Il blog di Luigi Accattoli Posts

Sai l’ultima sul papa e la politica italiana? “Appena vede Prodi gli dà subito la comunione sperando che giovi” (con riferimento al fatto che il presidente del Consiglio ha ricevuto la comunione dalle mani del papa il 17 giugno ad Assisi e il 21 ottobre a Napoli).

Nuova visita del Pontefice a Vigevano (dov’è stato il 21 aprile) per un convegno sui documenti del Concilio Vaticano II, che viene così segnalato dalla Sala Stampa della Santa Sede: “I DOCUMENTI DEL CONCILIO – VIGEVANO” (più che vaticana questa malalingua è ecclesiastica e mi è stata segnalata da Luca Grasselli)

“Perché questa guerra intorno ai due Marini?” E’ la domanda che mi viene posta da un visitatore che vive a Genova. Dice che in questo e in altri blog ha letto valanghe di critiche all’ex Maestro Piero Marini. Mi chiede se il suo operato fosse apprezzato da Giovanni Paolo e se sia vero che egli è contrario al vecchio rito mentre Marini junior ne sarebbe un sostenitore. Rispondo in breve e rimando all’intervento che ho tenuto venerdì nell’Aula del Sinodo, per la presentazione di tre volumi dell’Ufficio delle celebrazioni (è l’ultimo tra i testi della pagina Conferenze e dibattiti, elencata sotto la mia foto). Sarà l’anima larga del giornalista, ma non riesco a prendere sul serio i musi lunghi di tanti sul Motu proprio a favore della messa tridentina e la smodata esultanza di altri per quello stesso atto papale. Lasciamo stare le polemiche marginali tra chi vuole il sacerdote di faccia e chi di spalle e guardiamo a ciò che conta: che donne e uomini di innocente sentire possano lodare Dio nella lingua e con i gesti in cui meglio si ritrovano. E guardiamo al grande cuore di un papa che permette questo ampliamento. Agli amici spaventati dal Motu proprio, monaci di Camaldoli, vescovi vari, curiali sconvolti: che vantaggio abbiamo a interpretare un ampliamento per una restrizione? Agli altri amici che non finiscono di esultare per il Motu proprio: non dimenticate che il Vaticano II ha riconosciuto la necessità di rivedere i riti, ampliare le letture bibliche, ristabilire la preghiera dei fedeli e la concelebrazione, offrire un’ampia scelta di orazioni. Se avete in odio tutto ciò, vuol dire che il vostro attaccamento alla tradizione ha qualcosa di inceppato. Se invece apprezzate quelle novità e solo volete mantenervi fedeli a ciò che fu di tutti, allora sono con voi. Non cercherò la vecchia messa, ma se mi troverò ad assistervi l’amerò quanto l’altra – con in più l’emozione di ritrovare quanto mi fu un tempo familiare. 

(Continua nel primo commento a questo post)

Si firma “Eternamentepiccola” e manda al sito dei lucchetti che abbiamo già visitato nel post del 5 novembre questo trepido messaggio: “Sei molto dolce con me e so che ti piaccio da morire, ma non conosco i tuoi sentimenti e non ti dico cosa provo io per paura di vederti fuggire”. 

Ieri pomeriggio nell’Aula del Sinodo, presentazione dei volumi Magnum Jubilaeum, Sede Apostolica Vacante, Inizio del ministero petrino – tutti e tre a cura dell’Ufficio delle Celebrazioni liturgiche, pubblicati dalla Libreria Editrice vaticana. Io tra i relatori, gli altri due erano il liturgista Corrado Maggioni e lo storico Roberto Rusconi. Soprassalto per me dei sentimenti, essendo stato le cento volte in quell’aula come giornalista ad ascoltare i santi padri e trovandomi ora lì, al tavolo dei cardinali e del papa! C’ero per invito dell’arcivescovo Piero Marini, Maestro uscente ed era presente anche Guido Marini, Mestro entrante. Per non intrecciarmi avevo un testo scritto e avevo anche fatto le prove di lettura al fine di restare nella mezz’ora prescritta. Nel mio testo c’era questo passaggio sull’ampliamento dell’Ufficio realizzato da Marini senior con il coinvolgimento di consultori (che prima non c’erano) di varia provenienza: “Mai in precedenza quell’Ufficio aveva avuto una conduzione altrettanto allargata e collegiale. I frutti che ho elencato sono stati possibili grazie a quella larga confluenza di ingegni e di energie. Un’esperienza che ora è affidata al nuovo Maestro Guido Marini che molto eredita e dunque molto avrà da vagliare e valorizzare”. Qui al testo scritto ho aggiunto: “Vedo in quest’aula il nuovo Maestro al quale rivolgo un saluto a nome dei colleghi, benchè nessuno a ciò mi abbia incaricato. Perchè noi giornalisti siamo grati al Marini uscente ma vorremmo anche gettare dei buoni ponti verso il Marini entrante”. C’è stato un appluso e un poco si è sciolta la tensione che fin dall’inizio teneva in silenzio l’assemblea, mentre i due Marini accennavano l’uno all’altro come commossi e divertiti.

Vado incontro alla passione dei miei visitatori per il trasferimento del vescovo Bregantini da Locri-Gerace a Campobasso (vedi post precedente) riportando alcune battute sue e di altri che aiutano a interpretare la vicenda. La più impotante mi pare questa sua dichiarazione: “Avrei potuto dire no al Santo Padre, ma se non avessi obbedito, cosa mi avrebbero potuto dire i tantissimi parroci che ho trasferito in questi 13 anni di mia permanenza nella diocesi di Locri-Gerace? L’obbedienza è principio di ogni virtù e crea sempre la pace”. – “A Locri, dopo di lui, la Chiesa invierà chi saprà non farlo rimpiangere” ha scritto Dino Boffo su Avvenire e io ne sono sicuro: credo soprattutto che ascolteranno il consiglio di Bregantini. – Armando Dini, arcivescovo uscente di Campobasso: «Ho dovuto lottare molto petr averlo come mio successore. La Santa Sede non voleva. È questo il migliore regalo che potessi lasciare ai molisani». – Antonio Riboldi, già vescovo di Acerra: “Bregantini per tanti aspetti mi ricorda don Puglisi. Due sacerdoti che hanno picchiato duro contro la criminalitá e si sono battuti per restituire ai fedeli la speranza. Però don Puglisi è stato fatto fuori e temo che Bregantini corresse lo stesso rischio. La Chiesa però non ha bisogno di martiri, ma di servi». – Giuseppe Agostino, che da arcivescovo di Crotone aveva consacrato vescovo Bregantini: «Non bisogna guardare al trasferimento con troppa fantasia. È stato promosso perchè la Chiesa ha tenuto conto del suo grande impegno a livello sociale e antimafia, lo ha considerato un elemento positivo. Forse voleva farlo riposare, le considerazioni sono molteplici e d’altro canto non bisogna dimenticare che è stato più volte oggetto di attentati». Si può avere fiducia che Bregantini darà una scossa al Molise e che al suo posto andrà uno che saprà continuare il suo lavoro.

Un abbraccio a Giancarlo Maria Bregantini, vescovo coraggioso, trasferito da Locri-Gerace a Campobasso. A fare chiarezza sul trasferimento sarà lui in persona con un’intervista alla Radio Vaticana che verrà trasmessa nel radiogiornale delle 14 e della quale è stato anticipato il testo ai giornalisti in Sala Stampa vaticana. Parla di “obbedienza” come già nelle dichiarazioni degli ultimi giorni, ma parla anche dell’impegno della Chiesa nella lotta alla ‘ndrangheta e si dice fiducioso che quella lotta da parte della comunità di cui è stato vescovo possa continuare anche senza di lui, purchè il suo successore sia una “persona umile”, cioè capace di ascoltare il grido del suo popolo e di accompagnarne la speranza. In Vaticano e alla Cei assicurano che non si tratta di una rimozione, ma di una “vera promozione” a una sede meno ardua, che comporta il titolo di arcivescovo e che prevede l’opportunità di essere eletto a presidente della Conferenza episcopale abruzzese-molisana. Dicono anche che la Cei ha sempre sostenuto le iniziative sociali di Bregantini con i fondi dell’8 per mille. Ritengo credibili queste affermazioni. Le dichiarazioni del vescovo non le contraddicono. Ricordo almeno tre occasioni in cui Giuseppe Betori, segretario generale della Cei, ha dichiarato in conferenza stampa il pieno sostegno della Chiesa italiana al vescovo di Locri. Non è da escludere che tra i motivi del trasferimento vi possa essere anche l’incomprensione – cresciuta negli anni – tra il combattivo Bregantini e altri vescovi della Calabria meno decisi a rischiare la pelle per sete di giustizia. Ma confido che non sia questa la prima ragione.

“Quello che oggi è modernissimo domani è passatissimo” ha detto stamane all’udienza generale papa Benedetto con un bell’errore di lingua. “Quanto è oggi modernissimo, domani sarà vecchissimo” suona quella battuta nel testo messo in rete dalla Sala Stampa vaticana. Ma conviene correggere il papa che sbaglia con la lingua? E’ questione disputata tra gli addetti ai lavori. Ricordo tante occasioni in cui ebbi a discuterne con Orazio Petrosillo (vedi post del 12 e 15 maggio): il papa diceva qualcosa in un italiano di fantasia e lui lo voleva mettere in buona lingua, io invece lo volevo dare tale e quale. Sono ancora di quel parere. Papa Wojtyla compiva molti errori di lingua e le sue improvvisazioni attiravano anche per questo, fin dal fortunatissimo “se mi sbaglio mi corrigerete”. “Vi saluta il papa deficiente ma non ancora decaduto” disse in un saluto dalla finestra il 21 novembre 1993. Papa Ratzinger non sbaglia quasi mai. Le sue improvvisazioni si possono trascrivere tali e quali e vengono perfette, si direbbe già munite dello spazio per i punti e le virgole. Ma ogni tanto si sente che l’italiano non è la sua lingua e qualcuno interviene sul testo registrato. Io consiglierei di non farlo, a meno che non si tratti di un’espressione difficile a intendere e in tal caso metterei comunque in nota o tra parentesi il testo realmente pronunciato. L’errore di oggi era innocuo, se pure era un errore. A lasciarlo come suonava nessuno ci scapitava e il dettato acquistava in vivacità. Evitando di correggere il papa si eviterebbero anche tutte le diatribe che sorgono quando la correzione non è – o non appare – del tutto innocente, com’è capitato in occasione delle battute con cui Benedetto rispose ai giornalisti in aereo durante il volo che il 9 maggio scorso lo portava in Brasile.

Torno al libro del papa su Gesù (vedi post del 26 ottobre) per dare conto ordinatamente delle specificità del Vangelo di Luca che vengono elencate intorno a quella sorprendente “comprensione” per i giudei che volevano restare al vino vecchio invece di “gustare” quello nuovo portato dal rabbi di Nazaret (pp. 214-217). Solo Luca ci riferisce che Gesù costituì “accanto alla comunità dei dodici un gruppo di settanta”, nei quali “si annuncia il carattere universale del Vangelo, che è pensato per tutti i popoli della terra”. Luca narra che “molte” donne facevano parte della comunità ristretta dei credenti e mette in luce come “il loro accompagnare Gesù nella fede era essenziale alla costituzione di questa comunità, come si sarebbe poi dimostrato con particolare evidenza sotto la croce e nel contesto della risurrezione”. Egli è poi “l’evangelista dei poveri” e anche nei confronti degli israeliti mostra una comprensione particolare: “Le passioni, che furono suscitate dall’inizio della separazione tra Sinagoga e Chiesa nascente e che hanno lasciato traccia in Matteo e in Giovanni, in Luca non si trovano” (è a questo punto che Ratzinger-Benedetto tratta della benevola aggiunta di Luca al detto di Gesù sul vino e sull’otre). Infine “presta particolare attenzione alla preghiera di Gesù come fonte della sua predicazione e del suo operato”. Conclude esprimendo il convincimento che “proprio in questi aspetti specifici della tradizione lucana ci è conservato qualcosa di essenziale circa la figura originaria di Gesù”. Segue il capitolo sui “tre grandi racconti in parabole” che solo Luca riporta: il samaritano, i due fratelli, il ricco e il povero. E attendiamo il secondo volume – pare arrivi presto – che tratterà della passione ma conterrà “anche il capitolo sui racconti dell’infanzia”, che sarà ovviamente un capitolo lucano. Stante la mia passione per Luca, non posso che rallegrarmi della preferenza mostrata dal papa. E mi azzardo a immaginare che le donne, gli ebrei, i poveri e gli oranti saranno quelli che più riceveranno da papa Benedetto.

“Gattino&gattona – ringrazio il destino e soprattutto la chat che ci ha uniti”: scritto sotto la foto dei due guancia a guancia nel sito www.lucchettipontemilvio.com. “Ciò che Dio ha unito” si diceva una volta – e ora magari lo fa la chat.

«Don Oreste Benzi era un romagnolo. Della sua origine conservava e manifestava una generosità senza limiti; per noi “persone perbene” a volte esagerata. Ma solo per la sue esagerazione oggi siamo ricchi di tante iniziative a favore degli ultimi. Del Signore parlava in ogni occasione, con la fiducia di un figlio, con l’amore di un discepolo»: così ha parlato di don Oreste l’arcivescovo di Modena Benito Cocchi, un altro che esagera con la carità (vedi post del 15 marzo: Parabola del vescovo e del bugliolo e commento n. 15 al post del 6 settembre: Lucio Dalla e la “momentanea assenza” di Pavarotti).