Il blog di Luigi Accattoli Posts

Pietà per il bimbo di Firenze che era vivo dopo l’aborto e che ora se ne è andato.

Pietà per i genitori tre volte sconvolti. Dalla decisione di non accogliere il figlio, dal figlio che arriva in quel modo e in quel modo riparte.

Pietà per le generazioni che sono oggi sulla terra, chiamate a sentimenti che non trovano parole.

Pietà.

Sulla legittimità e i limiti dei titoli ecclesiastici – papa, padre, eminenza, eccellenza, monsignore, don – vi è stata vivace discussione tra i commentatori del post del 4 marzo. La riprendo segnalando un testo giovanile del teologo Ratzinger: “La nostra realizzazione cristiana effettiva non sembra essere la maggior parte delle volte assai più simile al culto delle alte cariche dei giudei stigmatizzato da Gesù che non all’immagine da lui disegnata della comunità cristiana fraterna? Non soltanto il titolo di ‘padre’ viene limitato in Matteo 23, 8-11 (Non fatevi chiamare rabbi, padre, guide), bensì tutta la forma esteriore (ribadiamolo: esteriore) del gerarchismo, così come essa si è strutturata nei secoli dovrà in continuazione lasciarsi giudicare da questo testo” (La fraternità cristiana, Queriniana 2005, p. 74). Il volumetto da cui ho preso la citazione è del 1960, risale cioè a prima del Concilio e a un Joseph Ratzinger poco più che trentenne. A mio parere si tratta del più inquieto e sollecitante novità tra gli scritti giovanili del futuro papa. Ecco un altro brano di quel volumetto che potrebbe essere intitolato Cancellazione cristiana dei confini: “Nella sua tendenza a una radicale cancellazione dei confini il cristianesimo pone di continuo in crisi tutte le differenze esteriori, anche le differenti forme di fatto esistenti all’interno della Chiesa, e ci costringe a purificarle e ad animarle in continuazione dall’interno con lo spirito dell’uguale fraternità, che ci ha fatto diventare “uno” in Cristo Gesù: “Non c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” come recita Galati 3, 28″ (ivi, p. 82).

Fuochi coloratissimi in un’intervista di Francesco Cossiga al Riformista, dove tratta di una “tirata d’orecchio” che gli sarebbe arrivata dal Vaticano per i toni polemici con cui aveva ribattuto alle posizioni di altri cattolici sui Dico.
Eccolo lanciare carboni ardenti su Martini e Tettamanzi: “Sarei tentato di assumere la stessa posizione del cardinale Carlo Maria Martini, gesuita, arcivescovo emerito di Milano, che ha dichiarato con candore e umiltà a proposito dei Dico che ‘L’argomento è complesso’, e che lui, successore degli Apostoli, ‘non si impiccia’. O almeno la posizione equivoca, ‘un passo avanti e uno indietro’, del cardinale Dionigi Tettamanzi… nel nome della pace religiosa tra i cattolici”.
Ancora su Martini e vescovi e laici che chiama “cattolici democratici”: annuncia che “dopo questa intervista” tacerà sui Dico, anche perchè “non sono un vescovo, come il cardinal Martini, monsignor Bettazzzi e i vescovi di Padova, Pisa e Taranto, ma solo un laico, anche piuttosto ignorante, che poco conta nello Stato e certamente nella Chiesa. Non sono né Melloni né Scoppola né Elia né la Bindi né la Binetti, io!”
Su Bertone: “Cercherò di capire che cosa vuole la Segreteria di Stato. E forse voterò come voterebbero certamente il cardinale Martini e molti altri vescovi, religiosi e presbiteri se mai avessero il diritto di votare in Parlamento: non voterò a favore, ma neanche contro, e forse mi asterrò dal voto e dalla votazione”.
Bis per Bertone. Prima di questa intervista, il senatore a vita aveva detto all’Ansa d’essere stato “rimproverato anche di aver mancato di rispetto al Vaticano”, ma non per telefono, com’era stato scritto bensì “con una lettera piuttosto insolente, anche perchè indirizzata a un ex capo di uno Stato al quale il Vaticano è legato da accordi solenni. Accordi che hanno attribuito, a suo tempo, anche con la mia collaborazione politica, alla Chiesa italiana enormi privilegi ignorati dalla storia dei concordati”.
Ce n’è anche per Bagnasco: “Con l’uscita di scena del cardinale Ruini – aveva detto sempre all’Ansa – e con la successione di un militare con rango di generale di Corpo d’armata posto alle dipendenze dirette del segretario di Stato, la musica cambia. E io, che specie dopo il colloquio del
segretario di Stato vaticano con il presidente del Consiglio entrambi ‘cattolici doc’ non ci capisco più niente, seguirò il consiglio di un autorevolissimo cardinale già aspirante papa, che ha detto “l’argomento è complesso ed io non me ne impiccio”.
Bis per Bagnasco: “Non comprendo – aveva detto poco prima all’agenzia Adnkronos – questi bisticci da cortile tra i cattolici democratici Rutelli, Bobba, Bindi e Binetti sul problema dei Dico. Ma non hanno ancora capito che, col cambio del segretario di Stato vaticano e con la nomina del ‘soldatino’ a successore del cardinale Ruini, l’interesse della chiesa per questo argomento è molto diminuito?”
Da esperto in maldicenze confesso che con il “soldatino Bagnasco” la malalingua sarda batte ogni malalingua vaticana da me mai ascoltata.

“La preghiera non è un accessorio, un optional, ma è questione di vita o di morte. Solo chi prega, infatti, cioè chi si affida a Dio con amore filiale, può entrare nella vita eterna, che è Dio stesso”: parole del papa all’angelus, che segnalo come esempio della forza di linguaggio di papa Benedetto (vedi post del 19 febbraio e altri lì richiamati). Giovedì scorso ero a un dibattito a Venezia, presso il Centro Pattaro e ho ascoltato dal pastore valdese Fulvio Ferrario un’altra simile parola forte a riguardo del nostro pensiero di Dio: “Dire resurrezione dei morti è un altro modo di dire chi è il Dio di Gesù Cristo”. Il papa oggi ha detto che “la vita eterna è Dio stesso”.

“Chi pensa troppo si dimentica di vivere”: letto su un muro di via Ennio Quirino Visconti a Roma. Si tratta di un muro pieno di scritte, che si trova sulla sinistra, poco prima dello sbocco sul lungotevere. Una donna arguta che cammina con me esclama: “Ma questo è un muro parlante!”

Leggo la prima lettera dell’arcivescovo Ignazio Sanna ai cattolici di Oristano, intitolata Guardare sopra il sole (ha la data del 1° gennaio 2007) e la segnalo ai visitatori del blog per l’immagine forte consegnata al titolo, così spiegato dallo stesso Sanna: “Troppo spesso si sente ripetere il detto biblico: ‘niente di nuovo sotto il sole’. Io vorrei che il mio minsietro di verità e di carità aiutasse tutti a guardare sopra il sole, e qui trovare ispirazione e motivazione per vincere il fatalismo, ricominciare, combattere la rassegnazione. L’esperienza ci dice che solo l’animale guarda verso terra, mentre l’uomo è nato per guardare in alto. Ma guardare in alto è espressione simbolica per dire ‘guardare a Dio’. Bisogna ricominciare a guardare a Dio”. Approfitto di questa citazione per mandare un bel saluto a don Ignazio, caro amico e valente teologo. E osservo che i nostri due teologi di maggior nome, Bruno Forte e Ignazio Sanna, ambedue presenti nella Commissione teologica internazionale, sono stati fatti vescovi lungo gli ultimi tre anni. Il primo da papa Wojtyla, il secondo da papa Ratzinger. 

Buona Madre Maria

vorrei dirti oggi

quanto sono preoccupata

per i miei nipoti e pronipoti.

Vivono altrimenti che io lo sognavo,

vivono per altri valori,

seguono altre norme.

Vanno per le loro proprie vie

e spesso non capisco

ciò che rispondono alle mie domande.

Sono buoni fanciulli

però la loro fede è tanto differente

da quella che noi abbiamo imparato un tempo.

Buona Madre Maria

tu capirai i miei grattacapi:

anche il tuo Figlio prendeva delle vie

altre da quelle che sognavi

e anche le sue parole

suonavano spesso tanto strane.

Preoccupati dei miei nipoti e pronipoti.

Resta con loro, non lasciarli soli.

E possano attraverso tutto

riscoprire il tuo Figlio. Amen

 

(Da un testo dattiloscritto, intitolato Preghiera di una bisnonna, trovato in più copie – a disposizione dei visitatori – nella chiesa romana di San Giorgio al Velabro)

“Dove andate cornuti e mignotte bastardi che ci sta la fine del mondo?”: scritto su un muro in via Paolina, a Roma, all’angolo che dà sul fianco sinistro di Santa Maria Maggiore.

Venerdì 23 Avvenire scrive che “è avviato un processo di beatificazione” del commissario Calabresi. La famiglia, il Vicariato di Roma (dove il commissario è nato) e la Curia di Milano (dove è morto) prima dicono che non ne sanno nulla e poi smentiscono. Per tutto il pomeriggio è una ridda di illazioni e dichiarazioni. Per un momento sembra che il Vicariato abbia dato un “nulla osta” per la raccolta della documentazione sul personaggio, ma subito il portavoce smentisce anche questo preavvio. Avvenire di oggi dedica alla questione un trafiletto (ieri era una pagina) dove si dà conto che il  Vicariato ha fatto la sua precisazione “dopo la notizia di un presunto ‘nulla osta’ diffusa ieri dalle agenzie”. Insomma viene gettata la croce sulle agenzie per quel peregrino “nulla osta” e non si dice nulla della falsa notizia della causa data da Avvenire e da tutti smentita. E’ abituale che il quotidiano cattolico faccia la predica a noi informatori religiosi della stampa laica perchè – sostiene con ogni ragione – non corregiamo quasi mai le informazioni sbagliate che ogni tanto diamo e mai ammettiamo l’errore. E’ vero, noi siamo indifendibili. Ho fatto qualche battaglia nei due quotidiani dove ho lavorato e lavoro per riconoscere i “miei” errori e sono stato quasi sempre sconfitto. Ma oggi posso dire ad Avvenire: “Oimè, quanto somiglia al tuo costume il mio!”

Secondo Francesco Cossiga «la segreteria di Stato ha tolto alla Cei la gestione dei rapporti col governo e la guida diretta della Chiesa italiana per avocarle a sè». Il presidente emerito ne parla in un’intervista al Quotidiano nazionale di ieri, ragionando sull’incontro Bertone-Prodi di lunedì che ha tagliato fuori il cardinale Ruini. Per Cossiga «in rottura con la prassi inaugurata da Paolo VI e confermata da Giovanni Paolo II, la Segreteria di Stato ha riaffermato la propria superiorità sulla Chiesa d’Italia».Riguardo alla possibilità che questa novità possa modificare la linea del Vaticano rispetto al governo, Cossiga dice: «Credo di sì. È noto che il cardinale Bertone non vedeva con favore la linea di intransigenza della Cei». Credo sia vero che il cardinale Bertone rivendica un ruolo più attivo verso l’Italia, ma questo non vuol dire che avochi a sé “la guida diretta della Chiesa italiana”. E non credo che comporti una linea può flessibile: la linea è la stessa e viene dalle indicazioni del papa. Muta la gestione e la distribuzione delle responsabilità, non la posizione. Il papa – e Bertone per lui – vuole meno forti e meno protagoniste le conferenze episcopali. Presidenti leaders come il cardinale Lehmann in Germania e il cardinale Ruini in Italia, che guidano per un ventennio il rispettivo episcopato, finiscono con il dare un tale ruolo al “coordinamento” tra vescovi da farne un terzo soggetto ingombrante tra il vescovo e il papa. Ma abbassando il profilo della presidenza della Cei, chi fa poi valere sulla scena pubblica la posizione della Chiesa? Il segretario della Cei, o il presidente (che non sarà più necessariamente il vicario di Roma, né un cardinale), o altro vescovo a ciò delegato, magari come portavoce di una commissione, che opererà in stretto rapporto con la Segreteria di Stato. Un rapporto che varrà solo per l’azione ad extra e non per la “guida della Chiesa”, che ovviamente resterà ai singoli vescovi e al loro coordinamento in conferenza.