Con la propria pagina Facebook e con un’intervista al “Gazzettino” di oggi, Marco Perale, 62 anni, assessore alla Cultura al comune di Belluno, in ospedale per Covid dall’inizio dell’anno, combatte due battaglie in una: perchè questa pandemia venga presa sul serio sia nelle implicazioni sociali sia nel segno di sfida e di assoluto che essa porta con sè. Nel primo commento metto il nocciolo della sua battaglia – anche politica – contro i negazionisti e per l’obbligatorietà del vaccino; nel secondo riporto le parole che mi ha mandato dall’ospedale San Martino di Belluno in risposta a una mia domanda sulla sua esperienza personale del Covid.
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“Sono una giovane donna di 51 anni, residente a Merate, in provincia di Lecco. Sono sulla sedia a rotelle a causa di una malattia invalidante. Ho una sorella che ha la mia stessa malattia. E poi c’è mia mamma Enrica”: Carola Manzoni si presenta così nell’intervista che le fa Vittore De Carli nel volume “C’è una veste bianca anche per noi” (LEV 2020). La polmonite da Covid colpisce Carola nella primavera del 2020 e la sua ospedalizzazione si intreccia con quella della mamma che proprio in quei giorni viene operata “per i calcoli alle vie biliari”. Ne viene una fitta interrogazione a Dio intonata a una disarmante fiducia filiale nella sua “vicinanza” ma anche a una schiettezza femminina che porta Carola all’esclamazione con la quale ho intitolato la sua storia. Di quella interrogazione riporto qualche brano nel primo commento.
Anna Maria Mazzoleni, 68 anni, e Roberto Riva, 65, di Olginate, Lecco, gestori di una cartoleria, si sposano in comune il 21 novembre 2020 dopo che il Covid ha tenuto lui, a lungo, tra la vita e la morte: ricoverato all’ospedale di Lecco dal 16 marzo al 24 aprile, dopo due settimane con il casco Cpap è stato intubato e ha fatto dieci giorni in terapia intensiva. Un trauma che ha spazzato via le titubanze che li avevano trattenuti dalle nozze per quasi tre decenni: “Dopo quello che è successo ci sembrava giusto regolarizzare la nostra posizione”. Nei commenti le parole di Roberto e quelle di Anna Maria come le ha raccolte il “Corriere della Sera” del 24 novembre in “Vivimilano”.
Ecco un testo drammatico che un prete di Como, Alfredo Nicolardi, invia per Natale alla propria comunità dall’ospedale dov’è ricoverato per Covid: una lettera piena di domande brucianti e priva di parole consolatorie. Don Alfredo, parroco di Cadorago, Caslino al Piano e Bulgarello, 58 anni, viene ricoverato nella clinica Valduce di Como l’8 dicembre e in essa muore il 31 dicembre. Al funerale presieduto dal vescovo di Como, il 4 gennaio, nel santuario di Sant’Anna di Caslino al piano, un compagno di messa, don Carlo Puricelli, ricorda un messaggio avuto da don Alfredo nell’ultimo giorno di coscienza, prima di essere intubato, con la richiesta dei sacramenti e di potersi confessare: «Dal vetro, ma assolvetemi». Il vescovo nell’omelia riferisce un altro messaggio che don Alfredo gli aveva inviato dalla clinica: “Offro tutto per la nostra diocesi”. Nei commenti riporto la lettera di don Alfredo pubblicata dal “Notiziario” delle tre comunità: contiene le parole più preziose da me rintracciate nelle storie di pandemia delle quali sono venuto a conoscenza.
“Soltanto il nostro lato migliore ci salverà” è la conclusione della lettera che nei giorni della Pasqua 2020 Fabio Amigoni, bergamasco, scrive alla moglie Elena (56 anni) presa in una drammatica vicenda da Covid 19 che la vede ricoverata in Bergamo il 9 marzo 2020, intubata e trasferita in sonno all’ospedale Sant’Anna di Como. Il risveglio il 21 marzo e la dimissione il 24 aprile avviano un ritorno alla normalità che ha una tappa di rilievo a giugno con la ripresa da parte di Elena del lavoro di impiegata, pur in una situazione di debolezza e di non completa guarigione. Nei commenti riporto quasi integralmente la “Lettera a Elena” che Fabio intitola “Luna di miele amaro”. Il testo completo della lettera lo trovi alla pagina 185 del fascicolo del novembre 2020 del mensile parrocchiale “Comunità Redona” (Bergamo) e nel sito “Visioni del tragico”.
Don Roberto Donadoni, bergamasco, parroco a Venezia, convive per un mese, tra ottobre e novembre, con la possibilità della morte per Covid e poi narra la sua “sconvolgente esperienza” in più di un’occasione, con parole sempre ponderate. Riporto due testi: una testimonianza resa in chiesa, in presenza del patriarca Moraglia, domenica 8 novembre e un’intervista al Tg3 trasmessa quello stesso giorno. Parole al Popolo di Dio e parole ai media, di diversa intonazione ma ugualmente appassionate, che si completano a vicenda.
Ettore Consonni, bergamasco di 61 anni, magazziniere in pensione, nei giorni del massimo assedio ospedaliero del marzo 2020 non trova posto nelle terapie intensive della sua città e viene portato in coma, con un aereo militare, a Palermo, dove viene curato e salvato dai medici dell’ospedale Civico. Al risveglio, il 6 aprile, dopo 27 giorni di terapia intensiva, non riesce a credere di trovarsi in Sicilia e quando se ne rende conto fa una promessa inaspettata: si farà tatuare sul petto l’immagine geografica della Sicilia “per non dimenticare mai a chi deve gratitudine”. Nei primo commento le parole che ha confidato ai cronisti al momento di lasciare l’ospedale, come le ha riportate il quotidiano “La Sicilia” del 19 aprile 2020.
Il padre francescano Salvatore Morittu, animatore della Comunità di recupero di S’Aspru, Sassari, 74 anni, vive un dicembre 2020 di precipitosi eventi: contrae la polmonite da Covid, fa 11 giorni di terapia intensiva, viene dimesso e lo stesso giorno gli arriva la notizia che il Presidente Mattarella lo ha fatto Commendatore al Merito della Repubblica Italiana “per aver dedicato tutta la vita al contrasto alle tossicodipendenze e all’emarginazione sociale”. Nei commenti alcuni paragrafi del comunicato con cui il 31 dicembre il francescano ha narrato la sua vicenda ai media.
Don Luigi Sala, vicario parrocchiale a Macherio (Monza – Brianza), è stato in ospedale per il Covid 19 dal 13 marzo al 19 giugno e ha narrato la sua lunga convivenza con la prossimità della morte nell’omelia del 30 agosto, solennità di San Cassiano, patrono del paese, in occasione della quale i parrocchiani hanno festeggiato il suo 45° di messa. Nei commenti riporto passaggi dell’omelia pronunciata da don Luigi con respiro affannoso, tra la commozione di tutti.
Avendo ripreso un po’ di energia e ritrovata – o quasi – la voce, chiedo spiegazioni sulla tosse che mi tormenta e che i medici danno per scontata, considerandola anzi un segno positivo: “Vuol dire che i tuoi polmoni riprendono a funzionare”. Sarà così, ma questi quattro o cinque assalti quotidiani della tosse mi spaventano: squassano il torace e l’addome, il cervello. Mi fanno esplodere in singulti e lacrime. Mi uccidono. Interroga questo e interroga quello, arrivo a un medico che mi legge da anni – dice lui – e che è stato anch’egli ricoverato, tre settimane prima di me, nello stesso reparto Covid 2 del San Giovanni e – incredibile a sentirmelo dire – è stato nello stesso mio letto: “Il letto 25 porta fortuna”, mi rassicura. Si chiama Michelangelo Bartolo [vedilo al primo commento] e mi spiega al telefono “quella stupida tosse” e altre cose. Diventiamo amici di cellulare e un poco mi conforta avere spiegazioni da uno che ha vegliato e temuto di morire nel letto dove quei movimenti dell’anima e del corpo li ho vissuti io per un tempo esattamente equivalente.
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