Mese: <span>Agosto 2008</span>

Bella mattinata in compagnia di Kurt Egger, cappuccino, fratello gemello del vescovo di Bressanone Wilhelm Egger, anch’egli cappuccino: perfettamente uguali, ma il vescovo ha la barba e l’altro no. Amici di posta elettronica da sei anni, Kurt e io finalmente ci siano abbracciati e mi ha portato in auto da Bressanone (dove sono per seguire la vacanza del papa) a Vipiteno suo paese di origine. C’era anche mia moglie. Ci ha mostrato con viso arguto il banco della Parrocchiale – la luminosa Santa Maria in Vipitin – dove da chierichetto aveva inciso le proprie iniziali e ci ha condotti commosso alla tomba della “zia Maria” che li ha cresciuti – lui e il fratello – orfani a nove anni. Lì abbiamo pregato. Prima della gita ci aveva guidati a un bar per un caffè insieme al fratello vescovo: e si prendevano in giro e motteggiavano a gara come ragazzacci. Bella Vipiteno con la svelta torre in capo alla via centrale. Bella luce, belle facce, bei spiriti che oggi mi sono venuti incontro.

La Cina “diventa sempre più importante” ed è “importante” che “si apra al Vangelo”: lo ha detto questo pomeriggio il papa durante una visita al paesino di Oies, in Val Badia e alla casa natale di un missionario ladino Josef Freinademetz, vissuto trent’anni in Cina – dove è morto nel 1908 – e proclamato santo da Giovanni Paolo II nel 2003 (vedi post precedente). Due ore in tutto è durata la gita in elicottero di Benedetto XVI, che da 10 giorni sta trascorrendo una vacanza a Bressanone. Domenica il papa aveva mandato il suo saluto agli atleti delle Olimpiadi di Pechino e “al Paese che li ospita”, senza accennare alla libertà religiosa, che è la questione più seria al centro del negoziato che la Santa Sede sta conducendo con il governo cinese in vista della “normalizzazione” delle relazioni. Neanche ieri ha parlato della “libertà religiosa” ma ad essa ha fatto riferimento auspicando che la Cina si apra al cristianesimo.

(continua nel primo commento)

Oggi il papa andrà a Oies, Pedraces, in Val Badia per fare visita alla casa in cui nacque l’unico santo canonizzato di stirpe ladina: Josef Freinademetz, missionario verbita in Cina (1852-1908), proclamato da papa Wojtyla nel 2003. Io a Oies ci sono stato oggi e dedico ai miei visitatori questa frase che ho trascritto da uno dei volumi offerti ai pellegrini che affollano quella casa contadina: “I pagani vengono convertiti solo dalla Grazia di Dio e – possiamo aggiungere – dal nostro amore, perchè il linguaggio dell’amore è l’unica lingua compresa da tutti“. Amo questo santo ladino che ho scoperto una ventina d’anni fa, durante una vacanza in Val Badia, avendo scovato in una chiesa a San Vigilio di Marebbe un libretto su di lui scritto con la solita maestria da don Divo Barsotti: “Giuseppe Freinademetz dalle sue lettere”. Ho visto stamane che il libretto è stato ristampato con lo stesso titolo dai Missionari Verbiti, edizioni Pluristamp, nel 2003.

«Il Vangelo ci ricorda che le cose più grandi della vita non possono essere acquistate, o pagate, ma le cose più elementari e importanti della vita possono solo esserci regalate: la vita, il sole, l’aria, l’acqua, le bellezze naturali, l’amore, l’amicizia, la vita stessa, tutte queste cose non possono essere comprate ma solo essere ricevute in regalo. Ciò significa che si tratta di qualcosa che nessuno ci può togliere, nessuna dittatura, nessun potere distruttore, perchè l’amore di Dio che ci ha incontrato in Cristo non ce lo può togliere nessuno, siamo ricchi e non siamo poveri»: l’ha detto il papa stamane prima della preghiera dell’Angelus, dalla piazza centrale di Bressanone. Commentava le letture della messa di oggi. E mi piace commentare le sue alte parole con quelle minime che ci erano arrivate – in questo blog – da un graffito del Muro di Berlino, riportato nel post del 31 luglio: “Le cose buone della vita non sono cose”.

Avevo promesso (vedi post del 30 luglio: Lutero a Novacella: tu mi forconi e io ti cancello) che sarei tornato a visitare il portale blindato del palazzo dei Principi Vescovi di Bressanone per dare conto del numero esatto degli strappi e dei buchi nelle lastre in ferro che ricoprono il legno di rovere, prodotti dai forconi, dalle picche e dagli spiedi della sommossa contadina del 1525 fomentata dai predicatori della Riforma: ci sono tornato oggi pomeriggio e ne ho contati 327, tenendo conto soltanto di quelli che hanno forato le lastre da parte a parte. Aggiungendo le ammaccature i segni dell’assalto salirebbero a circa cinquecento. Mi piacerebbe anche contare quante bibbie luterane si siano conservate in ambiente cattolico sulle quali sia stato cancellato il nome del traduttore, Martin Luther, a motivo della damnatio nominis che l’aveva colpito, come martedì mi è capitato di vedere nella Biblioteca di Novacella, su una copia del Vecchio Testamento luterano del 1541. E se ce ne fossero 327 di quelle bibbie col nome del traduttore grattato via mi parrebbe pareggiato il conto: tu mi forconi e io ti sbianchetto. A Gloria di Cristo, amen.