Parabola di Federica figlia unica ma sola

C’era una figlia unica di tre anni e mezzo di nome Federica che chiedeva alla mamma: perchè io sono sola? – Sola? rispondeva la mamma: no, tu non sei sola, con te ci sono i tuoi genitori e per loro sei unica come una principessa. – Uffa mamma, replicava Federica: che me ne importa di essere unica se sono sola?

6 Comments

  1. Gioab

    Federica che benché piccola conosceva le scritture meglio della mamma. Aveva letto :
    “Ecco, i figli sono un’eredità da Geova;
    Il frutto del ventre è una ricompensa.
    Come frecce nella mano di un uomo potente,
    Così sono i figli della giovinezza.
    Felice è l’uomo robusto che ne ha riempito la sua faretra.
    Essi non proveranno vergogna,
    Poiché parleranno con i nemici alla porta.”
    ( Salmi 127.3-4)

    Era il suo modo per far meditare la mamma che se voleva essere ricompensata doveva farne altri di figli.
    Anche perchè Federica si era stancata di giocare da sola e voleva qualcuno che giocasse con lei. Ma potrebbe anche essere che il suo senso materno era già così sviluppato che avrebbe voluto avere l’occasione di fare pratica ad accudire i poppanti per quando avrebbe avuto figli tutti suoi.

    28 Maggio, 2011 - 10:11
  2. Marilisa

    Che bella e tenera l’osservazione di Federica!Può essere assimilabile alla situazione in cui si trovano molti adulti soli,che spesso sentono dire,senza esserne confortati,che ognuno di noi è “unico”per Dio.Unicità e solitudine sono cose diverse.La solitudine pesa,a meno che non ci siano patologie che inducano all’isolamento.Si ha necessità del parlare con chi ti ascolta guardandoti negli occhi e dimostrando un’attenzione vera.Quando si sente dire che non siamo soli perché c’è sempre Dio con noi-e nelle chiese questa frase risuona spesso-la consolazione è minima.Dio è puro spirito e la sua voce il più delle volte non la si sente,anche quando lo si invoca con disperazione.Noi abbiamo un corpo con degli organi che,quasi tutti,sono fatti per la relazione,per il contatto con gli altri,e quando questi “altri”vengono a mancare,avvertiamo,appunto,la sofferenza della solitudine.
    I bambini,che sono più indifesi,cercano spontaneamente la compagnia dei loro coetanei.La trovano nelle scuole materne e nei compagni di giochi,ma quando tornano a casa si ritrovano “soli” se sono figli unici.Ecco perché chiedono ai genitori il dono di un “fratellino”,ma spesso mamme e papà,ai giorni nostri,non li accontentano perché spaventati dalle troppe responsabilità a cui il mondo d’oggi li mette di fronte,senza prospettive di aiuto.E non di rado quei bambini oggi soli,lo saranno ancora di più domani quando verranno a mancare coloro che hanno dato loro la vita.

    28 Maggio, 2011 - 10:22
  3. nico

    Discepolo, hai letto “Il nome della rosa”?

    Perchè a volte il tono dei tuoi post mi ricorda Jorge da Burgos…

    28 Maggio, 2011 - 13:05
  4. Stavo per scrivervi la mia testimonianza di figlia unica e sola, avrei voluto spiegare come e quanto si soffre in questa condizione anche essendo “principesse” per i genitori, – specie in momenti come questo che sto attraversando di grande dolore dovuto ad un accadimento personalissimo, – avrei voluto confidarmi, mettere nero su bianco le lacerazioni che accadono ai figli unici – magari per esorcizzare un po’ di sofferenza nell’illusione che qualcuno possa comprendere e dirti una parola buona, stavo cercando le parole giuste……….ma poi, arriva discepolo – come al solito – e mi ricorda perchè non frequento più ed evito di parlare ancora in questo spazio.
    Con tutto il rispetto e le scuse per lo sfogo personale.
    Passo e chiudo.

    28 Maggio, 2011 - 19:56
  5. Marilisa

    Vorrei spezzare una lancia a favore di dicepolo che forse è stata fraintesa.Innanzi tutto ha rimandato alla lettura di un articolo,sulla Stampa, a firma Elena Lowenthal sui due casi recenti di piccoli bimbi morti,da soli,in auto mentre i genitori erano affaccendati a tal punto da dimenticarsi(?)dei loro figli.Nell’articolo non vedo riprovazione netta,piuttosto una sorta di incredulità,che è la stessa di tutti, per una dimenticanza che sembra assurda.Viene rimarcato che i figli riempiono la vita totalmente,per cui è difficile dimenticarli.Ma viene anche riconosciuto che lo stress,la difficoltà di tirare avanti e il non avere quasi più tempo di ragionare possono essere complici di tali tragedie.E i padri sono innocenti colpevoli,vittime loro stessi di una tragedia più grande di loro,di cui porteranno il peso per tutta la vita.
    Poi discepolo sembra stigmatizzare l’usanza,invalsa ormai da tanto tempo,di applaudire,all’uscita dalla chiesa,le bare dei bambini,in particolar modo di quelli la cui morte è stata drammatica.Ma non credo che volesse criticare drasticamente una sorta di fasulla messinscena.Mi permetto di dire che ciò non farebbe onore alla sua intelligenza.
    Cara discepolo,gli applausi vogliono dimostrare la pietà e la solidarietà della gente,e sono mescolati a preghiere e lacrime.Sono l’ultimo abbraccio del popolo alle piccole vittime immaturamente e spesso drammaticamente ghermite dalla morte,che se è sempre inaccettabile,lo è ancora di più per un bambino che non ha avuto modo di assaporare la vita.L’applauso,se ci fai caso,nasce spontaneo,non è artificioso. Forse è anche un modo per ricordare a noi stessi che chi non è più fra noi,in realtà non ci ha lasciato davvero,è ancora vivo seppure in modo diverso,nella luce di Dio.Ricordo che da bambina,parecchi anni fa,presi parte al funerale di un bimbo precipitato da un fabbricato abbandonato,e nello strazio indicibile della madre,vennero distribuiti confetti e caramelle a tutti i bambini presenti,quasi si trattasse di una festa.E anche allora vi fu un abbraccio della folla a quella madre colpita da una tragedia così grande,e applausi spontanei all’uscita della piccola bara dalla casa.
    E,a farci caso, gli applausi irrompono spontanei anche nell’ulimo saluto a personaggi famosi,giovani e vecchi,che ci sono stati compagni nella vita,anche se virtualmente,e dei quali si ricordano le opere e gli aspetti positivi più che quelli negativi.Ormai è una consuetudine di fronte alla quale è inutile storcere il naso.Facciamo parte di un’unica famiglia e certi atteggiamenti e modi di fare possono,anzi devono,essere accettati senza provare fastidio.Basta rifletterci un po’.

    28 Maggio, 2011 - 23:32

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