Mese: <span>Dicembre 2009</span>

La Padania – intesa come quotidiano – è disorientata dall’arcivescovo Tettamanzi, lo guarda e scuote la testa: “Cardinale o imam? Se lo chiedono in molti”. Voglio bene al cardinale Tettamanzi e sono contento che si scontri con la Lega Nord. Il conflitto in questo caso è reale e aiuta a fare chiarezza.

Nella Rete incontro gli uomini e dunque in essa posso incontrare Dio. Navigando ci si imbatte in vantaggi e svantaggi per incontri veri esattamente come nella realtà: vi è più rapida la conoscenza e l’interazione con ognuno, ma più facili sono anche il fraintendimento e l’insulto. L’abbondanza delle occasioni moltiplica la tentazione dell’oblio. Del continente digitale prendo in esame la sola blogsfera: cioè lo spazio dell’interazione scritta più immediata tra i visitatori di un sito. Il marzo scorso ho raccontato qualcosa della violenza che ribolle nella blogsfera: Nella Rete c’è più odio che nella realtà era il titolo. Ora tratto l’altra faccia, perché nella Rete ci va sia chi spregia sia chi cerca l’uomo. E chi cerca l’uomo – che lo sappia o no – cerca Dio e non è lontano dal trovarlo. – E’ l’attacco baldanzoso di un mio articolo pubblicato dalla rivista IL REGNO: vedilo nella pagina COLLABORAZIONE A RIVISTE elencata sotto la mia foto. Lì trovi anche l’altro articolo sulla violenza nella Rete. La mia riflessione sull’incontro con Dio nella Rete è stata sollecitata dalla partecipazione a un convegno che si è fatto a Loreto il 19 novembre: vedi alla pagina CONFERENZE E DIBATTITI.

A un centinaio di metri dalla strada si vede una casa, bassa a un piano, spoglia come la maggior parte delle case arabe delle zone di campagna, finestre chiuse, nessun movimento. Poi la porta si apre e fa capolino la testa di un bambino, quindi quella di un ragazzo e, in successione, di alcune donne giovani e di una più anziana tutte con velo. Tutti ci guardano incuriositi quando, a un cenno della madre più anziana, il ragazzo si avvia nella nostra direzione, evitando accuratamente di parlare con noi (donne!) e si intrattiene con il guidatore e la guida (uomini!) probabilmente per avere informazioni sulla nostra sosta, quindi ritorna alla casa per relazionare. A quel punto ci fa cenno di andare da loro con grandi segnali“: è un passaggio di un episodio di accoglienza del forestiero a me narrato da una visitatrice del blog e da me inserito nella pagina CERCO FATTI DI VANGELO elencata sotto la mia foto, al capitolo 19 che ha un titolo a effetto: SAMARITANI CENTURIONI CANANEE.

Feltri rimangia all’inizio di dicembre lo schifo prodotto a fine agosto e la scena è per stomaci forti. Conoscendo il suo disinteresse possiamo stare certi che si tratta di soldi: ritratta e loda per non pagare o per pagare di meno. Ho chiesto a colleghi del GIORNALE che mi hanno detto di non capirci niente. Ho insistito con colleghi di AVVENIRE e anche loro niente. Ho fatto una telefonata alla Cei e vai a capire tu di che si tratta. Io Boffo qui l’ho difeso e ancora lo difendo: preferisco il rischio di difenderlo troppo a quello di abbandonarlo alla canea mediatica. Del resto – si sa – io difendo sempre tutti. Ma per alleggerire concludo con un passaggio della ritrattazione feltriana che dice per intero il suo schietto sentimento: “Poteva finire qui [cioè con IL GIORNALE che spara su Boffo]. Invece l’indomani è scoppiato un pandemonio perché i giornali e le televisioni si scatenarono sollevando un polverone ingiustificato. La «cosa» da piccola è così diventata grande“. Come poteva immaginare il povero Feltri che dedicando egli appena tre pagine (l’apertura a nove colonne della prima, la seconda e la terza) a quella denuncia, gli altri facessero tanto chiasso? E che calcassero i toni dov’egli era stato così sfumato? Così infatti aveva titolato in prima pagina: Incidente sessuale del direttore di “Avvenire”. IL SUPERMORALISTA CONDANNATO PER MOLESTIE. Dino Boffo, alla guida del giornale dei vescovi italiani e impegnato nell’accesa campagna di stampa contro i peccati del premier, intimidiva la moglie dell’uomo con il quale aveva una relazione.

Allertato da una visitatrice del blog sono tornato al banco di Mostafà (vedi post del 2 dicembre: DA MOSTAFA’: “AVEM PASTA DE MICI” – e i commenti 16 e 17) per chiedere che caspita fosse quella PASTA. “Carne macinata. Maiale, vitellone, erbe aromatiche. E’ romeno” risponde professionale. Un aiutante italiano aggiunge: “Come la finocchiona ma non è un salame, ci fai il polpettone”. Io l’avevo interpretato come “cibo per gatti”: la solita figura del giornalista che improvvisa. Ma il blog ha gli anticorpi: si chiamano “visitatori svegli”.

Al 30 novembre erano 66 i carcerati che si erano tolti la vita lungo il 2009 nelle nostre prigioni. Tra essi una Diana e un’altra registrata senza nome – cognome: DETENUTA; nome: ITALIANA – nel dossier MORIRE DI CARCERE. Nell’intero 2008 erano stati 46 e 45 nel 2007. Dal duemila a oggi: 550. Tra le cause dell’aumento negli anni di quanti rivolgono la propria mano contro se stessi c’è il sovraffollamento e il conseguente diradamento degli ingressi di operatori e familiari. Qui mi interrogo da anni e qui appunto la mia proposta: rivedere i regolamenti per rendere possibile un maggiore contatto dei carcerati con l’umanità circostante. Non possiamo figurarci che là dentro non ci siano i nostri figli, fratelli, padri, sorelle e vicini di casa. Gli ultimni che si sono uccisi si chiamano: Massimiliano, Yassine, Giovanni, Bruno, Massimo, Domenico. Sta scritto: “Ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Quel giorno molti risponderanno: “Ho provato a venirti a trovare ma non ci sono riuscito”. Un tempo a quanto pare si poteva, oggi non più. Incredibile.

L’energia principale che muove l’animo umano è l’amore. La natura umana, nella sua essenza più profonda, consiste nell’amare. In definitiva, un solo compito è affidato a ogni essere umano: imparare a voler bene, ad amare, sinceramente, autenticamente, gratuitamente”: così ha parlato Benedetto ieri all’udienza generale, presentando un’opera di Guglielmo di Saint-Thierry (1075-1148) intitolata De natura et dignitate amoris (Natura e dignità dell’amore). Ha commentato alcune massime di gran luce di quel “cantore dell’amore”, come l’ha chiamato: “L’arte delle arti è l’arte dell’amore” e “Amor ipse intellectus est – già in se stesso l’amore è conoscenza, è principio di conoscenza”. A commento di  questa seconda ha detto le parole più vive: “Non è forse vero che noi conosciamo realmente solo chi e ciò che amiamo? Senza una certa simpatia non si conosce nessuno e niente. E questo vale anzitutto nella conoscenza di Dio e dei suoi misteri, che superano la capacità di comprensione della nostra intelligenza: Dio lo si conosce se lo si ama!”. Ricordate il prologo del volume su Gesù di Nazaret dove diceva “ognuno è libero di contraddirmi: chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell’anticipo di simpatia senza il quale non c’è alcuna comprensione” (vedi post del 26 aprile 2007)? Mi ritrovo a piena mente e a pieno fegato in questa idea che per intendere occorra simpatizzare. Per l’antologia del lessico benedettiano sull’amore che vado raccogliendo (vedi post del 5 ottobre 2009), segnalo infine queste sette parole d’alta quota e le dedico ai visitatori come dono del mattno: “Si vive solo nell’amore e per amore”.

Vado a fare la spesa al NUOVO MERCATO ESQUILINO di piazza Vittorio – vedi post del 20 marzo 2008: LE MERAVIGLIE DI PIAZZA VITTORIO DA GADDA AI CINESI – e prendo qualche appunto per i miei bloggers. Accanto a un’uscita che immette in via Principe Amedeo c’è un chiosco con la scritta CARNI DI PRODUZIONE NAZIONALE – DA CARLO che ora è gestito da un arabo corposo e chiassoso che ha aggiunto un cartello cubitale con il suo nome – DA MOSTAFA’ – e ha incollato a un paravento in vetro un foglio con la scritta AVEM PASTA DE MICI, che interpreto come un socievole “abbiamo cibo per gatti”. Suggerisco Piazza Vittorio a chi voglia studiare l’ibrido linguistico del galoppante meticciato immigratorio.

“Da sabato il Papa ha una nuova croce pastorale quando celebra, più piccola della precedente che era stata usata da Pio IX. E tra poco sarà un anno che nelle liturgie papali si fanno lunghe pause di silenzio, in particolare dopo le letture e dopo la comunione. Sono due tra i tanti piccoli ritocchi dei riti e dell’immagine papale apportati da Benedetto, tutti nella direzione di un sapiente dosaggio di elementi nuovi e antichi in modo da segnalare la continuità del Papato oltre lo spartiacque conciliare”. E’ l’incipit di un mio articolo pubblicato oggi da LIBERAL con il titolo IL RITO DEL SILENZIO SECONDO PAPA RATZINGER.

“La costruzione dei minareti è vietata”: se domani lo stesso referendum della Svizzera si dovesse fare in Italia, voterei “no”. Lo farei per essere ospitale e con il pensiero ai cristiani dell’Egitto e dell’India.