Mese: <span>Novembre 2007</span>

Vado incontro alla passione dei miei visitatori per il trasferimento del vescovo Bregantini da Locri-Gerace a Campobasso (vedi post precedente) riportando alcune battute sue e di altri che aiutano a interpretare la vicenda. La più impotante mi pare questa sua dichiarazione: “Avrei potuto dire no al Santo Padre, ma se non avessi obbedito, cosa mi avrebbero potuto dire i tantissimi parroci che ho trasferito in questi 13 anni di mia permanenza nella diocesi di Locri-Gerace? L’obbedienza è principio di ogni virtù e crea sempre la pace”. – “A Locri, dopo di lui, la Chiesa invierà chi saprà non farlo rimpiangere” ha scritto Dino Boffo su Avvenire e io ne sono sicuro: credo soprattutto che ascolteranno il consiglio di Bregantini. – Armando Dini, arcivescovo uscente di Campobasso: «Ho dovuto lottare molto petr averlo come mio successore. La Santa Sede non voleva. È questo il migliore regalo che potessi lasciare ai molisani». – Antonio Riboldi, già vescovo di Acerra: “Bregantini per tanti aspetti mi ricorda don Puglisi. Due sacerdoti che hanno picchiato duro contro la criminalitá e si sono battuti per restituire ai fedeli la speranza. Però don Puglisi è stato fatto fuori e temo che Bregantini corresse lo stesso rischio. La Chiesa però non ha bisogno di martiri, ma di servi». – Giuseppe Agostino, che da arcivescovo di Crotone aveva consacrato vescovo Bregantini: «Non bisogna guardare al trasferimento con troppa fantasia. È stato promosso perchè la Chiesa ha tenuto conto del suo grande impegno a livello sociale e antimafia, lo ha considerato un elemento positivo. Forse voleva farlo riposare, le considerazioni sono molteplici e d’altro canto non bisogna dimenticare che è stato più volte oggetto di attentati». Si può avere fiducia che Bregantini darà una scossa al Molise e che al suo posto andrà uno che saprà continuare il suo lavoro.

Un abbraccio a Giancarlo Maria Bregantini, vescovo coraggioso, trasferito da Locri-Gerace a Campobasso. A fare chiarezza sul trasferimento sarà lui in persona con un’intervista alla Radio Vaticana che verrà trasmessa nel radiogiornale delle 14 e della quale è stato anticipato il testo ai giornalisti in Sala Stampa vaticana. Parla di “obbedienza” come già nelle dichiarazioni degli ultimi giorni, ma parla anche dell’impegno della Chiesa nella lotta alla ‘ndrangheta e si dice fiducioso che quella lotta da parte della comunità di cui è stato vescovo possa continuare anche senza di lui, purchè il suo successore sia una “persona umile”, cioè capace di ascoltare il grido del suo popolo e di accompagnarne la speranza. In Vaticano e alla Cei assicurano che non si tratta di una rimozione, ma di una “vera promozione” a una sede meno ardua, che comporta il titolo di arcivescovo e che prevede l’opportunità di essere eletto a presidente della Conferenza episcopale abruzzese-molisana. Dicono anche che la Cei ha sempre sostenuto le iniziative sociali di Bregantini con i fondi dell’8 per mille. Ritengo credibili queste affermazioni. Le dichiarazioni del vescovo non le contraddicono. Ricordo almeno tre occasioni in cui Giuseppe Betori, segretario generale della Cei, ha dichiarato in conferenza stampa il pieno sostegno della Chiesa italiana al vescovo di Locri. Non è da escludere che tra i motivi del trasferimento vi possa essere anche l’incomprensione – cresciuta negli anni – tra il combattivo Bregantini e altri vescovi della Calabria meno decisi a rischiare la pelle per sete di giustizia. Ma confido che non sia questa la prima ragione.

“Quello che oggi è modernissimo domani è passatissimo” ha detto stamane all’udienza generale papa Benedetto con un bell’errore di lingua. “Quanto è oggi modernissimo, domani sarà vecchissimo” suona quella battuta nel testo messo in rete dalla Sala Stampa vaticana. Ma conviene correggere il papa che sbaglia con la lingua? E’ questione disputata tra gli addetti ai lavori. Ricordo tante occasioni in cui ebbi a discuterne con Orazio Petrosillo (vedi post del 12 e 15 maggio): il papa diceva qualcosa in un italiano di fantasia e lui lo voleva mettere in buona lingua, io invece lo volevo dare tale e quale. Sono ancora di quel parere. Papa Wojtyla compiva molti errori di lingua e le sue improvvisazioni attiravano anche per questo, fin dal fortunatissimo “se mi sbaglio mi corrigerete”. “Vi saluta il papa deficiente ma non ancora decaduto” disse in un saluto dalla finestra il 21 novembre 1993. Papa Ratzinger non sbaglia quasi mai. Le sue improvvisazioni si possono trascrivere tali e quali e vengono perfette, si direbbe già munite dello spazio per i punti e le virgole. Ma ogni tanto si sente che l’italiano non è la sua lingua e qualcuno interviene sul testo registrato. Io consiglierei di non farlo, a meno che non si tratti di un’espressione difficile a intendere e in tal caso metterei comunque in nota o tra parentesi il testo realmente pronunciato. L’errore di oggi era innocuo, se pure era un errore. A lasciarlo come suonava nessuno ci scapitava e il dettato acquistava in vivacità. Evitando di correggere il papa si eviterebbero anche tutte le diatribe che sorgono quando la correzione non è – o non appare – del tutto innocente, com’è capitato in occasione delle battute con cui Benedetto rispose ai giornalisti in aereo durante il volo che il 9 maggio scorso lo portava in Brasile.

Torno al libro del papa su Gesù (vedi post del 26 ottobre) per dare conto ordinatamente delle specificità del Vangelo di Luca che vengono elencate intorno a quella sorprendente “comprensione” per i giudei che volevano restare al vino vecchio invece di “gustare” quello nuovo portato dal rabbi di Nazaret (pp. 214-217). Solo Luca ci riferisce che Gesù costituì “accanto alla comunità dei dodici un gruppo di settanta”, nei quali “si annuncia il carattere universale del Vangelo, che è pensato per tutti i popoli della terra”. Luca narra che “molte” donne facevano parte della comunità ristretta dei credenti e mette in luce come “il loro accompagnare Gesù nella fede era essenziale alla costituzione di questa comunità, come si sarebbe poi dimostrato con particolare evidenza sotto la croce e nel contesto della risurrezione”. Egli è poi “l’evangelista dei poveri” e anche nei confronti degli israeliti mostra una comprensione particolare: “Le passioni, che furono suscitate dall’inizio della separazione tra Sinagoga e Chiesa nascente e che hanno lasciato traccia in Matteo e in Giovanni, in Luca non si trovano” (è a questo punto che Ratzinger-Benedetto tratta della benevola aggiunta di Luca al detto di Gesù sul vino e sull’otre). Infine “presta particolare attenzione alla preghiera di Gesù come fonte della sua predicazione e del suo operato”. Conclude esprimendo il convincimento che “proprio in questi aspetti specifici della tradizione lucana ci è conservato qualcosa di essenziale circa la figura originaria di Gesù”. Segue il capitolo sui “tre grandi racconti in parabole” che solo Luca riporta: il samaritano, i due fratelli, il ricco e il povero. E attendiamo il secondo volume – pare arrivi presto – che tratterà della passione ma conterrà “anche il capitolo sui racconti dell’infanzia”, che sarà ovviamente un capitolo lucano. Stante la mia passione per Luca, non posso che rallegrarmi della preferenza mostrata dal papa. E mi azzardo a immaginare che le donne, gli ebrei, i poveri e gli oranti saranno quelli che più riceveranno da papa Benedetto.

“Gattino&gattona – ringrazio il destino e soprattutto la chat che ci ha uniti”: scritto sotto la foto dei due guancia a guancia nel sito www.lucchettipontemilvio.com. “Ciò che Dio ha unito” si diceva una volta – e ora magari lo fa la chat.

«Don Oreste Benzi era un romagnolo. Della sua origine conservava e manifestava una generosità senza limiti; per noi “persone perbene” a volte esagerata. Ma solo per la sue esagerazione oggi siamo ricchi di tante iniziative a favore degli ultimi. Del Signore parlava in ogni occasione, con la fiducia di un figlio, con l’amore di un discepolo»: così ha parlato di don Oreste l’arcivescovo di Modena Benito Cocchi, un altro che esagera con la carità (vedi post del 15 marzo: Parabola del vescovo e del bugliolo e commento n. 15 al post del 6 settembre: Lucio Dalla e la “momentanea assenza” di Pavarotti).

Liturgia dei defunti ieri all’Eremo di Camaldoli (Arezzo). Termina con la processione al cimitero dove sono le tombe dei monaci, quella dell’indimenticato don Benedetto Calati sopra a tutte: 1914-2000. Fa freddo, la foresta ha i primi rossori come un alchermes spruzzato a caso. C’è neve dove non arriva il sole. La processione passa tra le celle degli eremiti. Conto i comignoli dai quali sale il fumo: dieci su venti. L’immagine di quel fumo tra gli abeti credo mi accompagnerà per il restante autunno e l’inverno adveniente.

Durante le mie passeggiate attraverso l’antica Roma, i miei occhi non sono colpiti soltanto dalle tracce del passato, da quello che soprattutto cercano i turisti. Sulle pareti delle case leggo i diversi slogan che, ora scritti soltanto con il gesso, ora con la vernice, rispecchiano lo spirito del tempo. Gli avvenimenti calcistici vi giocano un ruolo importante e assurgono qualche volta alla sfera poetica, come quando lo scudetto vinto dalla squadra della Roma provoca questa esclamazione: ‘Roma, tu sei come il primo amore’, oppure quando, con una tenerezza ancora più delicata, viene scritto: ‘Grazie, Roma!’. Più costanti ed eloquenti sono gli slogan politici. Nello stretto Borgo che mi sta più vicino, leggo: ‘Il vero socialismo è l’anarchia!’. Pochi passi più in là segue questa insolente esclamazione: ‘Baader vive!’ [Andreas Baader, terrorista tedesco a capo dell’organizzazione rivoluzionaria paramilitare Rote Armee Fraktiion, suicida in carcere nel 1977, ndr]. Dietro l’angolo trovo questa sentenza: ‘Anarchia è libertà nell’uguaglianza’. Suona quasi innocuo, quando, girato di nuovo l’angolo, nella via parallela, i governanti sono definiti ladri per il continuo aumento dei prezzi. La serietà ritorna feroce due passi più avanti con le parole: ‘Né Cristo né Marx – lotta popolare’. La parete dirimpetto commenta, ‘Lottare è bello anche se si muore’. Certamente non bisogna sopravvalutare questo scribacchiare, il cui pathos spesso si perde nelle parole ed è semplice imitazione. Però non è neppure del tutto privo di interesse“.
E’ questo l’attacco di una conferenza tenuta il 24 aprile 1984, a Monaco di Baviera, dal cardinale Joseph Ratzinger ad apertura di un congresso sul tema “L’eredità europea e il suo futuro cristiano”. Roma – che io ricordi: ci vivo dal 1966, con poche interruzioni – è sempre stata piena di scritte. Trovo simpatico e simpatetico che il cardinale Ratzinger amasse leggerle durante le sue quiete passeggiate e vi trovasse qualche segno dello “spirito del tempo”. Mi piace aver scoperto questo nuovo riscontro della sua curiosità per il mondo e la gente che l’abita.

Amici del blog, nel mese di ottobre i “visitatori diversi” del mio pianerottolo sono stati 11.690. In aprile, cioè sei mesi addietro, erano stati 5.190: siete dunque più che raddoppiati in mezzo anno. I “commenti” che erano allora 3.029 (e mille a fine ottobre 2006) sono oggi 5367. Sono cifre assai modeste ma hanno qualche significato dal momento che questo blog non ha alcun traino. E’ debitore soltanto nei confronti dei naviganti che a esso approdano per caso e a esso tornano per cortesia. Grazie!