Mese: <span>Febbraio 2010</span>

Scade domani il tempo dato all’Italia dai sequestratori di Sergio Cicala (vedi post dell’8 febbraio: IL VOLTO DI PHILOMENE OSCURATO DAI SEPOLCRI IMBIANCATI) per ottenere la liberazione sua e di sua moglie: la scarcerazione di terroristi di Al Qaeda detenuti in Mali e in Mauritania. Per il nuovo video messaggio in vista della scadenza vedi qui. Accompagno le ore di Sergio e Philomene ripetendomi il racconto fatto al momento della liberazione, il 23 gennaio, dall’ostaggio francese Pierre Camatte, già prigioniero con i due italiani e quattro spagnoli: «Sono dei pazzi fanatici pericolosi, convinti di essere in possesso della verità. Leggono tutto il tempo il Corano, sostengono che i musulmani in Francia non sono dei veri e buoni musulmani e che il loro obbiettivo è di islamizzare il mondo. Reclutano i combattenti soprattutto tra i giovani. I miei carcerieri avevano quasi tutti meno di 20 anni. La condizione più difficile è stata la solitudine. La mia prigione non aveva sbarre. Solo un tetto, ero isolato, con il caldo terribile del Sahara, con condizioni igieniche inimmaginabili, cibo e acqua disgustosi. Mi hanno picchiato quando tentavo di resistere».

Per mio marito. Tua moglie ti ama!! Ritorna“: scritto su un segnale stradale della via Appia Antica, alla confluenza della via di San Sebastiano, nella periferia Sud di Roma. Ricordo che la prima scritta murale da me riportata nel blog il 2 agosto 2006 era simile a questa: “Due parole: Davide parlami…”. Donne che gridano per via.

L’elicottero caccia i gabbiani che subito ritornano in scena.

Con un ghigno, Gianni Tonin ricorda quando ha pagato tutte le multe e ospitato nel piazzale le quattro famiglie: «Così imparano a mandarli via». «Ogni giorno c’era un polverone di denunce e io ho fatto prendere a tutti e sei la residenza, così ho risolto il problema e i bambini possono andare a scuola: ogni settimana ciascuno riceve ottanta euro, hanno la corrente il bagno esterno e il riscaldamento». – E’ un brano di un racconto del collega Martino Galliolo che ho letto nel Corriere del Veneto di oggi sulle divertite imprese di un mobiliere che ospita quattro famiglie Rom nel cortile della sua azienda, paga le loro bollette, li sussidia, li convince a mandare i bambini a scuola. Dice che lo fa perchè da piccolo era povero e rubava “le uova e le galline” per mangiare e anche perché ricorda “la fame dei popoli incontrati nei viaggi”. Ma lo fa – soprattutto – perché vuole sentire da loro “le storie del mondo”. Qui l’intero servizio.

C’è un prete che amo più degli altri perché quando penso a lui mi sento più buono. È don Sergio, malato di Sla, la terribile malattia resa famosa da Welby e che in Sardegna non è rara. Don Sergio è cappellano dell’Ospedale principale della città ed è quindi consapevole di cosa sta vivendo. Per ora è degente all’ospedale e da un mese la situazione si sta aggravando. Ha già perso l’uso delle gambe, completamente del braccio destro e parzialmente del sinistro, è stato colpito gravemente dalla polmonite che ha superato. È perfettamente cosciente e parla stentatamente, ma si fa capire. Da un mese vado tutti i giorni a trovarlo e per me è una esperienza di prim’ordine che mi ha riservato delle sorprese che non avrei immaginato“. – Così inizia un racconto dell’arcivescovo di Cagliari Giuseppe Mani pubblicato oggi da Avvenire a pagina 25. Nei primi commenti le “sorprese” narrate dall’arcivescovo e il link al testo completo.

PER UN PAESE SOLIDALE. CHIESA ITALIANA E MEZZOGIORNO è il titolo di un documento dei vescovi italiani che si pubblica oggi. Il capitolo 9, Una piaga profonda: la criminalità organizzata, contiene l’affermazione che “le mafie sono la configurazione più drammatica del male” e ammette che i cristiani quel “peccato” non l’hanno ancora inteso: “Si deve riconoscere che le Chiese debbono ancora recepire sino in fondo la lezione profetica di Giovanni Paolo II e l’esempio dei testimoni morti per la giustizia. Tanti sembrano cedere alla tentazione di non parlare più del problema o di limitarsi a parlarne come di un male antico e invincibile. La testimonianza di quanti hanno sacrificato la vita nella lotta o nella resistenza alla malavita organizzata rischia così di rimanere un esempio isolato. Solo l’annuncio evangelico di pentimento e di conversione, in riferimento al peccato-mafia, è veramente la buona notizia di Cristo (cfr Mc 1,15), che non può limitarsi alla denuncia, perché è costitutivamente destinato a incarnarsi nella vita del credente”. [Segue nei primi due commenti]

Nessuno mi ha querelato. Contro di me non sono stati chiesti risarcimenti“: così si difende Feltri – sul Corsera di oggi – dall’accusa di aver danneggiato Dino Boffo, direttore di Avvenire, costringendolo a dimettersi sulla base di una falsa “informativa”. Le dimissioni sono del 3 settembre. Il 30 agosto, sulla 37ma pagina di Avvenire, Boffo aveva annunciato l’azione giudiziaria: “Quanto di fondamentale non farà spontaneamente capolino davanti all’opinione pubblica, emergerà civilmente e pacatamente in un Tribunale della Repubblica, cui i miei avvocati già lunedì [che sarebbe stato il 31 agosto] si presenteranno per la querela“. Dino, perchè non hai querelato? Te lo chiede uno che ti ha difeso per intero – in questo blog, con una lunga serie di post, tra agosto e dicembre – sulla base di quell’annuncio della querela. E’ una domanda per sapere e non per polemizzare. La faccio ora perchè ora c’è il pubblico riscontro – da parte di Feltri – che tu non hai querelato. Fino a oggi speravo che l’avessi fatto.

Ho preso due volte le Ceneri: mercoledì 17 secondo il calendario romano in San Marco a Firenze e ieri nella chiesa del Centro Fatebenefratelli di Cernusco sul Naviglio che è terra ambrosiana. “Quelle di ieri sono per me” ha detto mia moglie che è milanese e che quest’anno non le ha avute.

Passando da un impegno a Cernusco sul Naviglio (Milano) a un altro a Marcon (Venezia) mi trovo a far la fila nella biglietteria della Stazione Centrale di Milano, quella nuova al piano basso, tra le sventaglianti scale mobili che ti portano per ogni dove. Un arabo che sta dieci persone avanti mi si rivolge in modo imperativo, indicandomi col braccio: “Venga avanti lei che è vecchio”. “Io? E perché?” è stata la mia reazione sul tipo don Abbondio. “Perché bisogna avere rispetto per i vecchi”. “Ma non ho fretta – faccio io che mi sento quasi giovane – posso aspettare il mio turno”. “Non è la fretta ma il rispetto” dice lui che parla un ottimo italiano. “Venga venga” fa un altro simile a lui nella pelle olivastra e nell’accento, che sta anche più in là. “Se passo avanti – faccio io – danneggio chi è tra me e voi e magari ha più fretta di me”. “Le dico di venire – insiste il primo con il fare spiccio di un caporale di Rosarno – e vedrà che tutti saranno d’accordo”. Io non ne sono convinto e chiedo a ognuno se ha fretta. Tutti dicono che “no ma quando mai” e io passo avanti vergognandomi di qua e di là. Fingendomi socievole chiedo al mio promotore da dove venga, mi dice dall’Egitto e conclude ad alta voce: “I tempi cambiano ma il rispetto resta”. Vado allo sportello dicendo: “Malannaggia ‘sti saracini! Ci mettono in imbarazzo sia quando trasgrediscono sia quando ci danno un mezzo insegnamento”.

A Pietro / bambino per sempre / e per sempre con noi. Avremmo voluto vederlo crescere, gli siamo stati vicini nella malattia. I colleghi di papà abbracciano forte Roberto, la mamma Enrica, il fratello Riccardo e i familiari tutto, in questo momento di dolore” e seguono circa settecento nomi di “colleghi di papà”: da Ihab Abedrabbo ad Anita Zulli, in ordine alfabetico. E’ un addio a un bimbo che occupa oggi l’intera pagina 52 del Corriere della Sera. Non è detto il cognome del bimbo e del papà, nè l’azienda di cui sono “colleghi”, forse – mi azzardo a dire – si tratta della Microsoft Italia. Ma di una cosa sono sicuro: che hanno scritto una bella pagina.