Mese: <span>Luglio 2012</span>

Semo pieni de’ buffi / a noi la crisi ce fa ‘n baffo: scritto su un cartello vistoso esposto alle spalle del barista, nel “Bar Tabacchi Ricevitoria Lotto Aurelia”, via Aurelia 85, Santa Marinella. “Buffi” sta per debiti, non sovrani ma personali. E’ voce dialettale romana e credo abbia solo il plurale, come a segnalare che è proprio dei “buffi” essere in tanti. “Fare un baffo” è locuzione figurata che il Battaglia svolge come “minacciare inutilmente senza neanche intimidire”.

Farsi amico un senegalese, un ghanese, un eritreo, invitarlo a pranzo o a cena e farsi raccontare del suo paese, della vita della sua famiglia, del suo villaggio“: parole di Giovanni Nervo, 94 anni, sveglissimo maestro padovano della Caritas e della carità. Negli anni mi ha segnalato una quantità di “fatti di Vangelo”. Brindo a lui con un bicchiere di Vino Nuovo.

Noi siamo qui per guardare alla vita e alla morte di Rita con il cuore, non per capire, ma per accettare; non per giudicare, ma per riconciliare; non per maledire, ma per custodire la memoria; non per contrapporre, ma per pacificare. La celebrazione eucaristica in suffragio di Rita ci ottenga di riconciliare la memoria del passato con l’impegno del presente nel combattere ogni forma di mafiosità. Il Signore dia riconciliazione e pace alla famiglia Atria, a questa città di Partanna segnata da micidiali e odiose guerre di mafia, alla Sicilia terra benedetta ma deturpata da mali secolari e insipienze umane”: così ha parlato ieri Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, nella chiesa madre di Partanna, a 20 anni dalla morte della diciassettenne che si era fatta testimone di giustizia narrando a Paolo Borsellino gli intrecci mafiosi della sua famiglia e che si uccise una settimana dopo la morte del magistrato. Nei primi due commenti un minimo ricordo della piccola Rita e della sua tragedia.

Cacciavillan e Coccopalmerio sono i più bei nomi narrativi tra i cardinali. Una volta c’erano Pappalardo e Fumasoni Biondi.

Abbiamo voluto tenerlo in casa. Un giorno la disperazione ha cominciato a retrocedere di fronte alla percezione di un amore di un tipo nuovo e ho preso a vedere delle cose che prima non vedevo“: parole di Mariapia Bonanate sul marito colpito dalla sindrome di Locked-in, che assiste in casa da sei anni. Una prova che è anche una conquista ed è in questa chiave che la giornalista e scrittrice la narra nel volume “Io sono qui” (Mondadori 2012). Dedico un bicchiere di Vino Nuovo e mando un bacio alla coraggiosa collega.

C’è un giudice a Colonia che sanziona il taglio del prepuzio di un bimbo musulmano ma è disapprovato dai più anche a difesa della circoncisione ebraica dalla quale viene quella dell’islam: come per la macellazione rituale e per la carne di maiale, anche in questo caso quello che infine abbiamo compreso per gli ebrei ci aiuta a capire i musulmani. “La salvezza viene dagli ebrei” diceva Giovanni 4, 22. – E’ un mio arguto “spillo” pubblicato ieri dal Corsera nell’inserto domenicale LA LETTURA. Dopo che l’avevo scritto mi è venuto il destro di riassumerlo in questa cattivissima domanda: “Se non c’era la circoncisione degli ebrei avremmo accettato quella dei musulmani?”

Il 28 giugno è stato annunciato il riconoscimento del martirio di don Giuseppe Puglisi ucciso dalla mafia di Palermo nel 1993, il 10 maggio era stato annunciato quello di Odoardo Focherini (1907-1944) che diede la vita per salvare ebrei durante l’occupazione tedesca. In ambedue i casi abbiamo avuto una primizia alla quale seguiranno altre proclamazioni: Puglisi è il primo martire di mafia, Focherini è il primo nostro martire dell’aiuto agli ebrei. – E’ il piano avvio di un mio insinuante articolo pubblicato martedì 17 dal quotidiano LIBERAL a pagina 14 con il titolo La Chiesa ripensa il martirio.

«Sto bene e voglio ringraziare tutti quelli che hanno lavorato per la mia liberazione. Paura? Ovviamente qualche volta c’è stata, è capitato, ma sono stata trattata bene. Voglio comunque tornare a lavorare nella cooperazione. Spero di tornare a lavorare in Algeria»: sono le prime parole di Rossella Urru dopo 286 giorni di prigionia. Andare volontaria in Algeria è qualcosa ma tornare laggiù, o anche solo pensare di tornarvi dopo quell’avventura è grande cosa. Che bella Rossella.

Caro Paolo, da venti lunghi anni hai lasciato questa terra per raggiungere il Regno dei Cieli, un periodo in cui ho versato lacrime amare; mentre la bocca sorrideva il cuore piangeva, senza capire, stupita, smarrita, cercando di sapere (…). Hai lasciato una bella eredità, oggi raccolta dai ragazzi di tutta Italia; ho idealmente adottato tanti altri figli, uniti nel tuo ricordo dal nord al sud – non siamo soli. Desidero ricordare: sei stato un padre e un marito meraviglioso, sei stato un fedele, sì un fedelissimo servitore dello Stato, un modello esemplare di cittadino italiano, resti per noi un grande uomo perché dinnanzi alla morte annunciata hai donato senza proteggerti ed essere protetto il bene più grande, «la vita», sicuro di redimere con la tua morte chi aveva perduto la dignità di uomo e di scuotere le coscienze. – Sono due passaggi della Lettera a Paolo scritta dalla moglie Agnese che figura nell’ultima pagina del volume Paolo Borsellino curato da Umberto Lucentini e pubblicato dal “Corriere della Sera”, in distribuzione nelle edicole dal 14 luglio: invito ad acquistarlo, è utile a sapere. L’intera lettera di Agnese si può leggere qui. Voglio bene ad Agnese. Nel primo volume intitolato CERCO FATTI DI VANGELO avevo narrato la storia della sua invocazione del perdono di Dio per gli assassini del marito. Nel volume NUOVI MARTIRI ho fatto un profilo di Paolo. Qui si può riudire un momento della messa di addio. Mando un bacio ad Agnese nel giorno di Paolo.

C’è una pietra lanciata nell’agosto del 1938 dai manifestanti nazisti contro le finestre del vescovo di Rottenburg-Stuttgart, Sproll, oppositore del regime. Presto ci sarà una delle pietre con cui il corpo del prete polacco Popielusko fu affondato dai sicari comunisti nella Vistola nell’ottobre del 1984. C’è la mitria del vescovo Luigi Padovese accoltellato dall’autista musulmano in Turchia nel giugno del 2010. C’è un sandalo della missionaria cappuccina Inés Arango uccisa a colpi di lancia dai nativi dell’Amazzonia nel luglio del 1987: è forse in un sandalo che meglio leggiamo il segno delle reliquie povere dei nostri giorni. – E’ l’attacco ad elenco di un mio didascalico articolo sul “Memoriale dei martiri del XX e XXI secolo” che viene crescendo nella Basilica romana di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, pubblicato da LA LETTURA – supplemento domenicale del Corsera – l’8 luglio 2012 a pagina nove con il titolo La cristianità riunita dai nuovi martiri.