Il blog di Luigi Accattoli Posts

“Il vero nemico da temere e da combattere è il peccato, il male spirituale, che a volte, purtroppo, contagia anche i membri della Chiesa. Noi cristiani non abbiamo paura del mondo anche se dobbiamo guardarci dalle sue seduzioni. Dobbiamo invece temere il peccato e per questo essere fortemente radicati in Dio, solidali nel bene, nell’amore, nel servizio (…). Le prove, che il Signore permette, ci spingano a maggiore radicalità e coerenza”: così il papa dalla finestra a mezzogiorno, ringraziando per la solidarietà che gli manifestava la folla venuta da tutta Italia su invito delle associazioni ecclesiali. Abbiamo un papa che vede nella notte, come la civetta dei monaci. La notte era quella del peccato della pedofilia e degli altri abusi sessuali – dei preti e di tutti – al quale si accompagnava l’accusa del mondo, in parte malevola. La comunità cattolica – sensibile agli attacchi esterni – era tentata di concentrare le energie contro quell’accusa, non vedendo più la causa del buio. Ma Benedetto non l’ha persa di vista e la sta mostrando a tutti.

Incredibile Marcial Maciel Degollado che tradotto significa Marziale e Scannato. Trascinatore di ragazzi e abusatore dei trascinati. Piazzista del sacro e consumatore di droghe. Ingordo di corpi, di sermoni e di dollari.  Amante poligamo. Padre sconoscente. Schiavizzatore di donne. Capace di ogni parte in commedia e sempre con risultato. Niente in comune con noi miserelli che preghiamo e pecchiamo con la stessa neghittosità. Anche per il nome sarebbe piaciuto a Dante e a Shakespeare?.

“Nulla imponiamo, ma sempre proponiamo, come Pietro ci raccomanda in una delle sue lettere: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15). E tutti, alla fine, ce la domandano, anche coloro che sembrano non domandarla”: così papa Benedetto stamane, nell’omelia di Porto. Sulla base della mia esperienza, essendo sempre vissuto in Babilonia (così chiamo gli ambienti della Repubblica e del Corriere della Sera), confermo che alla fine tutti la domandano, quella ragione: “Ma tu ci credi davvero? Dio c’è realmente?” Un collega che mi appariva ateo, o almeno indifferente, poco tempo prima che un tumore lo stroncasse ebbe a dirmi: “Prega tu a nome mio, perchè ultimamente io sono un poco arrabbiato con Cristo e vedo invece che tu hai pazienza con lui”.

“Bisogna annunziare di nuovo con vigore e gioia l’evento della morte e risurrezione di Cristo, cuore del cristianesimo, fulcro e sostegno della nostra fede, leva potente delle nostre certezze, vento impetuoso che spazza via qualsiasi paura e indecisione, qualsiasi dubbio e calcolo umano”: così Benedetto nell’omelia di martedì a Lisbona durante la messa al Terreiro do Paço. “La risurrezione è da tempo il fulcro della mia vita e ho molta voglia di discuterne con lei”: il cardinale Martini a Scalfari nella conversazione pubblicata oggi dalla Repubblica. Altre consonanze sulla “gioia”: il papa parlava in quell’omelia della “gioia vera e duratura” che si trova “seguendo Gesù”; il cardinale descrive a Scalfari “la scoperta della gioia e del gaudio” da parte di chi accetta di inoltrarsi in un “percorso di penitenza che dura tutta la vita” e che porta infine a un’esistenza “nuova e diversa”. Il papa tratta della “morte” di Cristo e il cardinale del Golgota. Ambedue del peccato che scandalizza e della penitenza che rigenera. L’uno nel Santuario, l’altro nel Portico dei Gentili.

Quanto alle novità che possiamo oggi scoprire in questo messaggio [di Fatima] vi è anche il fatto che non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno, dal peccato che esiste nella Chiesa. Anche questo si è sempre saputo ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione alla Chiesa non viene dai nemici di fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa. E che la Chiesa quindi ha profondo bisogno di reimparare la penitenza, di accettare la purificazione, di imparare da una parte il perdono ma anche la necessità della giustizia. Il perdono non sostituisce la giustizia. Con una parola, dobbiamo reimparare proprio questo essenziale: la conversione, la preghiera, la penitenza, le virtù teologali. Così rispondiamo, siamo realisti nell’attenderci che sempre il male attacca, attacca dall’interno e dall’esterno, ma che sempre anche le forze del bene sono presenti e che finalmente il Signore è più forte del male e la Madonna per noi è la garanzia visibile, materna della bontà di Dio, che è sempre l’ultima parola nella storia“: così ieri il papa in volo verso Lisbona ha risposto alla domanda se sia possibile “inquadrare” nella “visione” della Chiesa perseguitata – che è nella terza parte del “segreto” di Fatima – anche “le sofferenze della Chiesa di oggi con i peccati degli abusi sessuali sui minori”. Vedo in queste parole un terzo tempo della meditazione di Benedetto XVI sullo scandalo “terrificante” della pedofilia: terzo dopo quello della lettera agli irlandesi (20 marzo) e l’altro dell’omelica alla Commissione biblica (15 aprile). Tre appelli miranti a porre la Chiesa in penitenza.

“Come in un’antica parabola, la loro missione è battere deserto e montagne, a piedi o in jeep, per lasciare bottiglioni d’acqua lungo i percorsi seguiti dagli immigrati”: leggete sul Corriere della Sera, a pagina 19, il reportage di Guido Olimpio intitolato Con i volontari nel deserto al confine tra Messico e Stati Uniti, dove sono morti a migliaia per il caldo, la sete, i banditi, la disperazione. I «samaritani» dell’Arizona che dissetano i clandestini. Due manager e un giudice sul Camino del Diablo seguono le tracce degli immigrati per lasciare bottiglie d’acqua”. Sono felice che questa storia sia stata narrata dal mio amico Guido.

Padre Nostro, non mio. Io non sono stata una buona figlia ma tu nemmeno un bravo Padre. Ero minorenne, ti ho chiesto aiuto. La tua indifferenza è stata la mia morte. Sono cristiana e voglio giustizia“: scritto con pennarello rosso sulle pareti in lamiera ondulata del gabbiotto di attesa tra i binari 8 e 10 della stazione di Verona Porta Nuova. Mezzo metro più in là, stessa grafia e stesso pennarello ma più vivo, come scritto più di recente: “Nessuno aiuta i miei nipoti. Ti scongiuro“. Non ci sono firme. Intuisco una barbona o una drogata che nel suo cuore fa causa a Dio.

Alberobello, piazza del Popolo, sabato ore 11: esce dal Municipio una coppia di sposi tra riso e fiori. Lei è incinta a palloncino, lui si piega a baciare il bimbo. La sposa si libera del bouquet e mette le mani sul capo dello sposo. Ne vengono bellissime foto. Intorno i parenti festanti e due nonne in nero che ridono e subito tornano serie: al loro bel tempo era gran vergogna sposarsi incinte. E niente foto.

Sono ad Alberobello e bello mi pare dirlo agli amici. Dalla finestra dell’albergo Lanzillotta vedo tre trulli tra i più antichi – mi hanno detto – della cittadina. Li dedico a chi mi legge.

Il capolavoro – stavolta – è nel titolo: «Gesuiti a Roma. Inattese connessioni. Viaggio nel cuore della Compagnia». Dello stesso programma fa parte un “Esercizio spirituale concertato” – e cioè svolto in concerto –  che a me pare un altro colpaccio linguistico. Le connessioni “inattese” avranno il loro culmine nei due prossimi fine settimana, quando i Gesuiti di Roma apriranno le proprie “case” ai visitatori, gratis e senza prenotazione. Non tutte, ma quelle storiche che sono nel complesso del Gesù e che uno può anche vedere dai tetti, se sale sul Campidoglio o sull’altana di Palazzo Bonaparte: sono spezzoni di un mio articolo pubblicato oggi dal Corriere della Sera Roma a p. 6 con il titolo I GESUITI SPALANCANO LE PORTE. NEL QUARTO CENTENARIO DELLA MORTE DEL “MANDARINO” MATTEO RICCI.