Mese: <span>Maggio 2010</span>

Che può fare un uomo di pace dove tutti gridano guerra? Non parteggiare. Non accontentarsi di nessuna versione. Non accettare nè la festa per gli uccisi che tante volte abbiamo visto nei campi palestinesi nè il rammarico di chi uccide che altrettanto spesso abbiamo udito dalle autorità di Israele. Non dire mai che non c’è soluzione. Ma ripetere ancora e ancora che con questi governanti israeliani e con questi dirigenti palestinesi non si va da nessuna parte.

Sono felice che Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI abbiano lodato Matteo Ricci e il suo metodo di presentazione del Vangelo in Cina. Ma conoscendo un poco l’opera del Ricci, chiedo a chi ne sa di più: se egli fosse oggi in Cina e scrivesse opere simili a quelle che propose allora, non verrebbe condannato? “Il Padre Ricci è un caso singolare di felice sintesi fra l’annuncio del Vangelo e il dialogo con la cultura del popolo a cui lo si porta, un esempio di equilibrio tra chiarezza dottrinale e prudente azione pastorale“, ha detto ieri il Papa (vedi post precedente). Parole da non perdere. ll gesuita di Macerata nell’opera più importante in lingua cinese, lo Tianzhu shiyi [Il vero significato del Signore del Cielo], pubblicato a Pechino nel 1603, menziona Gesù “solo nell’ottavo e ultimo capitolo, presentandolo come maestro e operatore di miracoli inviato da Dio”, ma senza indicarlo “come figlio di Dio e salvatore dell’umanità”: così ne parla Gianni Criveller nel volumetto Matteo Ricci. Missione e ragione, pubblicato ora da Pimedit. Si trattava di un Catechismo offerto ai cinesi per una prima conoscenza del cristianesimo: ma non un “catechismo” nel senso nostro, piuttosto uno strumento di pre-evangelizzazione. La presentazione dottrinale completa l’affiderà al volume Tianzhu jiaoyao [La dottrina cristiana] che pubblicherà nel 1605. Bisogna dunque distinguere. Ma chiedo: hanno oggi altrettanta libertà i teologi che parlano alle religioni dell’India, o alla cultura giapponese? Credo di no.

Anch’io, come Padre Matteo Ricci, esprimo oggi la mia profonda stima al nobile popolo cinese e alla sua cultura millenaria, convinto che un loro rinnovato incontro con il Cristianesimo apporterà frutti abbondanti di bene, come allora favorì una pacifica convivenza tra i popoli“: così ha parlato stamattina Benedetto nel quarto centenario della morte del geniale gesuita di Macerata. La “stima” che oggi abbiamo tutti per la Cina è sincera e giustamente il papa se ne fa interprete ma forse il coraggio di farci cinesi al modo in cui praticò quell’arte il Ricci oggi non l’ha nessuno.

Le invettive scritte sui muri possono avere forza. Ecco una scritta contro gli spacciatori di droga che ho letto stasera in via Castrense, a Roma, sul muro di un edificio delle Ferrovie dello Stato che si trova sulla destra per chi cammina allontanandosi da San Giovanni: “Sanguisughe vendete sofferenza”. Tornavo da una lectio alla parrocchia di Sant’Elena in via Casilina. Ho avvertito un fratello nell’autore dell’invettiva.

Trasferta a Povegliano Veronese dove ho tenuto ieri un incontro con il collega Lorenzo Fazzini di Avvenire su VIVERE DA CRISTIANI OGGI – tema che va oltre la mia portata – e richiesto di qualche suggerimento su come parlare ai giovani che non praticano più ho lodato le occasioni conviviali straparlando di “tavolate sotto gli alberi” e possibili primi approcci alla Bibbia dopo una pizzata collettiva. Credevo di aver detto un’idea insolita, ma stamattina don Osvaldo, l’ottimo parroco – accompagnandomi al Santuario della Madonna dell’Uva Secca e poi alla stazione di Verona Porta Nuova – mi ha descritto il Pranzo della Comunità che si farà domenica, non so se sotto gli alberi, con tavolate che raccoglieranno 400 persone, cento delle quali immigrate: “Perchè non vogliamo festeggiare da soli”. Salendo sul Frecciargento mi sono detto: “Se non c’ero io a buttare là quell’idea, mo’ che ci arrivavano!”

Modella anoressica fuma accigliata davanti a una sarinesca con graffiti in via Cavour. Mi fermo a guardare come tutti. Vent’anni e gambe nude ma così spolpata non mi va. Trovo più vivo il fotografo che le dice a gesti di intrecciare gli stivali e di piegare a squadra il braccio con la sigaretta.

Il nostro primo pensiero, la nostra prima attenzione è nei confronti delle vittime [degli abusi sessuali da parte di appartenenti al clero cattolico]: ancora una volta esprimiamo a loro tutto il nostro dolore, il nostro profondo rammarico e la cordiale vicinanza per aver subito ciò che è peccato grave e crimine odioso“: così due ore addietro il cardinale Angelo Bagnasco ad apertura dell’assemblea della Cei. Ed è il primo passo che merita consenso. Il secondo è questo, riferito al papa: “Noi Vescovi sappiamo di dover ringraziare il Papa per quanto ha fatto e sta facendo in ordine all’esemplarità della Chiesa e dei suoi ministri. Egli è il Pastore all’altezza delle sfide, che affronta con credibilità e lucidità questo tempo difficile; è il maestro che parla della verità di Dio e rivela il giusto rispetto per la verità sugli uomini; è il testimone della carità, come della trasparenza che la carità esige. Non c’è cedevolezza in lui nei riguardi di pressioni esterne, ma un’assunzione di responsabilità proporzionata al suo mandato“. A queste due lodi aggiungo un consiglio che riguarda l’urgenza per la Cei di costituire un referente unico nazionale e di avviare un’operazione verità prima che sia troppo tardi: sviluppo l’idea nel primo commento a questo post.

Tuono e vento e fuoco in questo giorno unico. Buona Pentecoste ai visitatori del blog, con un detto di Gesù – citato dal papa nell’omelia di questa mattina – che non è nelle Sacre Scritture ma è tramandato da Origene: «Chi è presso di me è presso il fuoco» (Omelia su Geremia L. I [III]).

Segnalo un nuovo blog di dibattito tra cristiani intitolato al Vino Nuovo e nel quale sono anch’io. Auguro buon vento alla ciurma scriatella che l’ha messo in piedi e gli dedico un aforisma: con il vino nuovo ci si ubriaca facile ma quello vecchio produce dipendenza.

Per due giorni dopo la nascita dei cuccioli (vedi post del 18 maggio) Lucciola non permetteva a nessuno di avvicinarsi alla cuccia. Circondava con le zampe i neonati, stando sdraiata su un fianco e ringhiava se poco poco un gatto o un piccione si azzardavano ad arrivare alla distanza di tre metri. Cacciava via con il ringhio anche la sua mamma Luna, che girava sempre all’intorno e moriva dalla voglia di vedere i cuccioli. Al terzo giorno Luna li ha potuti vedere, ma brevemente e sempre tra le braccia di Lucciola, che la controllava severamente. Al quarto giorno Lucciola ha deciso di sgranchirsi con un po’ di stretching e un paio di corse all’interno del recinto della fattoria, lasciando i piccoli in custodia a Luna che finalmente ha potuto fare la nonna, sdraiarsi accanto a loro e prenderli tra le zampe.