Mese: <span>Maggio 2010</span>

Padre Nostro, non mio. Io non sono stata una buona figlia ma tu nemmeno un bravo Padre. Ero minorenne, ti ho chiesto aiuto. La tua indifferenza è stata la mia morte. Sono cristiana e voglio giustizia“: scritto con pennarello rosso sulle pareti in lamiera ondulata del gabbiotto di attesa tra i binari 8 e 10 della stazione di Verona Porta Nuova. Mezzo metro più in là, stessa grafia e stesso pennarello ma più vivo, come scritto più di recente: “Nessuno aiuta i miei nipoti. Ti scongiuro“. Non ci sono firme. Intuisco una barbona o una drogata che nel suo cuore fa causa a Dio.

Alberobello, piazza del Popolo, sabato ore 11: esce dal Municipio una coppia di sposi tra riso e fiori. Lei è incinta a palloncino, lui si piega a baciare il bimbo. La sposa si libera del bouquet e mette le mani sul capo dello sposo. Ne vengono bellissime foto. Intorno i parenti festanti e due nonne in nero che ridono e subito tornano serie: al loro bel tempo era gran vergogna sposarsi incinte. E niente foto.

Sono ad Alberobello e bello mi pare dirlo agli amici. Dalla finestra dell’albergo Lanzillotta vedo tre trulli tra i più antichi – mi hanno detto – della cittadina. Li dedico a chi mi legge.

Il capolavoro – stavolta – è nel titolo: «Gesuiti a Roma. Inattese connessioni. Viaggio nel cuore della Compagnia». Dello stesso programma fa parte un “Esercizio spirituale concertato” – e cioè svolto in concerto –  che a me pare un altro colpaccio linguistico. Le connessioni “inattese” avranno il loro culmine nei due prossimi fine settimana, quando i Gesuiti di Roma apriranno le proprie “case” ai visitatori, gratis e senza prenotazione. Non tutte, ma quelle storiche che sono nel complesso del Gesù e che uno può anche vedere dai tetti, se sale sul Campidoglio o sull’altana di Palazzo Bonaparte: sono spezzoni di un mio articolo pubblicato oggi dal Corriere della Sera Roma a p. 6 con il titolo I GESUITI SPALANCANO LE PORTE. NEL QUARTO CENTENARIO DELLA MORTE DEL “MANDARINO” MATTEO RICCI.

Il padre Riccardo Palazzi se ne andò il 15 dicembre 1999. Aveva tutti i guai possibili, muoveva solo la testa, ma era gioioso nella tribolazione e volle fare a quanti gli eravamo amici un ultimo dono, forse il più bello: volle il canto dell’Exultet alla messa di addio. Una cosa simile non l’avevo mai vista“: è l’avvio di una nuova storia, a me cara, che ho inserito nel capitolo 8 CELEBRAZIONE ECCLESIALE DELLA PROPRIA MORTE della pagina CERCO FATTI DI VANGELO elencata sotto la mia foto. In quel capitolo si narra di un altro che volle l’Exultet per la messa di addio: il vescovo Luigi Maverna, al quale ho dedicato un post il 31 dicembre 2009 LUIGI MAVERNA: “LA CHIESA NON E’ NELLE GRANDI COSE”. La chiesa nella quale si cantò l’Exultet di Riccardo è la mia parrocchia ed è la stessa dove è sepolto ANGELO PAOLI PRECURSORE DELLA CLOWNTERAPIA (post del 26 aprile 2010).

Pomeriggio precipitoso in via di Santa Maria Maggiore. La barbona si alza dal gradino dove fa letamaio e brancicando con la sigaretta fa cadere l’espositore di souvenirs del negozietto cinese. Proprio allora passa il “venditore di campanacci”. Scendo di corsa e lo intervisto tra i cinesi che raccolgono le cartoline e cacciano la barbona. “Non sono un venditore. Cammino e spando suoni. Così magari uno che lavora al quarto piano pensa per un momento alla campagna. Ogni mattina vengo a Roma in treno e cammino verso piazza Esedra, Piazza Barberini e per tutta la città. Vado a casaccio. Passo quando passo. Non le dico il mio nome perchè voglio restare libero. Non ho un indirizzo, non ho il telefonino e non prendo appuntamenti. Non ho da darle una foto“. Ma un giorno l’ho visto che fotografava la nostra barbona: “Fotografo sempre i poveretti che sono per la strada. Questo è un contenitore delle foto che faccio. Le guardi pure. Come si fa a non fotografare queste persone? Io le fotografo per riparare al fatto che tanti neanche le vedono. Non sono romano, sono calabrese e vivo fuori Roma, dalle parti di Tivoli. Ma i campanacci sono sardi. Ho un amico in Sardegna che li restaura e me li manda. Non li vendo ma li do a chi li capisce. La mia è una storia infinita e magari un giorno gliela racconto, quando ci rivediamo“.

A Pompei – vedi post precedente – ho seguito in serata il concerto di Angelo Branduardi che l’arcivescovo Carlo Liberati, dotato di buona intonazione, ha chiamato a chiudere il Meeting dei giovani. Erano dieci anni che ascoltavo in automobile la leggenda francescana del ricciuto menestrello mai udito dal vivo. Me ne è venuta la conoscenza di una nuova canzone, IL DENARO DEI NANI “che può essere letta in due chiavi”, ci ha avvertiti l’autore: “Come richiamo alla leggenda celtica del tesoro che ammalia e avvelena ma anche come denuncia dei cultori della finanza creativa che hanno costruito la loro ricchezza derubando la gente che vive del proprio lavoro”. “Paura te la canto, canta che io conto“. “Butta quel tesoro, il denaro dei nani in fumo finirà“. Scommetto che questa canzone piacerebbe a papa Ratzinger. Gli piacerebbe anche il saluto di Angelo alla folla giovanile di Pompei: “Se immaginiamo dei bambini in una stanza buia li sentiremo dapprima piangere e poi, inevitabilmente, cantare. Perchè il canto caccia la paura e a esso ricorriamo tutti per cacciare la più grande di tutte le paure che è quella della morte“.

“Sempre mi sono chiesto: che farebbe Gesù, che farebbero Francesco e Caterina se passassero davanti a questi uomini che spacciano e a queste donne che si prostituiscono? Ora lo so: farebbero qualcosa di simile a quello che sta facendo Chiara Amirante. Che non è scesa dal cielo e non è vissuta nel Medioevo. È romana, ha gli occhi neri, i capelli crespi e racconta d’aver avuto paura quando decise di scegliere la strada: paura di dirlo ai genitori, perché era una ragazza e poteva essere pericoloso. Avevo già letto – di Chiara – il volume Stazione Termini. Storie di droga, Aids, prostituzione (Città Nuova,1994). E l’avevo vista in TV nelle «inchieste di Biagi» il 28 ottobre 1994. Le avevo dedicato una delle 224 storie della mia inchiesta “Cerco fatti di Vangelo” (SEI, 1995). Dunque qualcosa sapevo, ma da questo volumetto ho imparato molto di più, perché qui Chiara racconta in ordine la sua storia”: così scrivevo a prefazione del libro di Chiara “Nuovi orizzonti. La nostra avventura nel mondo della strada” (Città Nuova 1996). Allora Chiara doveva avere trent’anni e un giorno la intervistai in una sua casa di accoglienza e oggi di nuovo l’ho vista al meeting giovani di Pompei, dov’eravamo – con il vescovo Pietro Santoro e il moderatore del sito PETRUS Gianluca Barile – a parlare di Gesù ai ventenni. Lei ha ripetuto la scritta murale di un drogato che fu una delle spinte alla sua “conversione”: “Nonostante la vostra indifferenza noi esistiamo”. E io le ho detto “grazie” ancora una volta. Nella pagina di questo blog PREFAZIONI E CAPITOLI elencata sotto la mia foto puoi leggere la mia prefazione a quel suo volume, terzo titolo a contare dal fondo.