Mese: <span>Febbraio 2008</span>

Torno sulla “sete di Dio” di cui il papa aveva parlato con gli alunni del seminario romano il 2 febbraio (vedi post del 2 febbraio) e della quale ha riparlato con i preti di Roma (vedi post del 14, 15, 19, 20 febbraio) e di nuovo all’angelus e all’omelia di domenica 24. “La sete di Dio c’è. Ho avuto poco tempo fa la vista ad limina di Vescovi di un paese dove più del cinquanta per cento si dichiara ateo o agnostico. Ma mi hanno detto: in realtà tutti hanno sete di Dio. Nascostamente esiste questa sete. Perciò prima cominciamo noi, con i giovani che possiamo trovare. Formiamo comunità nelle quali si riflette la Chiesa, impariamo l’amicizia con Gesù. E così, pieni di questa gioia e di questa esperienza, possiamo anche oggi rendere presente Dio in questo nostro mondo”: così ha parlato ai preti romani il 7 febbraio. All’angelus di domenica scorsa ha trattato di un’altra sete nascosta, quella che Dio ha di noi: “Dio ha sete della nostra fede e del nostro amore”. Poco prima all’omelia, parlando della samaritana al pozzo, aveva così rappresentato il dramma delle due seti: “In ogni persona c’è un innato bisogno di Dio e della salvezza che solo Lui può colmare. Una sete d’infinito che può essere saziata solamente dall’acqua che Gesù offre, l’acqua viva dello Spirito. Tra poco ascolteremo nel prefazio queste parole: Gesù ‘chiese alla donna di Samaria l’acqua da bere, per farle il grande dono della fede, e di questa fede ebbe sete così ardente da accendere in lei la fiamma dell’amore di Dio’ “. Non conosco argomento più coinvolgente e chiedo ai visitatori come avvertono quella sete reciproca di Dio e dell’uomo e per quale mistero il loro incrocio risulti così arduo.

A una cara collega muore il papà. Noi tutti del Corsera partecipiamo al lutto e lei ci ringrazia con parole che mandano luce: “Ringrazio tutti voi di essermi stati vicini in questo momento. E chi ha ancora un papà si ricordi di dargli un grande abbraccio anche da parte mia. Sara Gandolfi”. Un bacio a Sara. Dedico il suo messaggio a chi ha un dolore simile al suo.

Da un visitatore che si firma Viacolvento ricevo questo messaggio pieno di buon senso al quale rispondo nel primo commento.

Ho incrociato casualmente il vostro blog. Vedo che si disquisisce animatamente, con argomenti molto profondi, e ci si divide volentieri, su cose alla fine semplici.
Comunione nella mano, comunione nella bocca (vedi post del 19 novembre: “Sotto accusa la comunione nella mano”). Abbiamo provato per decine di anni quella sulla mano (do per scontata la fede di tutti i bloggers), e, qualora ci venisse chiesto ufficialmente di tornare a quella nella bocca, che cosa ne andrebbe della nostra dignità di figli di Dio?
In queste cose la Chiesa non stabilisce dogmi, ma di volta in volta aggiusta il tiro a seconda di quelle che le sembrino eventuali derive. Adesso – e anche a noi capita di rilevarlo – c’è una certa abitudinarietà a ricevere l’Eucaristia senza fare bene attenzione al mistero: e va bene, proviamo anche a riconsiderarne il recupero riutilizzando qualche attitudine introduttiva, abbandonata per un po’. Che male c’è? Un’obbedienza di questo tipo dovrebbe forse fare i conti con l’implacabile rimorso del nostro forum interno?
Perdiamo meno tempo e stiamo all’essenziale! Un saluto a tutti.

Assisto con deferenza alla messa ma non partecipo, per farlo bisogna saper pregare e io non sono capace”: così Giuliano Ferrara al cronista del Corsera dopo l’incontro di ieri con il papa in occasione della visita di Benedetto alla parrocchia dove si trova la sua abitazione. Ma perchè Giuliano era lì, se non “partecipa” alla messa? “Sono venuto perché mi ha invitato il mio amico don Manfredo, il parroco”. C’è la campagna elettorale e Ferrara sta preparando la sua lista: non sarà il solito baciamano in vista delle urne? Da sempre i devoti aumentano a vista d’occhio a cinquanta giorni dal voto e la cosa è facilitata se la devozione incubava da anni. Non voterò la lista Ferrara ma oggi voglio guardare con occhio sgombro alla sua presenza in quella chiesa, continuando a voler bene a un collega  che da parte sua me ne ha sempre voluto (vedi post del 9 gennaio). Capisco meglio le sue parole sull’assistere alla messa senza partecipare se penso a tanti che ho conosciuto e che fanno così: in chiesa ci vanno anche tutte le domeniche, fanno l’offerta ma non prendono la comunione, non si inginocchiano, scambiano la pace solo se conoscono le persone che hanno intorno. Sono dirigenti d’imprese, mariti delle catechiste, falegnami più devoti a San Giuseppe che credenti in Gesù. Non aprono bocca né quando si prega né quando si canta. Non sanno pregare o forse non si sentono degni. Forse ci precederanno nel Regno.

Leggo in Borges che “i miracoli fanno paura” (Il libro di sabbia, Adelphi 2005, p. 18) e mi sovviene Rilke: “Ogni angelo è terribile” (Jeder Engel ist schrecklich, Seconda elegia duinese). Discuto serratamente con Borges e Rilke e faccio valere un mio timido affidamento – sempre ripagato – sia agli angeli sia ai miracoli.  

Scusi ci fa scendere? Non c’eravamo accorte della fermata.

– Ma signora, così un problema vostro diventa un problema mio…

– Sia gentile e ci apra!

– Apro giusto perché siete donne. Ma guarda tu che cosa non si fa per le donne.

Scambio di battute udito a Roma sul bus 71 ieri pomeriggio in via Milano. Mi pare interpreti per una buona metà il dibattito di questi giorni sulle quote rosa nelle liste elettorali. Bella poi la protesta sul “problema vostro” che diventa “problema mio”: quasi una definizione della cortesia..

“Ho cercato di conservare la speranza così come si tiene la testa sopra il pelo dell’acqua”: parole di Ingrid Betancourt nella Lettera dall’inferno. A mia madre e ai miei figli pubblicata oggi da Garzanti. Un messaggio dalla giungla che ognuno dovrebbe leggere in nome della dignità dell’uomo. Mando un abbaccio a Ingrid, da sei anni tenuta sotto sequestro da un gruppo di guerriglieri colombiani e – per invogliare i visitatori alla lettura – riporto ancora questo suo sogno di donna: “Mi vestirò di malva chiaro quando abbandonerò il verde-prigione di questa giunga”. – Curiosa coincidenza: nell’enciclica Spe salvi Benedetto al paragrafo 37 aveva scritto ”questa è una lettera dall’inferno” a proposito di un mesaggio dalla prigione del martire vietnamita Paolo Le-Bao-Thin – messaggio nel quale, come nel testo della Betancourt, sofferenza e speranza convivono come sorelle abbracciate. “Prego per questa ragazza – conosco bene la difficile situazione in cui si trova” ha detto il 6 febbraio Benedetto alla mamma di Ingrid.

Nella conversazione del 7 febbraio con i preti di Roma – di cui al post precedente – il papa in risposta a una domanda sui giovani tratta di come aiutarli a “trovare Dio” e a “scegliere Dio” nel mondo contemporaneo: “Qui arriviamo al Vangelo: Dio non è un ignoto, un’ipotesi forse del primo inizio del cosmo. Dio ha carne e ossa. È uno di noi. Lo conosciamo con il suo volto, con il suo nome. È Gesù Cristo che ci parla nel Vangelo. È uomo e Dio. Ed essendo Dio, ha scelto l’uomo per rendere possibile a noi la scelta di Dio. Quindi bisogna entrare nella conoscenza e poi nell’amicizia di Gesù per camminare con Lui“. Si tratta – conclude poi Benedetto – di “attirare l’attenzione” sul fatto che “Dio c’è e c’è in modo molto concreto”. Segnalo le parole che ho scelto per il titolo del post e le inserisco nella serie che vengo raccogliendo in questo blog ad attestazione della forza di linguaggio del papa teologo (vedi post del 15 aprile 2007: “Il nostro è un Dio ferito“; ma anche quello del 19 febbraio 2007 e altri lì richiamati). Segnalo anche la vertigine che mi coglie ascoltando la predicazione benedettina quand’essa sembra attirarmi su un pinnacolo altissimo e che mi appare isolato tra il mistero troppo grande di Dio e la concretezza troppo umana di Gesù. Lo stesso vento sull’anima che avverto quando leggo nel Vangelo di Giovanni al capitolo 14 le parole “chi ha visto me ha visto il Padre”.  

Ogni sacerdote rimane diacono e deve sempre pensare a questa dimensione, perché il Signore stesso si è fatto nostro ministro, nostro diacono. Pensiamo al gesto della lavanda dei piedi, con cui esplicitamente si mostra che il Maestro, il Signore, fa il diacono e vuole che quanti lo seguono siano diaconi, svolgano questo ministero per l’umanità, fino al punto di aiutare anche a lavare i piedi sporchi degli uomini a noi affidati. Questa dimensione mi sembra di grande importanza“: fa parte della risposta di Benedetto a un diacono della quale ci siamo occupati nei post del 14 e 15 febbraio. Era restato fuori quell’accenno alla chiamata di ogni seguace di Cristo a servire l’umanità fino a “lavare i piedi sporchi degli uomini a noi affidati”. Chissà che un giorno anche la lavanda rituale del Giovedì santo non possa essere fatta – nelle chiese – alle persone che ne hanno bisogno. Non ai pulitissimi chierichetti ma agli ospiti del “servizio docce”.

“Sei come la carbonara – sei troppo bbona!”: letto a Roma su un muro di via di Villa Ruffo, all’imbocco della via e sulla sinistra per chi sale da piazzale Flaminio. Mi ricorda la battuta di una mia figlia quando aveva sui quattro anni e ascoltavamo – passando per via – una voce da una finestra che canticchiava “amore tesoro – salsiccia e pomodoro”: “Questo amore dev’essere buono da mangiare”.