Il blog di Luigi Accattoli Posts

“E’ mia intenzione di continuare a essere al servizio di tutti gli iracheni, cristiani e musulmani” dice della sua nomina a cardinale il patriarca caldeo Emmanuel III Delly intervistato dall’Osservatore Romano. Ha compiuto 80 anni il mese scorso e queste sue parole sono le più evangeliche che io abbia trovato girando intorno al Concistoro: “In Iraq non c’è persecuzione verso i cristiani in quanto tali ma verso il popolo iracheno, perchè le autobombe ammazzano cristiani e musulmani indifferentemente, senza guardare all’etnia o alla religione. Le sofferenze dei cristiani sono quelle dei musulmani e viceversa. Sono state distrutte non solo chiese ma anche moschee. E ciò in un Paese in cui entrambe le comunità vivono insieme da quattordici secoli. È per questa ragione che i musulmani – sanniti e sciiti – vengono da me e io vado da loro”. Il mio abbraccio al cardinale patriarca che parla la lingua dei giusti.

Sono le 22 e 30. Mia moglie ed io passeggiamo per viale Manzoni davanti al Santa Maria, in attesa che la figlia più giovane esca dalla riunione del gruppo Scout. Un fioraio bengalese piccolo e storto vuole vendermi una rosa per due euro, io gliene chiedo tre per cinque euro e lui me ne dà quattro. Ride felice, si inchina a mia moglie e bacia con garbo il risvolto del mio giaccone.

In ogni piccolo ma genuino atto di amore c’è tutto il senso dell’universo“: l’ha detto domenica Benedetto all’Angelus e io sono entusiasta di queste parole. Da quando le ho ascoltate le rumino come a volte cerco di fare con le beatitudini e altri detti di Gesù. Una volta – da teologo – aveva scritto: “L’amore basta e salva l’uomo. Chi ama è un cristiano” (Joseph Ratzinger, Tempo di Avvento, Queriniana 2005, p. 63 – l’originale tedesco è del 1965). Anche nella Deus caritas est c’è una perla di grande splendore: “Il cristiano sa che Dio è amore e si rende presente proprio nei momenti in cui nient’altro viene fatto fuorché amare” (n. 31). Ma forse il motto di domenica è il più bello dei tre. Lo dedico ai miei visitatori come un piccolo dono e come una riprova della forza di parola del nostro Benedetto (vedi post del 15 aprile, del 19 febbraio e – in particolare – del 10 agosto 2006).

Mando un saluto ai miei bloggers da Gela, dove sono con don Giuseppe Costa – direttore della Libreria editrice vaticana – per la presentazione del libro del papa su Gesù che si è tenuta qui, presso la parrocchia Regina Pacis, su iniziativa del parroco don Angelo e del vescovo di Piazza Armerina Michele Pennisi. La generosa ospitalità dei siciliani mi ha permesso di vedere per la prima volta il “muro greco” di Gela, sulla collina di Capo Soprano, meraviglia del costruire bello dei greci della Trinacria che inseguivo con la fantasia da quando avevo letto “Sicilia mia” di Cesare Brandi. Ho anche sognato a occhi aperti nelle sale del museo archeologico di cui nulla sapevo, guidato di meraviglia in meraviglia dall’archeologa Lavinia Sole, avventurata scopritrice delle sorprendenti “arule” arcaiche che lì sono esposte.

L’intervista dell’arcivescovo Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don, segretario della Congregazione per il Culto, pubblicata venerdì da Fides preannuncia nuovi interventi correttivi del papa in materia liturgica: «Molte cose ancora devono essere messe in ordine». Affronto la prima delle “cose” segnalate: comunione nella mano, abolizione delle balaustre e degli inginocchiatoi, introduzione di danze, strumenti musicali e canti “che ben poco hanno di liturgico”, usi impropri delle chiese, omelie politico-sociali. Cito: “La riforma post conciliare non è del tutto negativa; anzi ci sono molti aspetti positivi in ciò che fu realizzato. Ma ci sono anche dei cambiamenti introdotti abusivamente che continuano a essere portati avanti nonostante i loro effetti nocivi sulla fede e sulla vita liturgica della Chiesa. Parlo qui per esempio d’un cambiamento effettuato nella riforma, il quale non fu proposto né dai Padri Conciliari né dalla Sacrosanctum Concilium, cioè la comunione ricevuta sulla mano. Ciò ha contribuito in qualche modo ad un certo calo di fede nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia”. Davvero la comunione nella mano è stata introdotta abusivamente? Paolo VI prima di autorizzare a tale innovazione le conferenze episcopali consultò l’intero episcopato della Chiesa latina dandone conto nell’istruzione Memoriali Domini (1969) e subordinò la decisione alla maggioranza qualificata dei due terzi e alla conferma da parte della Santa Sede. E’ sulla base di quella procedura che la novità è stata introdotta in quasi tutto il mondo, incontrando il gradimento dei praticanti. I vescovi italiani l’approvarono nell’assemblea del 1989 – dopo averci pensato su dieci anni – e il decreto attuativo è firmato dal cardinale Ugo Poletti presidente e dall’arcivescovo Camillo Ruini segretario. Un cambiamento autorizzato da un papa, deciso dai vescovi, confermato da un altro papa e serenamente recepito dai cristiani comuni – che a maggioranza tendono le mani, mentre alcuni si avvicinano con la bocca – può essere definito “abusivo”? E’ una domanda di giornalista, intesa a conoscere e non a polemizzare, che rivolgo all’arcivescovo Patabendige Don al quale va tutta la simpatia che merita un uomo dello Sri Lanka che vive e opera dentro le mura leonine.

“Teniamoci stretti per mano amore mio – in due non si può avere paura”: messaggio di lui a lei nel sito dei lucchetti che abbiamo visitato nei post del 5 e dell’11 novembre. Vedo in quelle poche parole un documento dell’epoca, quando uomini e donne sembrano cercarsi per vincere la percezione di una solitudine insostenibile. 

Può capitare che la morte di un uomo racchiuda più di una verità: oggi il modo di morire di papa Wojtyla è stato citato da Benedetto XVI come esempio di rifiuto dell’eutanasia e dall’arcivescovo Ravasi — ministro vaticano della Cultura — come rifiuto dell’accanimento terapeutico. E’ ancora negli occhi di tutti la tenacia del papa polacco che scelse di continuare la sua «missione» benchè ormai incapace di camminare e di parlare. E sappiamo che quando arrivò la crisi finale rifiutò il ricovero chiedendo: «Se mi portate al Gemelli avete modo di guarirmi?» (vedi post del 18, 24, 25, 27 settembre). Quelli i fatti. Ed ecco le parole con cui sono stati richiamati dal papa e dal suo ministro. «In più occasioni — ha detto Benedetto XVI — il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II, che specialmente durante la malattia ha offerto un’esemplare testimonianza di fede e di coraggio, ha esortato gli scienziati e i medici a impegnarsi nella ricerca per prevenire e curare le malattie legate all’invecchiamento, senza mai cedere alla tentazione di ricorrere a pratiche di abbreviamento della vita anziana e ammalata, pratiche che risulterebbero essere di fatto forme di eutanasia». Ed ecco il richiamo alla morte del papa polacco fatto dall’arcivescovo Gianfranco Ravasi in un’intervista pubblicata ieri dal «Corriere della Sera»: «Quando un malato si sta avviando alla fine della vita vanno evitati gli esami eccessivi e le cure troppo invasive. Ricordiamoci della scelta fatta da Giovanni Paolo II».

Conosco un ragazzo di 14 anni che all’occasione comanda ai genitori separati e mette pace tra loro. In conflitto da quando egli è nato, spesso si incontrano a causa sua ma facilmente vengono a parole e si fanno dispetti. Il ragazzo modera, dà la parola, dice “mamma hai torto tu”, oppure “papà lasciala dire”. I genitori hanno imparato a obbedirgli. Egli li ama alla pari e non tollera che l’uno sparli dell’altro se è assente. Fa da arbitro se discutono in sua presenza, ha una buona autorità su ambedue. Non ho mai conosciuto un migliore costruttore di pace nella vita privata.

“Non lo sapete ma il buio pesto della mia anima si è trasformato nel buio delle nostre pazze notti. Cat”: letto nel sottopassaggio della stazione di Sestri Levante, uscita verso la città, lato sinistro. Immagino questa Caterina (o questo Catervo) felice della comitiva in cui si è inserita e consapevole della propria vocazione di farfalla notturna, nella buona e nella cattiva sorte.

Ho aggiornato l’agenda telefonica e ho evidenziato – seguendo l’alfabeto – Giuseppe Alberigo, Oreste Benzi, Rosalio Josè Castillo Lara, Orazio Petrosillo, Giorgio Rumi, Luigi Sartori, Pietro Scoppola. Lo faccio una volta all’anno, nell’ottavario dei morti. Ho disegnato un fiore accanto ai nomi che da decenni ero abituato a chiamare al telefono e con i quali ormai parlerò faccia a faccia.