Mese: <span>Agosto 2006</span>

Sono contrario alla costruzione del ponte sullo stretto di Messina, perchè le isole hanno da essere isole.

Felice tappa a Paestum come prologo alla Sicilia, per fare gli occhi alla veduta delle pietre dorate dei greci. Avevo visto Segesta, Selinunte, Agrigento e Metaponto, ma non ero mai stato a Paestum, che forse dà di più, almeno a un visitatore impreparato come sono io. Sorpresa dei quattro chilometri e mezzo di mura, che non trovi altrove. Felicità delle tre ore passate a vagare dall’uno all’altro dei tre templi, nella vastissima area archeologica. Incanto davanti a quello di mezzo, che Goethe – venuto qui nel 1787 – ritenne di dover “anteporre a tutto quanto si vede nella stessa Sicilia”, come racconta nel Viaggio in Italia. Che ci dicono le pietre dei greci che si fecero italici? Ho visto coppie di sposi venute qui a fare le foto. Ragazzi bruniti come dovevano essere gli atleti che qui gareggiarono, duemilacinquecento anni fa. Lo stesso sole, due giri più tardi. Sempre gagliardo. Lo stesso guizzo degli atleti di oggi nello slancio del “tuffatore”, che scopri al Museo di Paestum. Credo che anche i sentimenti possano essere gli stessi. Se quelle colonne e quel tuffo ci attraggono, vuol dire che i movimenti delle anime e dei corpi, loro e nostri, si riconoscono. Possiamo applicare i criteri di questo riconoscimento alle anime e ai corpi del mondo musulmano? Quella famigliola all’uscita dal Museo – marito con la guida in mano e donna imbacuccata e bambini con le finte macchine fotografiche appena acquistate – era un’immagine di vicinanza. Qui attirati, come me, dalle pietre dei greci.

Domani parto per la Sicilia: quindici giorni in automobile, a farne il giro lungo i tre mari. Mi sono preparato leggendo Tucidide e Strabone, ma ho messo nella borsa anche un libretto sui luoghi del commissario Montalbano. Tra vacanze, conferenze e trasferte di lavoro calcolo che questa sia la diciassettesima occasione che mi porta nell’isola. Stavolta è uno stage di aggiornamento previsto dal contratto aziendale. Il fuoco dell’attenzione dovrebbe essere sulla presenza islamica antica e nuova, tipo Mazara del Vallo dove gli immigrati tunisisi sono tornati a far risuonare l’arabo nel medievale quartiere della casbah. Temo d’aver fatto una scelta impegnativa, ma confido nell’aiuto a vedere che potrà venirmi dal sole di Sicilia. Metterò qui, ogni giorno, un riflesso della luce che laggiù si tocca con gli occhi.

Ieri – sabato – a una settimana dal trasferimento di Orazio dall’ospedale di Aosta al Gemelli di Roma (vedi post del 6 agosto) – ho consegnato a Claudia Petrosillo lo stampato dei messaggi di affetto inviati a questo blog da 44 persone, in maggioranza colleghi giornalisti. Ho trasmesso a Claudia l’abbraccio di tutti. Lei è serena nella voce e nell’aspetto. Ringrazia e prega tutti di non chiedere di vedere Orazio. Per ora solo lei e le figlie sono ammesse. Chiede a sua volta di continuare a sostenere lei e le ragazze nell’attesa quotidiana dei piccoli passi che Orazio viene compiendo per quanto riguarda la capacità di reagire agli stimoli. “Le preghiere sono per noi più preziose delle visite”, ha detto. Le ho risposto con un bacio.

Invito i visitatori a leggere La papaia di Senan: è un libro di “favole del Benin”, narrate da Paolo Valente (Emi editore, 63 pagine, 10 euro), che ti portano come d’incanto in un mitica età dell’armonia tra uomini, animali e piante. Un ristoro dell’anima che può aiutarci a contrastare dentro di noi il danno che ci provocano i nostri stessi maltrattamenti della natura e quelli – forse ancora più gravi – che vediamo operati in Africa. In queste pagine rivive un tempo nel quale il cielo era tanto vicino che lo potevi toccare, il gallo chiamava la pioggia, il lupo e il caprone andavano a pescare allo stesso fiume, lo scimmione si truccava per conquistare la ragazza più bella e il re Petepè era impegnato a maritare le figlie. Il libro mi è stato mandato da Carmen ed Elpidio Balbo, stupendi amici che sono tra i personaggi della mia inchiesta Cerco fatti di Vangelo. Da 35 anni animano a Merano un Gruppo missionario (info@gmm-ong.org) che scava pozzi e porta medicinali in diversi paesi dell’Africa nera. Il ricavato dalle vendite del volume va per queste opere.

Che fare per cogliere la novità di linguaggio del papa teologo (vedi post del 12 giugno, del 9 e 13 luglio)? All’udienza di ieri Benedetto ha parlato del “comandamento nuovo” dell’amore dato da Gesù: lo stesso tema dell’enciclica Deus caritas est. Lo ha fatto con un linguaggio forte, che merita di essere udito parola per parola, come un testo poetico, vincendo la sensazione del risaputo che coglie l’uditore ogni volta che ascolta un messaggio già noto. Questo è noto da duemila anni, ma papa Ratzinger ne rinnova audacemente l’esposizione. Ecco le righe più vive, che segnalo alla degustazione e magari alla memorizzazione dei lettori:

L’apostolo Giovanni si volge direttamente a Dio per definire la sua natura con la dimensione infinita dell’amore. Con ciò vuol dire che il costitutivo essenziale di Dio è l’amore e quindi tutta l’attività di Dio nasce dall’amore ed è improntata all’amore (…)

Nel precetto riferito da Giovanni (“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati”) Gesù presenta come motivo e norma del nostro amore la sua stessa persona: “come io vi ho amati”. E’ così che l’amore diventa davvero cristiano, portando in sé la novità del cristianesimo: sia nel senso che esso deve essere indirizzato verso tutti senza distinzioni, sia soprattutto perchè deve pervenire fino alle estreme conseguenze, non avendo altra misura che l’essere senza misura (…)

Preghiamo Dio di poterlo vivere (il “comandamento nuovo”) così intensamente da contagiarne quanti incontriamo sul nostro cammino.

E’ audace l’invito ad agire per contagio d’amore. Ma anche la qualificazione dell’amore come costitutivo di Dio. E soprattutto l’indicazione della novità cristiana nell’amore che va a tutti ed è senza misura.

“Diffidate dai libri, leggete sui muri” (letto su un muro di Caserta).

Massimo Alberizzi, innamorato dell’Africa, raccontava sabato sul Corriere della Sera una dolorante visita a un ospedale di Goma (Congo orientale), fondato da una dottoressa canadese, che ha curato in due anni cinquemila donne violentate dalle bande di quella inestricabile guerra tribale. Storie come incubi, sotto teneri nomi: Francine, Bernardine. Ecco quella di Linda, che attesta la lotta per la vita combattuta oggi dalle donne africane e come la possa echeggiare un cronista che si fa tutto a tutti: “Ero incinta e stavo lavorando il campo quando sono arrivati i nemici e mi hanno stuprato. Il bimbo ha cercato di nascere ma è morto. Mio marito si è sposato con un’altra. Ora sono sola. Spero che Dio mi assista”. Metto Linda accanto a Jennifer (vedi post del 9 e 12 maggio), tra le sorelle della vita che ci aiutano a credere che vi sia un domani per la povera umanità.

Mando un abbraccio a Orazio Petrosillo, a Claudia e alle loro due figlie: da ieri Orazio – il caro collega vaticanista del Messaggero – è al Gemelli, dopo le due settimane passate all’ospedale di Aosta, dove è stato operato per ictus il 23 luglio. Era a Introd per seguire la vacanza del papa. L’ultimo giorno del soggiorno sulle Alpi papa Ratzinger ha pregato con Claudia e ha benedetto le fedi del loro trentesimo di matrimonio. “Una luce contro l’oscurità quotidiana” è intitolato il commento al Vangelo domenicale apparso oggi sul Messaggero, dedicato alla “Trasfigurazione del Signore”, che Orazio aveva scritto prima di partire per la Valle d’Aosta. Affido alle parole di quel titolo il mio augurio al collega, gran lavoratore e lieto amico. Un bacio a Claudia, da trasmettere a Orazio, che l’aiuti a vincere questa scommessa.

Riferisco i dialoghi ascoltati in giro e le scritte sui muri perchè sono convinto che la bellezza sia frequente nelle parole della gente.