Quarta visita alla Trinità dei pellegrini

Sono tornato a messa alla Trinità dei Pellegrini – la parrocchia personale romana dedicata alla forma straordinaria del rito romano – e di nuovo mi sono trovato bene, o forse meglio delle altre volte (vedi post del 15 e 17 giugno, 27 luglio 2008), magari perché sto imparando ad apprezzare il grande silenzio del canone, l’ottimo canto gregoriano, il rigore biblico e liturgico dell’omelia. I partecipanti non sono aumentati: stamane erano una settantina come il luglio scorso. Uno ha scattato una foto con il telefonino ai celebranti in processione. Quello che raccoglieva le offerte aveva un cagnetto in una borsa a tracolla. Un paio spiegavano tutto alle donne che erano con loro, forse non credenti. Il prete è sempre quello. Inalterato il suo scrupolo di non fare battaglie di sorta con l’omelia. Ha commentato il Vangelo – che era quello del Buon Pastore, in Giovanni 10 – con altri passi biblici e con altri passaggi della liturgia di oggi, senza dire nulla delle pecore e dei pastori dei nostri giorni. Ho già lodato il prete lefebvriano ascoltato a metà marzo nella Cappella di Santa Caterina, sempre a Roma (vedi post del 15 marzo), per il fatto che predicò senza neanche citare lo tsunami mediatico che allora investiva la Fraternità San Pio X. Ecco io sogno questo: che anche i celebranti della nuova liturgia imparino a staccare la loro parola dai fatti correnti. Il celebrante parla di Dio, non dei referendum, dei motu proprio e del preservativo.

53 Comments

  1. marta09

    Ehi, Luigi, ma dove vivi? Che Roma è?
    Io non ho mai sentito nessun prete parlare di referendum, motu proprio o preservativi … ma siamo matti!!!
    Ho sentito stupidate solenni sul Vangelo, ma sempre Vangelo era.
    Spero non mi capiti mai di sentire un’omelia che parla di queste cose, altrimenti garantisco che mi alzo ed esco da chiesa, l’ho già fatto una volta e posso farlo anche la seconda.
    Mah!
    Scusa Luigi ma è un post parecchio strano e per tante cose. (Il buon pastore????)
    Ho la vaga impressione che tu ti stia prendendo gioco di noi!

    26 Aprile, 2009 - 23:57
  2. Ehi, Marta, ma dove vivi? 🙂

    Non credo che tu viva sulla luna…

    Mi accade tanto qui a Roma, tanto se vado in qualche cittadina di Abruzzo (dove vado spesso), che qualche omelia sia calata dalle testate giornalistiche sulla testa dei partecipanti alla s. Messa.
    Tante volte alla fine di una omelia mi domando che cosa mi abbia detto il celebrante di Gesù, oltre ad aver fatto una omiletica di testata o di morale…

    Approfitto per ricordare del pessimo vizio che hanno molti celebranti nell’omelia del noi “maiestatico”, mai che ci parli della sua esperienza sulla Parola attinente…, parla sempre al plurale “noi”.

    Ormai ho capito che quando parla con il “NOI”, non ha nulla da dire in più dalla normale “Lectio” che mi faccio io.

    Spesso penso che dell’omelia se ne potrebbe fare a meno, 2 minuti di silenzio dopo le letture sacre sono spesso migliori, ognuno cerca la personale risonanza sulla parola.

    Per fortuna che l’omelia è soltanto un momento di tutta la messa, anche se talvolta quei venti minuti son proprio pesanti.
    Comunque, l’omelia è pesante quando non viene preparata e non basata su una personale ruminatio della Parola.

    Farrei un torto a non ricordare i tanti ottimi sacerdoti, che si preparano con coscienza a trasmettere ai partecipanti una riflessione profonda della Parola, con una bella spiritualità che ha sorgente biblica, ma capace di analizzare il presente della vita che viviamo e capace di porre interrogativi alle coscienze.
    Qualcuno di loro ce ne offre anche un bell’esempio attraverso il web, nuova frontiera.

    27 Aprile, 2009 - 1:07
  3. marta09

    Beh! Devo dire che sono fortunata, allora!!!
    Di chiese ne giro proprio tante, di omelie ne ho sentite parecchie e ne sento ancora, ma di così basse davvero non è ho mai sentite. O meglio, una sola volta mi è capitato e – come ho detto – sono uscita e poi – al termine sono rientrata.

    Ma forse – tutto sommato – sono delle mostruosità ancora accettabili, perchè quelle che non tollero davvero sono quelle che travisano in pieno il Vangelo, travisano in pieno Dio e pure gli uomini.
    Ma anche l’omelia dovrebbe essere . per una serie di Verità che non sto qui ad elencare – Parola di Dio. Insomma dovrebbe essere la parola di uomo al servizio della Parola di Dio.

    Se devo essere onesta, è la parte della Messa che attendo di più, perchè lì si gioca tutto, lì è la prima incarnazione e lì è il vero comdando di Gesù agli Apostoli.
    La cosa straordinaria (ma questo l’ho scoperto dopo quella volta che sono uscita da chiesa) è che se si riesce a spostarsi dalla rabbia e polemica, ci si accorge che per quante stupidate vengono dette in fase omiletica, in qualche modo le stesse stupidate rivelano – per contrario – cose ed indicazioni insospettate. (ah! è qui che – come @moralista diceva – poi possono scoppiare le “risse” con certi preti).
    Sempre per contrario, poi, mi sono accorta che quando mi irrigisco su certe omelie, tutta l’attenzione viene come “calamitata” dalla celebrazione e – ma pensa te – si sentono meglio le preghiere della Chiesa, i prefazi, i canoni e persino le benezioni!!

    Qualcuno scherzando mi diceva che ero una specie di somellier delle omelie. La cosa mi faceva proprio ridere, ma ribadivo che ogni persona presente, per Grazia di Dio, era ed è un somellier delle omelie.

    E per i 2 minuti di silenzio … mah! … sicuramente i cristiani più avanzati ne potrebbero fare buon uso, ma per il resto …. Per il resto (e su questo sono certissima perchè molte persone me l’hanno confidato vergognandosi non poco) si ha bisogno che qualcuno “tenga fermo il pensiero” … non scordiamoci che la predicazione è carità e pure quella divina visto che Gesù è stato mandato per dire al mondo Chi è Dio.

    Ci sarebbe, poi, la parte più importante dell’effetto omiletico: NON SI DEVE ESAURIRE DENTRO LA CELEBRAZIONE (con un “bella”, interessante ecc.), ma dovrebbe iniziare a “germogliare” appena usciti dalla chiesa.

    Acc …. 🙁 un altro predicozzo!

    27 Aprile, 2009 - 7:23
  4. LA MENSA DI PROPAGANDA DEL MARESCIALLO “CARLUN”
    La verità sul perché, la mattina del 10 agosto 1944, quindici antifascisti detenuti a San Vittore (Andrea Esposito, maglierista; Domenico Fiorano, industriale; Umberto Fogagnolo, ingegnere; Giulio Casiraghi, tiratore di gomena; Salvatore Principato, insegnante; Renzo Del Riccio, operaio; Libero Temolo, operaio; Vittorio Gasparini, dottore in legge; Giovanni Galimberti, impiegato; Egidio Mastrodomenico, impiegato; Antonio Bravin, commerciante; Giovanni Colletti, meccanico; Vitale Vertemarchi, Andrea Ragni e Eraldo Pancini) furono condannati a morte assieme ai loro compagni Eugenio Esposito, Guido Busti, Isidoro Milani, Mario Folini, Paolo Radaelli, Ottavio Rapetti, Giovanni Re, Francesco Castelli, Rodolfo Del Vecchio, Giovanni Ferrario e Giuditta Muzzolon è tutt’altra.
    Perché, mentre Giuditta Muzzolon veniva graziata e per gli altri dieci la pena di morte veniva commutata in “condanna in penitenziario, qualora non si verifichino atti di sabotaggio”, i primi quindici furono portati in piazzale Loreto e fucilati? Per un innocuo botto dimostrativo senza vittime ai danni di un autocarro tedesco?
    No. Il sangue del 10 agosto 1944 era stato provocato da altro sangue sparso 48 ore prima precisamente alle 7,30 dell’8 agosto, al margine della stessa piazza (angolo viale Abruzzi-Loreto) quando una bomba “gappista” (GAP Gruppi di Azione Patriottica, organizzazione terroristica del Partito comunista italiano) era esplosa tra la folla compiendo una strage che era costata la vita a cinque soldati tedeschi e tredici civili italiani fra i quali una donna e tre bambini, rispettivamente di tredici, dodici e cinque anni.
    Ecco i nomi dei civili italiani che morirono sul colpo nell’attentato gappista o nei giorni successivi, tutti per “ferite multiple da scoppio di ordigno esplosivo”: Giuseppe Giudici, 59 anni; Enrico Masnata, Gianfranco Moro, 21 anni; Giuseppe Zanicotti, 27 anni; Amelia Berlese, 49 anni; Ettore Brambilla, 46 anni; Primo Brioschi, 12 anni; Antonio Beltramini, 55 anni; Fino Re, 32 anni; Edoardo Zanini, 30 anni; Gianstefano Zatti, 5 anni; Gianfranco Bargigli, 13 anni; Giovanni Maggioli, di 16 anni.
    Rimasero inoltre feriti più o meno gravemente: Giorgio Terrana, Letizia Busia, Luigi Catoldi, Maria Ferrari, Ferruccio De Ponti, Luigi Signorini, Alvaro Clerici, Emilio Bodinella, Antonio Moro, Francesco Echinuli, Giuseppe Formora, Gaetano Sperola e Riccardo Milanesi.
    Dei cinque soldati tedeschi uccisi, i cui nomi non furono annotati nei registri civili italiani, è rimasta memoria solo di un maresciallo di nome Karl, che per la sua mole era stato soprannominato dai milanesi di Porta Venezia “El Carlùn” (il Carlone). Quel nomignolo che Karl, maresciallo di fureria, se l’era guadagnato fermandosi ogni mattina, all’angolo fra viale Abruzzi e piazzale Loreto, con i suoi camions per distribuire alla popolazione verdura, patate e frutta che la “Staffen – Propaganda” acquistava al mercato di Porta Vittoria, aggiungeva agli avanzi delle mense militari e regalava ai milanesi, tutti, a quell’epoca, dannatamente a corto di viveri. Un’operazione di “public relations”, si direbbe oggi, intrapresa dalle Forze Armate tedesche nei confronti dei civili e che, dati i tempi di fame, aveva riscosso un successo immediato. Troppo, per la sensibilità antifascista della “GAP” di Milano, comandata da Giovanni Pesce, detto “Visone”, tutt’oggi vivente e quindi in grado di ricostruire nei dettagli l’azione che venne decisa e attuata per spezzare il feeling alimentare promosso dalla Wermacht con i milanesi.

    UNA ININTERROTTA CACCIA ALL’UOMO
    Il risultato fu che la mattina dell’8 agosto 1944, i terroristi del Partito comunista si mescolarono alla piccola folla che si accalcava come di consueto davanti alle ceste del “Carlùn” e infilarono in una di queste la bomba ad alto potenziale che, poco dopo, avrebbe seminato la strage indiscriminata: 18 morti e 13 feriti, quasi tutti poveracci milanesi.
    Diciotto morti e tredici feriti innocenti, tutti assolutamente dimenticati, abrogati, cancellati dalla memoria storica, politica e giudiziaria italiana. Come se fossero indegni di ricordo, di pietà, di giustizia. Li ha dimenticati Giovanni Pesce detto “Visoni”, “medaglia d’oro al valor partigiano”, il quale nei libri da lui scritti sulla sua militanza gappista non ha mai raccontato questa azione che pure non è di poco conto (18 morti e 13 feriti in un colpo solo e senza subire perdite rappresentano un risultato ragguardevole); li ha ignorati, a quel che sembra, il procuratore militare Pier Paolo Rivello riaprendo il caso Saevecke; li ignorano L’Unità, l’Ulivo e Rifondazione comunista nelle loro rievocazioni e mozioni; li ignora persino l’amministrazione comunale di Milano (di centro-destra) che avalla senza fiatare la mutilazione della verità storica, con l’abituale viltà, sul suo periodico d’informazione e nei suoi atti politici.
    E se, ancora dopo 53 anni, tutti ignorano (o vogliono ignorare), perfino nella sua tragica essenzialità, la strage gappista indissolubilmente legata alla fucilazione del 10 agosto 1944, figuriamoci se qualcuno ricorda ciò che accadde fra il massacro e la rappresaglia. Eppure, in quelle ore disperate, mentre la gestione dei rapporti fra militari tedeschi e popolazione passava dalle “public relations” della Staffen-Propaganda e del defunto maresciallo Karl, alla Gestapo del capitano Saevecke, si impegnò un braccio di ferro durissimo fra le autorità fasciste, contrarie alla ritorsione, e i militari tedeschi inferociti che non volevano sentire ragione.
    Si oppose il prefetto Piero Parini, che arrivò a minacciare le dimissioni; si oppose il federale Vincenzo Costa; si oppose Mussolini, intervenendo direttamente sul maresciallo Kesselring e su Hitler. La prova è, tra l’altro, negli atti del processo politico subito nel dopoguerra da Vincenzo Costa il quale, nel suo diario (“Ultimo federale”, Il Mulino, 1997) ricorda: “Alle 14 (del 9 agosto, ndr) mi trovavo nell’ufficio dei capo della provincia quando arrivò una nuova telefonata del duce; abbassato il ricevitore, Parini mi permise di ascoltare la voce inconfondibile del capo. Tra l’altro egli disse: “il maresciallo Kesserling ha le sue valide ragioni; ogni giorno nel Nord soldati o ufficiali tedeschi vengono proditoriamente assassinati… Ha deciso di attuare la rappresaglia. Ma sono riuscito a ridurre a dieci le vittime… Ho interessato il Fhurer: spero ancora””.
    Proprio mentre le autorità fasciste e i militari tedeschi si contendevano le vite degli ostaggi appese a un filo, i gappisti milanesi colpirono di nuovo. Anche questo è stato dimenticato. Alle 13 del 9 agosto 1944 un terrorista in bicicletta, armato di pistola, fulminò con un colpo alla nuca, davanti alla porta di casa, in via Juvara 3, il capitano della Milizia Ferroviaria, Marcello Mariani, sposato con quattro figli. Mentre l’uomo agonizzava nel suo sangue, un secondo gappista, di copertura, ferì a revolverate Luigi Leoni, della brigata nera “Aldo Resega”, che era sopraggiunto e si era gettato all’inseguimento del primo. L’uccisione di Mariani fu il fatto che decise la sorte dei quindici sventurati rinchiusi a San Vittore. Fra l’ottobre 1943 e il novembre 1944 i gappisti milanesi uccisero 103 fascisti in agguati come quello di via Juvara. Il fondatore della “Ia GAP”, Egisto Rubini, catturato a Sesto San Giovanni alla fine di febbraio 1944, si suicidò nel carcere di San Vittore nel marzo successivo per non tradire i suoi compagni sotto tortura. “Medaglia d’oro alla memoria”. di Paolo Pisanò

    27 Aprile, 2009 - 8:04
  5. discepolo

    Cara Marta. anch’io a Milano ho fatto molte esperienze come quelle
    di Luigi e anch’io spero sempre , quando mi accingo ad ascoltare con molta buona volontà l’omelia, che il sacerdote parli di quaacosa che abbia a che vedere con l Eterno e non solo con il contingente,con lo Spirito e non solo i col mondo , ma
    devo dire che quasi sempre rimango deluso.Sui fatti del giorno e sul mondo siamo già bombardati di informazioni, nozioni, interpretazioni, politiche sociologiche psicologiche ..noi vorremmo sentire una parola “diversa”
    dal sacerdote, che ci spieghi il Vangelo e le letture del giorno, certo, ma
    magari faccia trasparire dalle sue parole un soffio di spiritualità. di eternità. dii una dimensione che vada “oltre” il qui e ora e si colleghi alle radici
    eterne del Tutto.
    quando dico “noi” dico il popolo dei laici che va alla Messa la domenica
    e che , per quanto sembriamo distratti superficiali e abitudinari, se
    ci andiamo è perchè siamo assetati d’Infinito, di vita vera.
    “Tu solo hai parole che danno la vita”

    27 Aprile, 2009 - 9:03
  6. discepolo

    caro Matteo
    sì credo anch’io che una pausa di silenzio dopo il Vangelo per far risuonare dentro l’animo la parole di Dio sarebbe salutare per noi tutti,
    però credo anche che il sacerdote abbia un po’ come dire il dovere professionale di dire qualche parola, qualche parola sentita , semplice
    direi affettuosa verso i suoi parrocchiani..
    un po’ come noi medici che stiamo a sentire gli sfoghi dei nostri pazienti
    (con molta pazienza.. )ma poi ci rendiamo conto che dobbiamo dire qualcosa
    e che questo qualcosa per essere utile, , salutare , non devono essere vuote formule ma qualcosa di sentito che viene dal nostro intimo,dalla nostra
    Esperienza , solo allora si vede che il paziente se ne va sollevato, in qualche modo pacificato…
    ecco noi vorremmo che il sacerdote ci dicesse qualcosa della sua esperienza
    di Dio…

    27 Aprile, 2009 - 9:13
  7. Nino

    Caro Luigi,
    come Marta, anch’io sono propenso a pensare ad un gioco, ma se così non fosse avrei difficoltà a capire questo tuo ritornare ciclicamente sul levebvrismo.
    Dal racconto, forse mi sbaglio, colgo l’aspetto giornalistico della tua riflessione, una sorta di recensione di uno spettacolo attraverso la descrizione dei personaggi da scenografie felliniane “Uno ha scattato una foto con il telefonino ai celebranti in processione. Quello che raccoglieva le offerte aveva un cagnetto in una borsa a tracolla. Uno spettacolo.
    Ed un atteggiamento da “visitatore” : “Il prete è sempre quello. Inalterato il suo scrupolo di non fare battaglie di sorta con l’omelia”.
    Non capisco poi la critica verso i non levebvriani che ammannirebbero omelie fatte a colpi di copia-incolla da internet per non dire di peggio.
    Io penso che anche tra i preti, come nella società civile, vi siano persone serie, preparate, scrupolose e all’altezza del loro missione ed altre che non lo siano, tutto qui.
    Ed un prete della fraternità di san Pio X non fa differenza, vi sono quelli “seri” e quelli che faranno omelie sgangherate, e purtroppo anche quelli che farfugliano il negazionismo e non riconoscono il Vaticano II, questo mi pare oggi, il dato più rilevante da segnalare e che almeno per me fa la differenza.

    27 Aprile, 2009 - 9:26
  8. marta09

    Senti un po’ @discepolo … a parte che sei uno spettacolo di medico (ma questo te l’ho già detto), guarda che io abito a Monza e spesso sono in quel di Milano per le Messe e – a parte la parrocchia del mio ex parroco dove vado a colpo sicuro sulla qualità omiletica – per il resto, davvero, rarissime volte ho avuto l’impressione di “omelie sgangherate e non pertinenti con Dio”.

    Ma hai detto una cosa essenziale (che io non ho scritto): comunicare la propria esperienza di Dio che, detto chiaramente, non significa di certo “solo” spiritualità, ma qualcosa di vissuto, qualcosa che ha a che fare con la quotidianità e la vita. Non so è come entrare con la pila luminosissina in mano in una stanza buia buia.
    Quando càpitano queste omelie avverto e vedo la gente “alzare la testa” e puntare gli occhi: si accorgono tutti (anche i più distratti) che c’è una parola diversa.

    O… magari sono solo io che avverto queste cose e magari sbaglio anche … ma per esperienza spesso ho visto gente disorientata uscire dalla chiesa con “una nuova bussola” in mano.

    Ciao ciao

    27 Aprile, 2009 - 10:07
  9. Luigi Accattoli

    Marta non scherzo no! La riforma di Paolo VI ha modificato sia il calendario, sia il lezionario e dunque capita che la stessa domenica non si legga lo stesso Vangelo. Quella di ieri nel messale di Paolo VI è la “Domenica III di Pasqua”, mentre secondo il messale del 1962 è la “II Domenica dopo Pasqua”. Introitus: “Misericordia Domini plena est terra” dal Salmo 32. Epistola dalla Prima lettera di Pietro: “Carissimi, Christus passus est pro nobis”. Evangelium da Giovanni 10: “Dixit Iesus pharisaeis: Ego sum pastor bonus”.

    27 Aprile, 2009 - 10:28
  10. Sulla cronaca dell’eucaristia, penso anche io che Luigi voglia provocare, o meglio ancora che lui stesso voglia lasciarsi provocare da dei fratelli (o dei cugini se preferite…) che credono come noi in Gesù Cristo e vivono con sincerità (più o meno come tutti gli altri…) la partecipazione all’eucaristia, senza necessariamente avere un problema polemico (d’altra parte quando io celebro messa non penso affatto ai Lefebvriani..). Lasciarsi provocare, mettersi in discussione mi sembra sempre un fatto intelligente e (non solo per l’omelia) le celebrazioni liturgiche a volte sono penose per la generale trascuratezza o la “creativa confusione” che a volte prendono il sopravvento..! Detto questo, auguro a tutti di cercare e trovarsi una comunità di riferimento dove poter condividere per quanto possibile non solo una liturgia ben celebrata, capace di trasmettere il senso dell’Eterno, magari con una predicazione seria, blblica, spirituale e non disincarnata, ma anche un’appartenenza reale ad un contesto umano ed ecclesiale. Temo che troppo spesso ci si debba (anche per oggettive difficoltà) limitare ad una pratica che non sia la condivisione del mistero di Cristo con altri fratelli…e questo mi sembra che depotenzi il senso della Comunione…Certo questo significa che colui che presiede l’eucaristia debba essere anche capace di presiedere nella comunità in genere, favorendo appunto la comunione tra i suoi membri proprio a partire dalla condivisione dellla parola e del pane.
    Ecco, mi chiedo come vengano vissute queste dinamiche in un contesto lefebvriano, a volte ho l’impressione che si cerchi solo “una messa”, ma potrebbe non bastare… (ma su questo ne so poco, quindi la smetto subito!!).

    Buona giornata a tutti!

    27 Aprile, 2009 - 10:38
  11. Gerry

    @marta09
    Nel tuo primo post ti meravigli (con vari punti interrogativi!) del fatto che Luigi abbia indicato il vangelo del Buon Pastore. Io sono molto meno titolato a rispondere rispetto sia a Luigi che a tanti, ma il fatto è che per ieri – seconda domenica dopo Pasqua (26 aprile) – il brano evangelico era proprio quello del Buon Pastore (Giovanni 10, 11-16), come previsto nel Messale del 1962 di Giovanni XXIII.
    Io, come un po’ tutti, ho ovviamente ascoltato in parrocchia il vangelo previsto per la forma ordinaria in questo anno liturgico (Luca 24, 35-48), del resto la mia esperienza di messe con il rito di S. Pio V è molto scarsa, come una volta ho accennato (traendo beneficio dalla mia esperienza, ma ciò è possibile solo con un approccio “laico”). Mi sono un po’ documentato in materia e – tra l’altro – il fatto che i testi delle letture siano diversi non è, secondo me, una cosa positiva.
    Quanto alle omelie consentitemi un appunto, forse a causa del fatto che quelle della mia parrocchia (ma anche nella generalità della mia esperienza) sono aderenti alla messa e senza particolari incursioni in altri campi. Talvolta è però necessario attualizzare, perché se è vero che l’uomo e i suoi problemi sono gli stessi, la società cambia e occorre tenerne conto, facendo la Chiesa sempre contemporanea della storia che vive.

    27 Aprile, 2009 - 10:46
  12. discepolo

    cara marta,
    non sono io che ho parlato di di omelie sgangherate
    e non pertinenti con Dio, la frase è di Nino.
    no, assolutamente non” sgangherate”, la mia esperienza è che siano povere dal punto di vista spirituale, magari corrette, intelligenti, morali, colte, pertinenti, moderne,spiritose ,profonde, insomma tutto ,ma non comunichino un’esperienza religiosa.
    in ogni caso anch’io ogni tanto vedo” alzare la testa ” quando risuona una parola
    diversa …ma cosè questa “diversità” ? difficile a dirsi…il risuonare di una nota
    “vera”? al di là dei concetti, l’apparire di un Idea (con la maiuscola come
    in Platone) ? non saprei dirlo. ma anch’io vedo la gente alzare la testa….
    abiti a Monza?
    Ottimo, ci vediamo per un drink? :-):-) (scherzo, naturalmente)

    27 Aprile, 2009 - 10:48
  13. sull’omelia, poche parole. Mi va bene (anzi, issimo) che non si parli come al Tg o come a un comizio, di qualsiasi parte sia (argh!).
    Ma che si parli di quello che Dio/Gesù dice all’uomo oggi, in tutte le sue dimensioni… e anche lo spirito del tempo deve essere conosciuto per “spezzare” della Parola.

    Una “Parola incarnata” come mi pare dicesse don Mario.

    27 Aprile, 2009 - 10:59
  14. Luigi Accattoli

    Nino capita ai post – io credo – quello che Marziale (I, 16) diceva degli epigrammi: alcuni vengono buoni, altri mediocri, altri brutti. Bona, mediocria, mala. Questo sarà venuto male.

    27 Aprile, 2009 - 11:04
  15. Nino

    Il tema dell’omelia non è nuovo in questo blog.
    E’ un punto dolente che tutti sentiamo e giustamente segnaliamo come disagio.
    Come già dissi tempo fa, quando mi capita di ascoltare un fuori tema o peggio un improvvisazione, al termine della Messa vado in sacrestia e ne discuto con il celebrante e qui cadono le braccia.
    Alcuni negano l’improvvisazione o il fuori tema, altri trovano banalissime scuse.
    I pochi che hanno il coraggio di ammettere, trovano difficoltà a spiegarne la ragione e che faranno più attenzione.

    Nel tempo, mi è capitato di parlarne con vescovi e anche qui diversi gli orientamenti: cambia chiesa, a Roma ne hai tante; si è vero lo sappiamo e cerchiamo di aiutare come possiamo; anche voi laici avete delle responsabilità quando non lo fate presente al sacerdote;
    Che dire, sull’argomento sono stati scritti libri in quantità industriale ma il fenomeno resta e forse è ormai patologico.
    Ma quello che più m’indigna sono le omelie in occasione di funerali o matrimoni, quasi sempre uguali, scontate e banalissime.
    Qui accade spesso di vedere gente, in genere non praticanti, che per la noia escono dalla chiesa mentre proprio per questi un’omelia di senso potrebbe rappresentare un momento forte di catechesi e di riflessione personale e forse un ritorno.

    27 Aprile, 2009 - 11:05
  16. no no, a me sembra uscito bene! Il racconto un po’ felliniano mi piace!

    27 Aprile, 2009 - 11:06
  17. marta09

    Sì, abito a Monza … anche 2 di drink … in questo periodo poi sono proprio “sotto tortura” di medici/chirurgi ecc. ecc.
    Tutti amici con una dose enorme di comicità … quando mi operano (alle mia povera bocca) ci si piega in due dalle risate! E non scherzo … è proprio così!
    Pensa te che medici mi vado a beccare e me li faccio pure amici!

    Wow! moralista visto che sei giornalista (o così mi è parso di capire) perchè non ci fai vedere un tuo “movimento” scritto su queste due parole “PAROLA INCARNATA” ??? 😉

    A tutti … un pensiero per don Marco/maioba … chissà come starà “sbarellando”!!!

    27 Aprile, 2009 - 11:12
  18. guarda marta09 che prima di me è stato don Mario a suggerire l’espressione… chiedi a lui! 🙂

    27 Aprile, 2009 - 11:45
  19. marta09

    Guarda moralistaSimone che lo so … ma lo chiedo a te da laico … chiederlo ad un don è troppo ovvio!!! 😀 😛

    Parlare del Vangelo o della Parola di Dio non è un’esclusiva dei preti dato che il Vangelo è stato scritto per ognuno e ad ognuno è stato dato lo stesso incarico. Ovvio che per i preti è “particolare”, ma anche noi da laici dovremmo parlare e dire le nostre “esperienze” di Parola Incarnata e non rinchiuderle nel nostro pensiero e stop!!!

    E poi, se non parliamo, come caspita facciamo a sapere se seguiamo il Dio giusto …

    Ok … ed ora mi aspetto un “tapiro” dai don!!! 🙁

    27 Aprile, 2009 - 12:01
  20. cara marta09… ho capito… mi vuoi mettere in mezzo…

    27 Aprile, 2009 - 12:10
  21. marta09

    yes sir!!!! 😀
    ce la puoi fare!!!

    27 Aprile, 2009 - 12:13
  22. Nino

    Luigi, guarda che il tuo post è uscito benissimo anche se non ne condivido le conclusioni.
    L’aggettivo “felliniano” (avevo sempre sognato da grande, di fare l’aggettivo; ebbe a dire) voleva rendere l’immagine che mi avevi trasmesso, efficace e con una valenza positiva.
    Fellini e il suo cinema i suoi disegni e la sua arte sono per me il massimo.
    Dei suoi lavori e degli scritti che lo riguardano ho praticamente tutto.
    Pensa che all’epoca feci di tutto per fare la comparsa nel film “la dolce vita” in cui riuscii a partecipare nella scena della festa nel castello Odescalchi a Bassano Romano.
    E non mi vergogno di dirti che mantengo gelosamente una sua dedica autografa.
    Ciao.

    27 Aprile, 2009 - 12:33
  23. Cherubino

    mi sembra che ciò che ci unisce tutti è il desiderio di una omiletica fatta bene, spirituale e possibilmente legata alle letture della Messa…
    aggiungo una considerazione: gli esperti di omiletica dicono che essa non è la lectio, non è un commento biblico. E’ ciò che, secondo il sacerdote che dovrebbe essersi messo in “ascolto”, ciò che lo Spirito dice a questa Chiesa particolare. Un pò come quelle parole che troviamo nel libro dell’Apocalisse rivolte alle sette Chiese. In questo senso la Scrittura sviluppa tutto il suo potenziale presente, non come documento del passato, o come stimolo alla meditazione personale, ma vera parola profetica ieri come oggi. Tra Scrittura e omelia si stabilisce un completamento, in un unico atto profetico sull’oggi e sul domani della Chiesa e, di conseguenza del mondo in cui essa è.
    Per questo non è tanto il riferimento a “referendum” ecc. ecc. che guasta, ma il modo in cui di essi si parla, nel caso il pulpito si riduca a strumento di propaganda o di sociologismo (o psicologismo) spicciolo.
    Una delle più grandi omelie, ad esempio, mai sentite credo sia quella di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi: le sue parole agli uomini della mafia, il suo “un giorno ci sarà il Giudizio di Dio” sono una sintesi mirabile di Scrittura e attualità. Possano oggi più spesso i sacerdoti annunciare insieme la misericordia e la tenerezza di Dio e il suo giudizio su questo mondo che calpesta i piccoli. La Scrittura non è mai stata un libro di spiritualità intimistico, ma racconto dell’incarnazione di Dio nella storia, quindi anche storia di denuncia e liberazione, di umanizzazione piena in vista di ciò che non passa.

    27 Aprile, 2009 - 12:46
  24. marta09

    Cherubino (che nome!! una garanzia)
    Questo desiderio è autentica fame che “dolcemente” tormenta tutti (e meno male!!!).
    Ma insisto che come “risorti nel Battesimo” anche noi dovremmo essere in grado di portare la Parola.

    Ma non lasciamoci prendere dalla tentazione di “ascoltarla” solamente … anche se è vero che l’omelia dovrebbe essere uno “spezzettare” il Pane della Parola e renderlo adatto ai nostri dentini da lattanti/adulti. 😀

    27 Aprile, 2009 - 12:57
  25. discepolo

    Esperienza di “parola incarnata”

    quando un bimbo di 9-10 mesi dice la sua prima parola
    rivolta alla madre che è in genere “ma-ma” ma può essere anche “pa-pa”
    o “da -da”, allora in quelle sillabe c’è tutta la meravigliosa scoperta di un mondo…
    ovviamente non vorrei che un sacerdote balbettasse dal pulpito come un infante,
    ma semplicemente che parlasse di Dio con l’emozione con cui si parla di un essere amato…..

    27 Aprile, 2009 - 13:00
  26. lazzaro

    Premessa: ho una fifa blu di dire una cavolata, ma, se si rivelerà tale, faccio appello alla vostra clemenza.
    Faccio riferimento all’orgomento del precedente post sui “movimenti” e alle loro non rare chiusura e autoreferenzialità. Cito anche quanto scritto da don Mario circa la necessità “che colui che presiede l’eucaristia debba essere anche capace di presiedere nella comunità in genere, favorendo appunto la comunione tra i suoi membri proprio a partire dalla condivisione dellla parola e del pane”. Cosa che non sempre succede, essendo il più delle volte la vita parrocchiale, se si escludono quelli che aiutano il Parroco o sono a lui più vicini, limitata, per la quasi totalità dei parrocchiani praticanti, alla partecipazione alla Messa e alla somministrazione dei Sacramenti.
    Può darsi che quanto da me affermato non sia vero per molti che qui scrivono e che mi sembra siano parte attiva di comunità vivaci. Ma io parto dall’esperienza della mia “parrocchia del cuore” che è in Abruzzo, alla quale mi sento legato più che alla parrocchia “ufficiale” qui al nord (a proposito di Abruzzo, da abruzzese desidero ringraziare quanti hanno qui manifestato la loro vicinanza ai terremotati. Io il 6 aprile e successivi ero giù, abbastanza lontano dall’epicentro per non essere toccato dalla catastrofe, ma sufficientemente vicino per sentire tremare tutto e sentirmi niente in mezzo a tanta tremenda forza della natura). Dicevo della “parrocchia del cuore” in Abruzzo. Si estende in un territorio i cui abitanti sono circa 600. Il parroco, che è titolare di un’altra parrocchia molto più popolosa, si limita a celebrarvi la messa la domenica e nelle altre feste. Vita parrocchiale: zero virgola.
    Ora la mia idea (o cavolata di cui sopra con conseguente fifa blu) è che per situazioni come quella da me descritta (ma ardisco dire anche per realtà parrocchiali “più normali”) sia quella di creare una “Comunione parrocchiale di cristiani comuni”. Cosa vuol dire? Vuol dire realizzare una rete di parrocchiani a maglie larghe (con una minima struttura, cioè) ma sufficientemente resistenti da durare nel tempo, aperta a tutti, che non prevede assolutamente la necessità di “consacrarsi” (nella mia parrocchia del nord opera un’associazione i cui consacrati pronunciano sette voti), dove il matrimonio sia considerato nel suo fascino umano e cristiano (penso a Matteo), dove il Parroco sia l’unico referente e quindi non vi siano altri leader di sorta, dove non ci siano catechesi particolari ma si segua l’insegnamento della Chiesa con la libertà dei figlio di Dio. Insomma una “comunione-comunità” che si senta tale anche fuori il perimetro della chiesa e si ricordi di esserlo nel corso della giornata (la mia proposta del Padre Nostro a mezzogiorno rientrava in questo contesto).
    Certo la cosa andrebbe approfondita, ma già ho abusato di molto spazio e del tempo di chi ha vuto la bontà di leggermi.
    Ma mi preme chierdervi: è una cavolata quello che ho scritto, ho scoperto l’acqua calda? In altre parrocchia è già im atto un’esorienza del genere? Se sì, con quali risultati? Cosa mi suggerite? Di limitarmi solo a leggere in questo blog, come in genere faccio?
    Grazie a chi vorrà dedicarmi un po’ di attenzione.

    27 Aprile, 2009 - 13:09
  27. Cherubino

    certamente Marta, sono d’accordo, siamo tutti “cristofori” per grazia di Dio (da soli potremmo ben poco). Poi ognuno riceve doni per il bene comune (carismi) che sono tutti espressione di quell’unica parola di misericordia e di salvezza. Quello che sottolineavo -senza escludere il resto- è che la stessa Parola biblica è pienamente incarnata nella storia, anzi la illumina e la trasforma anche dal punto di vista culturale, sociale, politico… la teologia della liberazione ha avuto i suoi eccessi e i suoi errori anche dottrinali, ma una cosa giusta la diceva: è al concreto uomo in tutte le sue dimensioni, anche materiali e sociali, che si rivolge la Buona Notizia. Perchè il male ha molti volti e se ha un origine spirituale (il peccato originale e il Maligno) ha effetti sia spirituali che materiali. Se diciamo “sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra” allora parlare anche della terra è pienamente legittimo, anzi doveroso. Perchè il Padre è santificato dalla realizzazione della fraternità e questa non si può dire vera finchè non coinvolge anche le cose della terra. S. Giacomo scriveva (è Sacra Scrittura anche questa): “Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, che giova?”. Eil discorso si può rovesciare: come non vedere i segni dell’attività dello Spirito Santo in tanti eventi storici ? Come non vedere la mano protettrice di Maria, come lo stesso Giovanni Paolo II descrisse riguardo al suo attentato ? Siamo chiamati al discernimento non solo personale, ma anche storico e andare a votare, o amministrare la cosa pubblica, o esercitare una professione o un ‘attività d’impresa non è cosa diversa da quello che facevano tanti personaggi biblici, che nel nome del Signore fecondavano le attività “mondane” rendendole segno del Regno di Dio.
    Per questo non vedo opposizione tra la meditazione biblica e teologica e il discorso sull’attualità e sul mondo. Ogni volta che i cristiani hanno delegato, pensato ad una salvezza tutta e solo interiore l’umanità ne ha sofferto.

    27 Aprile, 2009 - 13:16
  28. Francesco73

    Ma è semplice.
    Non vorrei mai un’omelia sociologica, un predicozzo moralistico o un atto di pura pedagogia.
    Tantomeno – dall’altra parte – gradirei un discorso stantio sul Dio oscuro e vindice, sulla sua distante verticalità, sul potere sacramentale da Egli conferito, o cose simili.
    Mi piacerebbe invece un racconto che mostri come le letture del giorno pongano sempre di nuovo la stessa domanda: come è possibile accontentarsi di una bellezza qualunque e non cercare la Bellezza stessa?
    Essa è il Cristo, il Figlio del Dio vivente. E’ un Dio che si incarna ma che anche si trasfigura, e quindi la Bellezza dobbiamo cercarla lì dove è trasfigurata, ovvero capaca di mostrare – di tutte le cose – il mondo e l’ultramondo.
    E’ in questa traiettoria che sta il segreto del cristianesimo, il fascino del suo viaggio.
    Tutto il resto – direi – è politica, in senso lato. Anche ecclesiale, anche teologica.

    27 Aprile, 2009 - 13:18
  29. marta09

    Ma è la “pila/torcia elettrica potente” in un “luogo” buio no?
    Mi piace sempre di più questa idea di preti che sono delle “torce elettriche” nelle loro omelie… e anche un po’ “caricabatterie” di tutte le piccole “torce elettriche” che compongono qualsiasi assemblea.

    Ehi! Ma la luce viene dall’alto, è vero, ma per illuminare quaggiù … Lassù (o in qualsiasi luogo sia Dio) non hanno problemi di “vederci bene” … ci vedono …”da Dio” … 😀 😛

    27 Aprile, 2009 - 13:26
  30. Mi sento molto in sintonia con le riflessioni che stanno emergendo. Aggiungo un dato molto piccolo e diretto: dopo aver confessato quasi ininterrottamente per tutto il triduo santo, quando nella grande Veglia mi sono rivolto agli amici e alle amiche con le quali condividevo la Pasqua (nella comunità dove celebro, inizio l’omelia dicendo “Care amiche e cari amici,…”) non potevo non pensare ad un annuncio del Vangelo, che prescindesse, che fosse disincarnato da quei volti (hai davanti a te chi ha tradito, chi non riesce ad avere dei figli, chi ha perso una persona cara, chi si sente distrutto dal proprio peccato, chi si sta spendendo nella carità, chi cerca un senso nelle tribolazioni, ecc…persone che conosci, che ti hanno parlato della loro fede, dei loro dubbi…).
    Non si tratta di fare cronaca ma di vedere nella nostra storia, nella storia del’anima di ogni uomo e di ogni donna, come il Padre voglia “trasferirci nel regno del suo Figlio diletto”. Il Vangelo, come pure è evidente nella declinazione dei 4 vangeli, è sempre Parola di Vita che parla a (questi) viventi. Abbiamo bisogno di trovare il seme dell’eterno nella fragilità del tempo e nella verità di ciò che viviamo.

    Detto questo…cerco di fare quel che posso…Ma certo posso dirvi che io per primo come prete ricevo moltissimo per la mia fede da questa condivisione con la gente: lì si sprigiona la potenza del Vangelo.

    27 Aprile, 2009 - 14:15
  31. caro lazzaro, tu mi titilli…

    tanto per rincuorarti, ti “confesserò” che per esempio in quel di Piombino (LI), diocesi di Massa Marittima (e Follonica, credo), ci sono tre parrocchie “governate insieme” da una reggenza di due sacerdoti e una donna battezzata (già sposa, il marito con lei missionario in mozambico per anni è morto qualche ano fa) che fisicamente “presidia” una delle tre parrocchie… quella comunità è assai viva… nonostante la zona notoriamente difficile…

    anche questi sono “movimenti” da ascoltare e appoggiare con entusiasmo. secondo me.

    27 Aprile, 2009 - 14:37
  32. marta09

    caro lazzaro … noi ci arriveremo a breve!
    Non mi è molto chiaro il motivo per cui si vengo costruire queste “comunità pastorali”, ma così è stato deciso. 1 solo parroco per 3 parrocchie (grossine) ed in ogni parrocchia un “amministratore parrocchiale” e – se c’è – un coadiutore.
    Ti torno a ripetere che non capisco il motivo di questo centralizzare ad un solo parroco 3 parrocchie quando i preti ci sono. E ci sono pure dei rischi a quanto vedo.
    Ma credo che la tua proposta non sia folle, anzi, direi che è bellissima e forse tutti ci sentiremmo più “legati” e responsabili alle nostre comunità in cui viviamo e con cui viviamo e di cui conosciamo tante storie e tante difficoltà di tanti.
    Senza contare che i laici avrebbero modo di entrare in collaborazione con i preti … insomma si farebbe Chiesa davvero.

    Ah! una piccola cosa riguardo “i movimenti”. Ci sono movimenti mai riconosciuti come tali che sono più che mai “chiusi in sé stessi”: sono le comunità parrocchiali nell’immagine di quel centinaio di persone (se tante sono) che soffrono di campanilismo acuto, che difendono il proprio servizio come se fosse un “trono” e che non hanno il coraggio della parola (ma quella della calunnia,maldicenza ecc. sì però).
    E non dite che non è vero, perchè è davvero così ed anche a Milano.

    Ma ce la faremo … accidenti se la faremo!!!

    27 Aprile, 2009 - 15:49
  33. marta… ci sono perfino “le missioni delle parrocchie” (???)… pensa te…

    27 Aprile, 2009 - 16:10
  34. lazzaro

    Cara Marta, scusa, non ho capito: “noi” chi? e “dove arriveremo a breve”?
    Io parto da una realtà forse diversa dalla tua: parlo di una diocesi di 180 parrocchie, molte delle quali piccole e piccolissime, residui di comunità una volta, prima dell’emigrazione, popolose ma che oggi sono formate da poche centinaia di persone, abbarbicate però al loro campanile e senza una presenza assidua del sacerdote. Che fare in queste situazioni?
    Tu sei ottimista, vedo che sei temprata dalla fede; io sono nessuno, e manco illustre. Però mi piacerebbe approfondire l’argomento.
    Moralista, grazie per la “confessione”. Ma quello che io vaneggio tutto vuol essere eccetto che un movimento. “Con-unione”, invece.

    27 Aprile, 2009 - 16:12
  35. d’accordo con te, lazzaro, il mio movimento infatti era tra virgole… un movimento di tutta la Chiesa è “con-unione” o “comunione” per forza…

    io sono meno ottimista di marta nel breve, ma sono arciconvinto (per non so quale ispirazione) che questa strada (che in molti casi è stata presa per pura necessità e ob torto collo) diventerà una scelta pastorale convinta, determinante e ricca di prospettive…

    non accetto scommesse, solo perché non saprei come pagare 😀

    27 Aprile, 2009 - 16:16
  36. aggiungo che sarebbe un’opzione che aprirebbe prospettive vocazionali bellissime…

    27 Aprile, 2009 - 16:17
  37. anche io penso che l’incontro tra le varie vocazioni potrebbe aprire perocrsi inediti e molto evangelici, purchè non si creino altri steccati. Mi pare che ci sia un’oggettività difficoltà ad essere comunione (con le porte aperte) piuttosto che gruppetto (a porte chiuse) e forse non dipende solo dalle buone o cattive intenzioni ma da una cultura e da una prassi pastorale che sono mediamente più esclusive che inclusive.

    27 Aprile, 2009 - 16:25
  38. lazzaro

    Moralista, tanto per precisare la mia idea, io intendo “con-unione” o “comunione” proprio a livello parrocchiale, anche se la comunione con l’intera Chiesa è la condizione necessaria. Solo che non saprei da dove cominciare.

    27 Aprile, 2009 - 16:26
  39. lazzaro

    Don Mario, e mi scuso se intervengo ancora, la comunione parrocchiale come la intendo io dovrebbe essere aperta per definizione; gli steccati, quando ci sono, dovrebbero riguardare solo coloro che ci si sono rinchiusi, non chi sta fuori e vuole starne fuori. Che poi la prassi pastorale renda la cosa difficile, è un motivo di più per tentare di farla cambiare.

    27 Aprile, 2009 - 16:34
  40. lazzaro, a me sembra che tu immagini “semplicemente”… una comunità cristiana. Non voglio proprio banalizzare. Ma la proposta che descrivevi all’inizio, che si riferiva all’intra-parrocchia (io e marta siamo andati appena un po’ fuori, ma la logica è la stessa) è quella che io immagino debba essere una comunità cristiana… la parrocchia diventa così il mondo e tutti i mondi quotidiani che ciascun membro della comunità vive e incontra, sapendosi sostenuto dagli altri, nel concreto e nello spirito. Tutto ricondotto all’Eucarestia domenicale. E ad altri momenti comuni, se possibile aperti al popolo…

    Io sono stato formato in una parrocchia che “tenta”, “ha tentato” di essere così, dove addirittura non ci sono e non ci sono mai stati movimenti o associazioni ecclesiali… quindi, secondo me esistono esempi di situazioni come le descrivi

    27 Aprile, 2009 - 16:35
  41. lazzaro

    Moralista, hai ragione: una “semplice” comunità cristiana, hai centrato perfettamente e senza nessuna banalizzazione. Solo che tu hai la fortuna di esserciti formato, io invece no e, per quel che ne so, molte non ce ne sono. E poi, sicuramente sì: “Tutto ricondotto all’Eucarestia domenicale. E ad altri momenti comuni”, sempre aperti al pubblico.

    27 Aprile, 2009 - 16:45
  42. hai ragione, sono stato fortunato. Con diverse magagne… ma dove non ci sono?

    27 Aprile, 2009 - 16:46
  43. Nino

    Caro Lazzaro,
    la situazione che descrivi e le iniziative che proponi e che vuoi portare avanti sono del tutto comprensibili e condivisibili. Tuttavia devi tener conto delle difficoltà oggettive che incontra la chiesa italiana e in genere la maggior parte di quelle dei paesi occidentali orientati alle politiche del mercato e del consumo. Che hanno facilitato la caduta delle vocazioni e la partecipazione dei fedeli.

    Tanto che tra le prime dichiarazioni di JPII vi fu all’epoca quella famosa di “Italia e Europa” terra di missione. Da cui partirono in tutte le diocesi italiane iniziative di tipo missionario a partire dall’unità parrocchiale. Si formarono gruppi del Vangelo formati da laici ben disposti e preparati che riunivano famiglie del condominio e del vicinato a casa loro, o a rotazione nelle abitazioni dei partecipanti, con la lettura e il commento di brani del Libro.

    In qualche caso, al termine di un periodo di incontri, si univa al gruppo un sacerdote per una riflessione conclusiva su quanto fatto con una Messa e un agape.
    Se guardo all’esperienza nella mia parrocchia e in genere in molte altre della diocesi di Roma la cosa ha funzionato ed è ancora viva con un risultato direi positivo al punto da cambiare la prospettiva organizzativa. Nel nostro caso 10 anni fa partirono in 10-12 persone, oggi sono diventate 60-70 e gli incontri ora avvengono in parrocchia quindicinalmente.
    Insomma intorno alla Parola oggi vi è un gruppo consistente di riferimento che attrae nuove presenze sia dalla parrocchia sia dal territorio limitrofo. Il passa parola ha funzionato a meraviglia. Tanto che a fine maggio terminerà una lectio divina sulle Lettere di san Paolo, iniziata a ottobre e coordinata stavolta da un giovane presbitero, sempre con cadenza quindicinale, che ha visto una presenza viva e partecipata di 80-90 persone di media.
    Inoltre questo gruppo, insieme al gruppo dei catechisti, ha costituito lo zoccolo duro della lettura continua delle Lettere di san Paolo che abbiamo concluso a fine marzo nella chiesa parrocchiale.
    Forse da questa esperienza potresti trovare spunti. Importante non scoraggiarsi e partire con un obiettivo non numerico ma con una proposta solida e di qualità e il resto , sono sicuro, lo farà Spirito Santo.
    Auguri.

    27 Aprile, 2009 - 20:04
  44. lazzaro

    Ti ringrazio davvero di cuore, Nino, per l’attenzione, i suggerimenti, l’incoraggiamento, gli auguri. E’ da tanto che rimuginavo questa mia idea (che poi non è originale), l’ho confidata solo a due persone, di cui un prete, non della “parrocchia del cuore”, che l’ha apprezzata, e poi oggi mi son fatto coraggio a scriverne qui per sollecitare un giudizio di fattibilità.
    Mi rendo conto delle difficoltà, perché la situazione di partenza è molto difficile per me personalmente (mi sento davvero poca cosa per questa che per me sarebbe un’impresa) e per il contesto non certo paragonabile a una parrocchia romana. Nel mio caso, poi, lo Spirito Santo avrà un bel da fare, Confido in Lui. Quando sarà, se avrò bisogno ti disturberò, se per te va bene.

    27 Aprile, 2009 - 20:45
  45. Nino

    Caro Lazzaro, ho dimenticato di aggiungere a quanto ti ho riferito che uno dei segni importanti che potrebbe accompagnare la tua “missione” con una valenza fortemente spirituale per te e di servizio a quella comunità potrebbe essere di proporti come ministro straordinario della Comunione, per servire gli infermi non solo somministrandogli il Sacramento ma a farli sentire comunità viva di una parrocchia autenticamente portatrice della Parola e del Corpo di Cristo.
    Per il resto sarò felice di sentirti per quanto riterrai.
    Per questo chiedi pure a Luigi la mia e-mail.
    Ciao.

    27 Aprile, 2009 - 21:12
  46. lazzaro

    Grazie, grazie ancora, fratello Nino.

    27 Aprile, 2009 - 21:21
  47. marta09

    Oddio che consolazione!!!!
    A me è capitato l’opposto … ed ho pure le mani legate ora!!!
    Ma almeno so che da qualche parte ha funzionato e che la mia idea non era poi così folle!!!
    Ho ancora scalette di incontri, preghiere dei fedeli fatte, tracciati di lectio … o almeno credo di averne ancora e di non aver buttato via tutto per troppo dolore.

    Mamma mia come sono contenta!!!
    Tra don Marco/maioba e questo è un lunedi di Grazia davvero!!!

    27 Aprile, 2009 - 21:24
  48. lazzaro

    Marta, quando sarà, ti potrò tenere presente?

    27 Aprile, 2009 - 21:29
  49. marta09

    Quando vuoi lazzaro … quando vuoi!!!

    27 Aprile, 2009 - 22:40
  50. Amigoni p. Luigi

    Il tema delle omelie – entrato un po’ di obliquo a partire dalle considerazioni sulla messa “more antiquo” di Trinità dei pellegrini, a Roma – è sempre sollecitante.
    Anche per le omelie valgono le regole generali della comunicazione: se hai qualcosa da dire, dilla; quando l’hai detta, smetti; se non hai niente da dire, taci.
    E se c’è qualcosa da dire bisogna dirlo chiaro e in modo che sia compreso da chi ascolta; il quale può pure essere totalmente distante da ciò che ascolta, ma se ha voglia di ascoltare e trova utile e coinvolgente il discorso, sa seguire
    Quanto ai contenuti delle prediche, si sa: chi le trova troppo appiattite sull’effimero, chi troppo lontane dalle preoccupazioni quotidiane dell’ascoltatore.
    Ricordo un libro della Piemme, del 2006, del giornalista Roberto Beretta, “Da che pulpito…” (ovvero: come difendersi dalle prediche).
    Non pareva che l’autore (e coloro che lui interpretava) desiderasse “parole staccate dai fatti correnti”. Nel popolo di Dio ci sono diversi “movimenti” anche riguardo a questo. La via aurea forse è sempre quella dell’ et – et.
    Gaudium et spes (che da Dio vengono e a Dio riportano), luctus et angor hominum (da condividere in solidarietà). Così che l’omelia che parla degli e agli uomini non risulti mai un attentato a Dio.

    30 Aprile, 2009 - 13:24
  51. caro . P. Luigi, la sua sintesi sulle regole della comunicazione è già stata inserita tra le mie “parole chiave”… ne abuserò, nelle occasioni formative 🙂

    30 Aprile, 2009 - 15:09
  52. liturgicus

    Il Dottor Accattoli ha, giustamente, scritto ” Ecco io sogno questo: che anche i celebranti della nuova liturgia imparino a staccare la loro parola dai fatti correnti. Il celebrante parla di Dio, non dei referendum, dei motu proprio e del preservativo”.
    Non frequento la chiese della Fraternità da quando Giovanni Paolo II, di santa memoria, volle, a seguito delle illecite ordinazioni episcopali, lanciare la scomunica.
    Penso che continuerò a frequentare quelle chiese quando la posizione giuridica e disciplinare della Fraternità sarà sanata in maniera perfetta mediante il ritiro della sospensione a divinis.
    Da cari e attenti amici so con certezza che le omelie dei Sacerdoti della Fraternità sono tutte improntate sul commento alla Liturgia del giorno.
    Mi dicono che è alquanto improbabile che ci siano dei riferimenti ad altri fatti, sia pur rilevanti, della vita della Chiesa.
    Certo parlare del Motu Proprio sarebbe lecito anche in una normale liturgia domenicale.
    L’hanno fatto, a sproposito, anche i Sacerdoti che celebrano con il NO davanti agli affollati banchi dei parrocchiani e non certamente con termini laudativi nei confronti del Documento e di chi l’ha formulato…
    La comunità “detta di Mons. Lefebvre”, a parte alcune pazze interviste televisive, che hanno solo danneggiato se stessa, facendo il gioco degli avversari, è stata immune, fin ora, dalle critiche ad personas degli Ecclesiastici : si fustiga solo il pensiero degli uomini di chiesa e non si fa alcun riferimento alle debolezze umane, ammesso che ne abbiano, degli stessi.
    Questo lo si può evincere facilmente dalle pubblicazioni ufficiali della Fraternità.
    Questa correttezza umana ed ecclesiale può essere il primo tassello per una doverosa ripresa dei colloqui nel nome della carità reciproca e dell’amore verso l’unica ed inscindibile Chiesa di Cristo.

    1 Maggio, 2009 - 13:56
  53. roberto 55

    Intervengo, “buon” (si fa per dire ……) ultimo nella discussone, per rivolgere, innanzitutto, i più cari ed ammirati complimenti al mio “compagno di banco” Lazzaro che ha (giustamente) preso il coraggio a due mani per venire allo scoperto e lanciare la sua (bella) idea: l’attenzione da tutti riservata alla tua proposta è la miglior conferma dell’importanza e della profondità dei pensieri che hai esposto.
    Io, ultimamente, fatico sempre più – e mi dispiace – a tenere il passo dei dibattiti del “pianerottolo” perchè gli impegni (ahimè !) di lavoro mi portano, in queste ultime settimane, quasi sempre “fuori casa” (a Milano, per lo più), e, dunque, materialmente impossibilitato a collegarmi con tutti voi (se non, appunto, il sabato e la domenica, quando torno al paese).
    …………………… ora, però, non lasciarmi, Lazzaro, da solo in ultimo banco ……..

    Buon (quel che resta del) “primo maggio” a tutti !

    Roberto 55

    1 Maggio, 2009 - 20:52

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