Mese: <span>Maggio 2013</span>

Mentre veneriamo i Martiri di Otranto, chiediamo a Dio di sostenere tanti cristiani che, proprio in questi tempi e in tante parti del mondo, adesso, ancora soffrono violenze, e dia loro il coraggio della fedeltà e di rispondere al male col bene“: così Papa Francesco all’omelia della canonizzazione degli ottocento martiri di Otranto, indicati come “Antonio Primaldo e compagni (+ 1480)”. Una pagina di “suprema testimonianza del Vangelo” – ha detto Francesco – è stata vissuta nel 1480 da “circa ottocento persone che, sopravvissute all’assedio e all’invasione di Otranto [da parte degli Ottomani], furono decapitate nei pressi di quella città. Si rifiutarono di rinnegare la propria fede e morirono confessando Cristo risorto”.

“Quando si rompe così il ritmo delle cose [com’è avvenuto con il mio sequestro] esse [le piccole circostanze della vita], nella loro semplicità, risplendono come oro nel mondo”: parole di Aldo Moro in una lettera dalla prigione delle Brigate Rosse. Sono passati 35 anni dall’uccisione di Moro, avvenuta il 9 maggio 1978 e dalla preghiera di Papa Montini per lui in San Giovanni in Laterano, gridata a Dio l’11 maggio. Ogni anno in questi giorni rileggo qualcuna delle sue lettere alle quali guardo come a un documento del sentimento cristiano nel fuoco della nostra epoca. Quest’anno ho riletto la lettera che Aldo scrive a Noretta il 26 marzo, domenica di Pasqua e a essa dedico un bicchiere di Vino Nuovo. Per una lettura riconoscente delle lettere di Moro svolta da Roberto Contu leggi qui.

E’ una grazia che dobbiamo chiedere al Signore, la gioia. In questi giorni in modo speciale, perché la Chiesa ci invita a chiedere la gioia e anche il desiderio: quello che porta avanti la vita del cristiano è il desiderio. Quanto più grande è il tuo desiderio, tanto più grande verrà la gioia. Il cristiano è un uomo, è una donna di desiderio: sempre desiderare di più nella strada della vita“: parole dette stamane da Papa Bergoglio nell’omelia al Santa Marta. Sono felice di queste parole perchè otto anni addietro, nel volumetto Il Padre Nostro e il desiderio di essere figli avevo scritto un capitoletto su Il desiderio come categoria cristiana bene rispondente a quanto detto stamane dal Papa.

Curioso: gli argomenti usati dai difensori dell’anonimato su Twitter sono gli stessi addotti dai massoni per giustificare le logge coperte. Resterei se ci fosse almeno un elementare principio d’uguaglianza: l’obbligo di usare la propria vera identità. Strage di ribaldi col nickname“: così Enrico Mentana che lascia Twitter. Condivido. Odio l’anonimato che contagia la Rete e scatena l’insulto. Ringrazio i visitatori che si firmano con nome e cognome e invito gli altri a seguirne l’esempio, mantenendo se vogliono lo pseudonimo ma aggiungendo in coda a ogni commento la propria firma per esteso come in una lettera. Chi preferisce continuare a intervenire coperto dall’anonimato continui pure, ma dovrà essere chiara la distinzione tra le facce e le maschere. E se una maschera insulta – qui sono sempre le maschere a straparlare – lo farò notare. Avrò tolleranza per l’insulto da maschera a maschera ma non per le maschere che insulteranno le facce.

“Cari fratelli e sorelle buongiorno”. Papa Francesco ha appena iniziato a parlare in piazza San Pietro dopo il più lungo dei giri tra la folla che abbia compiuto fino a oggi: 38 minuti, accarezzando un centinaio di bambini, scendendo due volte dalla campagnola per abbracciare una ventina di persone disabili. L’inizio dell’Udienza è previsto per le 10,30 ma Francesco – come i predecessori – esce sulla piazza con qualche anticipo per salutare la folla. L’anticipo è generalmente di una quindicina di minuti e dipende sia dalla quantità dei “pellegrini” annunciati, sia dagli impegni del Papa che precedono l’appuntamento. Nei mesi di avvio dei Pontificati è normale che la piazza si riempia. Di straordinario in quello che abbiamo visto stamane c’è l’intenzione del Papa di ampliare lo spazio della festa con la folla. Una donna si avvicina alla papamobile e chiede al Papa di scendere per andare da una donna anziana, Francesco scende e va ad abbracciarla. La folla gli porta altri invalidi piccoli e grandi e lui va da tutti e a tutti dona – come può – un gesto d’affetto. Poi dice dello Spirito in vista della Pentecoste che sarà domenica 19: “Lasciamo che lo Spirito Santo ci parli al cuore e ci dica che Dio è amore, che sempre Lui ci aspetta, che Lui è il Padre e ci ama come vero papà. E questo soltanto lo dice lo Spirito Santo al cuore“.

Saluto con affetto Andreotti che se ne va. L’ho frequentato da fucino in quanto ex presidente della Fuci, come anche ho frequentato Moro per lo stesso motivo. Poi con Moro è scattata una consonanza che con il divo Giulio non c’è stata. L’ho cercato le cento volte come giornalista ed è stato sempre cordiale e rapido nel rispondere alle mie domande. Non mi ha mai mandato a quel paese. Sono ricorso a lui in un paio di occasioni da biografo di Papa Wojtyla e mi ha ricevuto su appuntamento le due volte aiutandomi a cercare nel suo archivio la documentazione di cui ero alla ricerca. Non ho altro motivo di gratitudine, ma questi sono sufficienti. Delle leggende che ha portato con sé posso attestare come vera quella del mirabile archivio che ha donato per tempo all’Istituto Sturzo. Delle altre non so.

Varcare la soglia della fede comporta la costante trasformazione dei nostri atteggiamenti, modi e regole di vita; spingerci a fare qualcosa di inedito per la società e per la Chiesa; perché se uno è in Cristo, è una nuova creatura“: parole di Jorge Mario Bergoglio quand’era cardinale, consegnate all’ultima lettera pastorale riguardante l'”Anno della fede”, tradotta ora in italiano dalla Libreria Editrice Vaticana. E’ il più interessante tra i testi brevi del futuro Papa che mia sia capitato di leggere. Gli dedico un bicchiere di Vino Nuovo.

1923 – Alla Beatissima Vergine / con devoto affetto / eressero i fedeli qui sotto segnati – Accattoli Luigi / Accattoli Pietro / Accattoli Pasquale / Apisi Gaetano / Badialetto Giulio / Bellezze Luigi / Capomaggi Augusto / Carloni Pietro / Carloni Costantino / Cenci Marino / Cesari Pacifico / Catena Vincenzo / Menghini Nazzareno / Mengoni Antonio / Papa Augusto / Pretini Vitaliano / Piergiacomi Costantino / Polenta Augusto / Quercetti Pacifico / Cupito Cesare / Rossini Nazzareno. È la lapide in marmo bianco posta sul davanti di un’edicola mariana che si trova alla confluenza di due strade bianche – “imbrecciate” si diceva una volta – sul confine tra i comuni di Osimo, Montefano e Recanati, a cento metri dalla casa dove sono nato. Quell’Accattoli Luigi che apre l’elenco dei “segnati” è il mio nonno paterno, del quale “rinnovo il nome”. A quella data il mio papà di nome Giuseppe aveva 24 anni. Io sarei nato – sesto dei sette figli – vent’anni più tardi. Ora siamo nel novantesimo di quella piccola costruzione in mattoni che le manovre dei camion, dei trattori e delle trebbie hanno fino a oggi risparmiato. Immagino di essere il primo che abbia trascritto le parole scalpellate in caratteri maiuscoli che oggi diremmo New Roman. Nei primi commenti alcune mie inutili divagazioni sui nomi e i vocaboli della lapide.

Il cacciatore contadino mi guida per il campo a raccogliere le fave fresche, dopo avermi mostrato nella serra l’innesto dei pomodori. E io che scopro solo oggi quest’arte: quand’ero anch’io un contadino – un contadinello – e andavo a caccia con mio padre, in questa campagna tra Recanati e Osimo si innestavano soltanto le viti, i persechi, i bricoccoli. “Oggi si innestano meloni, angurie, melanzane” e indica i solchetti con le piantine ferite e rinnovate. Mostra il giardino con l’allevamento delle lumache, l’arnia con lo sciame che si viene formando fuori della porticina e già tutta la parete è nera di api zuppe di miele. Mi descrive come cattura lo sciame e io gli racconto come lo catturava Virgilio nel quarto libro delle “Georgiche”.

Riunnovo la mia carezza a Papa Benedetto che torna ad abitare in Vaticano, albero della preghiera piantato nel recinto di San Pietro. Esempio per ognuno che si senta chiamato a essere ovunque pianticella di preghiera. Nel recinto di San Pietro: che è un luogo affollato e anche indaffarato, ma forse non affollatissimo di preghiera e di carità. Da oggi pomeriggio esso dispone di una nuova esemplarità. Lungo gli ultimi vent’anni aveva già conosciuto le monache di clausura (clarisse, carmelitane scalze, benedettine, visitandine) che erano là solo per pregare e le suore di Madre Teresa con la loro Casa della Carità. Ora c’è là un Padre che è passato dalla parte delle donne e ha preso alloggio nella casa che fu loro per occuparsi come loro di quello che più conta. Un Papa che ha scelto per sè l’ombra in cui loro vivevano. Per abitarla rivolto a Dio.