa straordinaria stagione di nuove prove e di nuovi doni dello Spirito? La risposta è nelle parole di Gesù con la quale egli formula in Matteo 5 la sesta delle nove beatitudini: “Beati i puri di cuore perchè vedranno Dio” (Matteo 4,8). Scorgere lo Spirito del Signore che opera il bene nel mezzo di questa tribolazione è vedere Dio; ed è la parola di Gesù a dirci che questo è il dono riservato ai puri di cuore.

“Commovente la testimonianza di Luigi Accattoli: per raccontare il bene ci vogliono cuore puro e sguardo limpido»: con questo titoletto il comunicato della cerimonia di premiazione del concorso giornalistico “Natale Ucsi 2020” – che si è svolta stamane a Verona – introduce le parole del mio ringraziamento, che riporto nel primo commento.

Qui si può vedere la registrazione video della premiazione.

Domani sabato 19 dicembre – con incontro da remoto in partenza da Verona – mi verrà dato alle ore 11.00 il premio “Natale UCSI 2020” denominato “Giornalismo e Società”, con riferimento alla mia indagine sulle “Storie di pandemia”. Nei commenti l’annuncio della vigilia, il programma dell’evento, il link per collegarsi.

Terzo giorno di cura a domicilio. Ho la prescrizione delle medicine da prendere e delle misurazioni da effettuare, prescrizione dettagliata nella “relazione clinica” che dall’ospedale hanno inviato al “medico curante”, cioè al mio medico di famiglia. Ho la bombola dell’ossigeno per eventuali crisi respiratorie, ma per fortuna fino a oggi non si sono profilate. I parametri sono in ordine, la ginnastica respiratoria pare mi venga bene. Approfitto di questa giornata calma per narrare – nel primo commento – un gesto d’affetto che mi è venuto una notte, quand’ero nel dramma, da un’infermiera giovanissima.

Tutti gli anni in questa data qualche testata mi chiedeva di fare gli auguri al Papa che compiva gli anni. Erano auguri argomentati, entravano nel merito del suo governo della Chiesa. Quest’anno glieli faccio più semplici, a nome – se ha senso – dei compagni di camera che ho avuto in ospedale: ero l’unico che aveva il computer e abbiamo seguito, tutti, le dirette papali dei diciassette giorni che sono stato lì. Tutti eravamo felici di ascoltarlo. Nessuno era sconcertato dalle sue parole su Maria, sulla preghiera, sulla conversione, sui novissimi: parole sue che abitualmente tanto turbano gli intellettuali. Gli mando questo saluto a nome dei più poveri tra i poveri: i poveri di respiro, che sono vicinissimi ai poveri di spirito. Nei commenti metto le due risposte di un’intervista che ho dato ieri a una testata che non nomino [perchè non è ancora pubblicata] sul ruolo di Francesco nella pandemia.

Mi è stato chiesto per una nuova intervista come vivo la tribolazione di questi giorni e ho risposto che l’attraverso con tremore e fiducia. Tremore per quanto può capitare, fiducia nelle mani alle quali mi affido. Nella settimana più dura della mia ospedalizzazione, quella a cavallo tra novembre e dicembre, avevo perso il fiato e la voce, non riuscivo a bere, la ventilazione dell’ossigeno mi teneva in una specie di delirio permanente. Ho immaginato che stesse arrivando la mia ora. Nei commenti dico come si manifestava quel vaneggiamento, che aveva un lato penoso e uno di commedia. Come in ogni giorno dell’uomo sulla terra, anche lì c’era da piangere e c’era da ridere.

Oggi pomeriggio mi hanno dimesso dall’ospedale San Giovanni dov’ero ricoverato dal 29 novembre per polmonite da Covid 19: mi hanno dimesso con la prescrizione della cura a domicilio da condurre sotto la responsabilità del medico di base. Avevo già fatto dieci giorni di cura domestica a partire dal 19 novembre, data di scoperta della positività; ai quali sono seguiti sedici giorni di ospedale, che saranno ora completati da un paio di settimane – forse – di seconda fase domestica. In totale – se tutto andrà bene – una quarantina di giorni di duello ravvicinato con la Bestia. Pare che io l’abbia mezzo scampata, ma pare anche che il rischio corso sia stato forte. Di più al momento non oso interpretare. Mi hanno portato a casa in ambulanza perchè sono ancora positivo, ma dovrei riuscire a respirare e camminare senza apporto esterno di ossigeno. Una bombola è accanto al comodino, se tornasse a mancarmi il fiato. La notte che sto per imboccare sarà la prima che proverò ad attraversare senza indossare la maschera dell’ossigeno e dunque anche la prima, dopo le ultime sedici, in cui non dovrò sopportare la compagnia del leggero delirio che soffia dalla maschera.

“Lasci la mascherina dell’ossigeno e si muova senza, poi la rimetta e poi di nuovo la tolga. Faccia la ginnastica respiratoria senza l’apporto esterno dell’ossigeno e controlli come e quanto le riesce”: ho passato la giornata a svolgere questi stupidi esercizi, come si esprimeva una fisioterapista che mi recuperò una spalla. Oggi i parametri sono restati stabili. Gli esercizi sono andati bene: lo dico io che sono bravino a interpretare le profezie a mio favore. Ed era la Domenica Gaudete. E’ venuto il padre camilliano con l’Eucarestia e qui l’abbiamo avuta in due. Unito al mio Signore sono ora unito a tutti.

“Se le assicurazioni strumentali che abbiamo oggi – in particolare quella dell’emogas – troveranno conferma domani e dopodomani, lei per noi sarà in grado di muoversi senza il supporto costante dell’ossigeno e potrà tornare alla cura a domicilio che già faceva prima del ricovero”: così i dottori del mattino. Mi hanno suggerito un’alternanza giudiziosa: per un’ora uso la maschera dell’ossigeno, alla seguente la tolgo. Ne sono poco convinto, mi avverto ancora soffiante, ma eseguo con il solito garbo questo esercizio. – Approfitto per dire che la gentilezza, l’attenzione, la premura, la competenza del personale sono straordinarie. Medici, infermieri, operatori sanitari sono impagabili. Generalmente giovani e giovanissimi, elemento di fiducia per il domani. In questo Reparto Covid ci sono stati quattro morti tra i dipendenti: hanno dato la vita per le persone di cui si prendevano cura, come il pastore per le pecore. Quando ero venuto qui al San Giovanni per una conferenza sull’accompagnamento del malato, l’11 febbraio scorso, Giornata del malato, avevo sostenuto che il popolo degli ospedali è il portatore oggi in Italia del nostro migliore umanesimo. Allora la pandemia pareva lontana. Amo ripetere quelle parole da un letto dell’ospedale che me le aveva suggerite.