Il blog di Luigi Accattoli Posts

Ottava scena. Si fa buio, tutti dormono, il capo dei sequestratori prega:

“Dio è grande. Questo infedele già dorme e non sa che le preghiere sono migliori del sonno. Pace sia sopra di noi e sopra i giusti servitori di Dio”.
Il missionario da coricato, con voce fuori campo, dice così:

“Ma quanto pregano questi sequestratori! Io gli tengo dietro a fatica e sono un prete, pensa un po’ tu. Pregano per la guerra! E allora io devo pregare più di loro perché la guerra non va bene, questo è sicuro. Tu hai detto: ‘Rimetti la spada nel fodero’. Qui ci sono dei mitra, Signore”.
 

Si risente la voce del capo dei sequestratori – sempre prostrato – che dice: “Dio è grande. Abbiamo visto la tua potenza con la morte dei quindici che venivano contro di noi. Nulla ti può resistere”.
 

Di nuovo la voce del missionario – sempre coricato – come un lamento:“Dio vieni a salvarmi, Signore vieni presto in  mio aiuto. Io sono un uomo da niente ma ho capito che questa nella quale mi hai posto è una storia seria quando ho sentito che sono morti in quindici per me. Non era più semplice che morissi io? Signore credo di non capire un accidente di quello che mi vuoi dire”.

Settima scena. Entra il capo dei sequestratori con un giornale in mano e legge: “C’è stato un combattimento tra un reparto dell’esercito e i guerriglieri che hanno rapito il missionario italiano. Quindici militari sono stati fatti prigionieri e sono stati sgozzati dai guerriglieri”. Si siede e si rivolge al missionario: “Che dici di questo fatto? Il missionario resta seduto sul sasso, si prende la testa tra le mani e tace a lungo scuotendola, come piangendo. “Perché non rispondi?” insiste il capo dei sequestratori. E’ la compassione per quei morti che mi impedisce di parlare” risponde il missionario. Poi – senza togliere le mani dagli occhi – dice: “Se i militari fossero arrivati fino a questa tenda che avreste fatto?”
“Ti avremmo ucciso e poi avremmo combattuto fino a morire”.
“Bello! E come mi avreste ucciso?” domanda il missionario continuando a tenere le mani sugli occhi.
“Tagliandoti la testa”
“L’avete già fatto?” chiede il missionario allargando le mani e mantenendole accanto agli occhi.
“Tutti l’abbiamo fatto almeno una volta, è una condizione per fare i sequestri”.
“Magnifico! Che schifo… Non ci posso neanche pensare” quasi grida il missionario muovendosi qua e là per la tenda.
“Tu hai paura della morte? Noi che abbiamo scelto di fare  la guerra non abbiamo paura di morire”.
“Ho paura di morire, non mi vergogno a dirlo. Ma se vuoi saperlo credo che sono anche capace di morire… no no, devo dire meglio, non capace di morire, ma di chiedere a Dio la forza per affrontare la morte se fosse necessaria per fare il bene”.
“Che bene facevi ai tuoi convertiti?”
“Gli insegnavo il Vangelo. Non c’è nulla di più importante da insegnare al mondo”.
“Che dice di utile il tuo Vangelo?
“Che Dio è amore, ci ama e vuole che ci amiamo tra noi come figli suoi”.
“Erano parole o davi anche qualche dimostrazione di questo comandamento?”
“Insegnavo loro ad aiutarsi nella coltivazione dei campi e nella costruzione delle case. Facevo i loro stessi lavori e insegnavo qualcosa del modo di lavorare che si usa al mio paese e che ho imparato da ragazzo, essendo anche io figlio di contadini. E poi li aiutavo a fondare scuole e cooperative di lavoro”.
“Per quel Vangelo e per questi contadini saresti disposto a morire?”
“Sì, spero di sì”.
“Allora siamo pari, perché hai anche tu una guerra per la quale morire”.
“No! Non siamo pari perché voi con la vostra lotta uccidete, io invece con la mia aiuto a vivere”.
“Solo Dio sa chi davvero aiuta a vivere”.

Sesta scena. E’ l’alba. Quando la prima luce entra dalle fessure della tenda il capo dei sequestratori si alza da terra mentre gli altri tre e il missionario continuano a dormire, versa acqua in una bacinella e compie le abluzioni rituali, mentre si ode la sua voce fuori campo:

“O Dio, preparandomi a iniziare la mia preghiera ecco io mi lavo la faccia e le mani fino al gomito, mi pulisco la testa e i piedi fino alla caviglia. Puro dev’essere colui che invoca l’Onnipotente”.
Quando il capo dei sequestratori ha terminato la sua preghiera, si vede il missionario che si scuote e si inginocchia sul fango come sempre e dice, con voce fuori campo:

“Signore tu vedi questa corda che mi lega le gambe e le mani. Questi tuoi ‘servi’ mi hanno sistemato così per la notte. Anche tu fosti legato mani e piedi. Non ti dico altro stamane. Anzi se non ci fossero qui intorno questi devoti non ti direi neanche questo. Perché stanotte ho sognato il Milan che perdeva sette a uno con il Manchester come la Roma – sette a uno, ragazzi! – e mi sono preso un dispiacere tale che ancora mi fa male. Signore, perché hai disposto che fossi io a essere rapito? Non vedi che non sono adatto per le grandi imprese? Mi hanno rapito in ciabatte e ora ho la diarrea e sogno il Milan! Eppure se hai scelto me ci sarà bene un motivo. Ma quale? Aprimi gli occhi Signore finchè c’è tempo”.

Quinta scena. Dopo la quinta preghiera il missionario offre la sigaretta a ognuno dei sequestratori, che la rifiutano. Mentre fuma si sente fuori campo questo suo monologo:

“Hanno pregato cinque volte loro e cinque volte io. Ho letto il Mattutino, le Lodi, l’Ora media, il Vespro e la Compieta. Pregano quasi come noi. Ma io aspetto che abbiano terminato tutti e quattro prima di dire la mia ora perché non voglio confondere le preghiere. Che dici Signore delle loro invocazioni? Non le ascolti, vero? Non posso neanche immaginare che tu le prenda per buone. Pregano più di me. Senza loro qui davanti che mi davano l’esempio non so se sarei riuscito a leggere tutto il breviario giorno per giorno in una condizione come questa. Pregano ma hanno il mitra. Accusano di peccato la mia povera sigaretta e intanto loro fanno la guerra. Signore io divento matto se mi tieni ancora in questa sfida della preghiera con i miei rapitori”.

Quarta scena. Si vede il capo dei rapitori chinato sulla stuoia e si sente la sua voce fuori campo che dice: “Noi non siamo – O Dio – come questo infedele che ha già dimenticato le sue preghiere e le deve leggere nel libro. Che fuma e sogna di mangiare il maiale e di bere la birra. Ascolta la nostra preghiera e non la sua. Sono quasi idolatri, tengono sottomesso il mondo e pretendono che tu accolga le loro suppliche”.
 

Dopo una pausa di silenzio è il missionario che si inginocchia. Legge nel libro e intanto si sente la sua voce fuori campo che dice: “Perché Signore mi hai mandato dei rapitori che pregano? Come vedi, nella preghiera sono più bravi di me, ma tu ascolta la mia preghiera e non la loro. Vogliono soldi per la guerra: ti sembra questa una preghiera degna? Io invece ti chiedo di farmi tornare dai miei poveri e dai miei bambini. Chissà come saranno spaventati per il mio rapimento. Non vedo l’ora di riabbracciarli”.

Terza scena. Dopo la terza preghiera e la terza sigaretta arriva uno spuntino: pesce secco e riso. “Porca miseria” sbotta il missionario allargando le braccia con un pezzetto di pesce secco nella mano sinistra e un pugno di riso nella destra: “Sempre questo pesce schifoso”.
“Ti manca la carne di maiale?” chiede ironico – facendo il verso del maiale e mostrando disgusto – il capo dei sequestratori.

“Il maiale è buono”, ribatte il missionario: “Perché fai quella faccia se non l’hai mai assaggiato?”
“Il maiale è impuro come la sigaretta. Ma stai tranquillo, quando avranno pagato e ti avremo liberato, i tuoi amici ti festeggeranno con quel maiale arrostito tutto intero senza il quale in quest’isola non riuscite a stare allegri”.
“Ti ripeto che il maiale è buono e questa povera gente non ha altro con cui fare festa. Se poi c’è anche un boccale di birra il maiale è ancora più buono!”
“Maiale, birra e fumo: che Dio abbia misericordia di voi”.
“L’avrà, l’avrà! Fossero tutti questi i peccati… Ma voi sapete che noi missionari quando partiamo per la nostra missione firmiamo una dichiarazione con la quale invitiamo i superiori a non pagare riscatti in caso di rapimento?”
“Lo sappiamo, ma sappiamo anche che i riscatti li pagano i vostri governi. E’ sempre andata così e così andrà con te, se questa è la volontà di Dio”.
“Se vi interessa, sappiate che io prego perché non vada così. Non è giusto finanziare la guerra con i rapimenti”.
“Solo Dio conosce il giusto e l’ingiusto”.

Seconda scena. Giunta l’ora della seconda preghiera i sequestratori tornano a turno sulla stuoia, poggiano i mitra a lato di essa – sulla sinistra dello spettatore, mentre il missionario si trova sulla destra – e pregano.

Quando hanno finito il missionario si inginocchia nel fango – cioè fuori della stuoia – e legge in silenzio il suo breviario come nella prima scena.

Poi fuma la seconda sigaretta. “Buona davvero” dice ad alta voce e domanda al capo dei sequestratori: “Perchè mi avete rapito?”
“Abbiamo bisogno di soldi”.
“Ma perché avete rapito me? Perché sono un cristiano?”
“No, perché sei ricco”.
“Cavolo che ricco, vado in giro in ciabatte!”
“Vieni da un paese ricco e hai un telefonino con il quale possiamo mandare i messaggi per chiedere il riscatto”.
“Che ci fate con i soldi?”
“Servono per finanziare la guerra”.
“Chi lo comanda questa guerra? Voglio dire: a chi vanno i soldi?”
“Noi non sappiamo molto, ma sappiamo che vanno in mani sicure. Dio sa tutto”.

Racconto in dodici scene. Prima scena. Un missionario burlone viene rapito da quattro guerriglieri musulmani (vedi post del 24 luglio). Eccoli tutti e cinque all’interno di una tenda, seduti su dei grossi sassi. All’ora della preghiera i quattro stendono a terra la stuoia, nel mezzo della tenda e a turno – due per volta – si prostrano nell’invocazione rituale. Fuori campo si odono queste parole: “In nome di Dio, il compassionevole, il misericordioso. Te noi adoriamo e a te chiediamo aiuto. Guidaci sulla retta via, la via di coloro che hai colmato di grazia, non di coloro che sono incorsi nella tua ira, né degli sviati”.

“Cavolo, siamo uno a zero” dice il missionario con voce fuori campo: “Questi pregano e io che faccio?” Mette la mano nella bisaccia, ne cava il breviario, si inginocchia nel fango, si segna e legge. Voce fuori campo: “Beato l`uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti;  ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte”.

Quando ha finito rimette il breviario nella bisaccia e incontra il pacchetto delle sigarette, ne accende una. Fa una lunga tirata e poi soffia il fumo intorno estasiato, a occhi chiusi. Li apre, vede le facce severe dei sequestratori, tutti giovanotti che potrebbero essergli figli e riprende il pacchetto: “Scusate – dice – ho dimenticato di offrirvene, sono buone! Tabacco americano”.
“Noi non fumiamo” risponde il capo dei sequestratori: “Se fumi la tua bocca non è pulita per la lode dell’Onnipotente”.

“E’ il cuore che dev’essere pulito e non la bocca”, risponde il missionario vivamente seccato: “Il tuo cuore non è pulito se tieni prigioniero un fratello”. Fa una pausa e poi dice soddisfatto: “Uno pari!”

Cinque agosto: ancora una volta ho visto piovere fiori bianchi durante il canto del Gloria dal quarto rosone centrale del soffitto dorato di Santa Maria Maggiore. La tradizione vuole che la Basilica sia sorta sul luogo di una nevicata agostana al sommo dell’Esquilino. Una leggenda delicata come un verso del Petrarca: “Da’ bei rami scendea – dolce nella  memoria – una pioggia di fior sovra il suo grembo”. In ottimo italiano il cardinale Law arciprete rievoca intrepido la neve, la visione avuta in quella notte da papa Liberio (352 -366), “la reliquia della mangiatoia che qui è custodita”. Tra la folla col naso al cassettone sollevato per il lancio dei fiori c’eravamo Sandro Magister ed io, genitori di figli nella carne e perciò trepidi scommettitori sulla tenuta delle tradizioni.

Siccome in casa nostra è mia moglie quella che parla della morte con più coraggio e più apertamente, i figli la prendono in giro. Dicono che dovrebbe andare ad abitare nella casa della Famiglia Addams e vestirsi di nero come Morticia. Lei, poverina, sta allo scherzo ma non demorde: ‘Chiedo al Signore di poter morire prima di te’, mi dice davanti a tutti i figli schierati“: scrive così Aldo Maria Valli che di figli ne ha sei e che è appena passato dal Tg3 al Tg1. Tra i colleghi vaticanisti Aldo Maria è forse quello che sento più vicino per ubbie e miti follie. Quel brano di deliziosa cronaca familiare l’ho preso da “Appunti per il dopo”, una lunga divagazione sull’aldilà che ha scritto per Il Foglio, dov’è apparsa il 31 luglio. Poco più avanti – nella stessa divagazione – Aldo Maria riassume così l’idea televisiva della “fine della vita” con cui vengono su i nostri figli: “Che la morte non sia vera, che riguardi sempre gli altri, che dipenda da un atto criminale. In famiglia ricordiamo ancora con divertimento un episodio di qualche anno fa quando Paola, che all’epoca aveva forse quattro anni, sentendo che la mamma e il papà stavano parlando di una parente morta improvvisamente chiese: chi le ha sparato?” – Ad Aldo Maria un cordiale buon viaggio con il Tg1.