Mese: <span>Febbraio 2008</span>

L’incontro del papa con i preti di Roma (vedi post precedente) è aperto da un diacono – Giuseppe Corona – che chiede al “vescovo” l’indicazione di “una iniziativa pastorale che possa diventare segno di una più incisiva presenza del diaconato permanente” nella città. Benedetto non la indica e passa la parola al cardinale Vicario Camillo Ruini perchè la indichi lui. Il cardinale riassume quello che i diaconi già fanno ma non azzarda un segno nuovo. Ci provo io qui, in qualità di cristiano comune che vive a Roma e come suggerimento al futuro Vicario: i diaconi – che a Roma sono 108 – potrebbero occuparsi come “attività condivisa” del servizio delle mense e dei dormitori, del soccorso ai senzatetto e agli anziani soli, sollevando da questi ruoli i sacerdoti, aiutando i religiosi non sacerdoti che già se ne occupano, animando i gruppi laicali nati per essi. Si libererebbe così il diaconato dalla strettoia paraclericale in cui è oggi confinato, si recupererebbe la forza che ebbe in epoca apostolica e si creerebbero le condizioni per una sua apertura a figure di più libera e varia attitudine sociale. Ritrovata la funzione originaria – quando i diaconi furono istituiti per il servizio alle mense e il soccorso alle vedove – l’area vocazione verrebbe straordinariamente ampliata: si pensi alle mense Caritas, agli ostelli, ai dispensari e ai dormitori che già sono gestiti da gruppi di cristiani e a che cosa potrebbe venirne. Potrebbero essere chiamati al diaconato quanti già operano in questi settori e sono – come dice il libro degli Atti degli apostoli al capitolo 6 – “uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza”. Io solo ne conosco tantissimi! I diaconi di Roma invece che cento potrebbero essere domani alcune migliaia e la via della carità potrebbe avvolgere l’intera città.

In questa occasione (papa Benedetto sta rispondendo a una domanda sul diaconato, ndr) mi viene in mente una piccola esperienza che ha annotato Paolo VI. Ogni giorno del Concilio è stato intronizzato il Vangelo. E il Pontefice ha detto ai cerimonieri che una volta avrebbe voluto fare lui stesso questa intronizzazione del Vangelo. Gli hanno detto: no, questo è compito dei diaconi e non del Papa, del Sommo Pontefice, dei Vescovi. Lui ha annotato nel suo diario: ma io sono anche diacono, rimango diacono e vorrei anche esercitare questo ministero del diacono mettendo sul trono la Parola di Dio. Dunque questo concerne noi tutti. I sacerdoti rimangono diaconi e i diaconi esplicitano nella Chiesa e nel mondo questa dimensione diaconale del nostro ministero. Questa intronizzazione liturgica della Parola di Dio ogni giorno durante il Concilio era sempre per noi un gesto di grande importanza: ci diceva chi era il vero Signore di quell’assemblea, ci diceva che sul trono c’è la Parola di Dio e noi esercitiamo il ministero per ascoltare e per interpretare, per offrire agli altri questa Parola. È ampiamente significativo per tutto quanto facciamo: intronizzare nel mondo la Parola di Dio, la Parola vivente, Cristo. Che sia realmente Lui a governare la nostra vita personale e la nostra vita nelle parrocchie“: così ha parlato Benedetto XVI durante la conversazione con i preti di Roma il 7 febbraio. In quella conversazione ci sono perle della sensibilità cristiana di papa Ratzinger che metterò in luce nei prossimi post. In questa prima traspare un’accorata consonanza con papa Montini che già segnalavo in un post dell’8 febbraio. Evidenzio anche le parole “intronizzare nel mondo la Parola di Dio” che mi paiono grandi nella semplicità. 

Sono stato ospite due volte – a Piazza Armerina e a Gela – del vescovo Michele Pennisi (vedi post del 21 settembre 2006, 18-20 agosto, 20 novembre 2007) e conosco la sua vocazione di siciliano vivo. Gli mando un abbraccio a nome dei visitatori assicurandolo dell’apprezzamento che a ognuno viene spontaneo non solo per quello che fa ma anche per la discrezione con cui ne parla.

(Segue nel primo commento con le parole del vescovo)

Seicentomila sfollati per le violenze in Kenya – Il Ciad deciso a respingere altri profughi del Darfur – Quasi mezzo milione di persone fatte sgomberare  dalle aree inondate  in Mozambico,  Malawi,  Zambia e  Zimbabwe. Appello dell’Onu per aiuti agli alluvionati in Africa australe – Unanime condanna nel mondo per gli attentati a Timor orientale. Rimangono molto gravi le condizioni del presidente Ramos Horta – Combattimenti nel nord dello Sri Lanka. La Chiesa mobilitata per fermare la spirale di odio – Baghdad insanguinata da nuove violenze. Quattordici morti in un duplice attentato dinamitardo – La diffusione  delle malattie infettive  nel mondo. La presenza  della Chiesa dove  l’uomo soffre

Sono i titoli dell’attualità internazionale che compaiono nell’Osservatore romano che è appena uscito con la data di domani. Tra i pregi del nuovo Osservatore (vedi post del 5 febbraio e altri lì citati) c’è questo sguardo fermo sui mali del pianeta, visti dalla posizione di chi vorrebbe farsi samaritano del mondo. I media le cattive notizie o le montano o le nascondono. L’Osservatore fa lo sforzo di raccoglierle tutte, come il soccorritore con il sangue del ferito e le narra con lo scrupolo di metterle a raffronto con le possibilità di aiuto che sono alla nostra portata. Ogni pomeriggio quando mi arrivano le anticipazioni on line scorro l’intero file e mi faccio samaritano per quindici minuti.

Mercoledì sono andato a prendere le Ceneri nella nostra antica cattedrale di Arezzo con in braccio Virginia, una nipotina di otto mesi. Il parroco ha dato la cenere prima alla bambina e poi a me: non me l’aspettavo, non avevo pensato che Virginia potesse avere bisogno di quel segno. Ha usato la formula medievale che è quasi violenta se rivolta a una creatura che non ha un anno: Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai. Sul momento ci sono restato male, ma che modi! Poi ho riflettuto e sono uscito dalla chiesa quasi lieto di quel segno che mi riportava alla giusta posizione di una creatura limitata, che non ha motivo di dimenticare la polvere da cui è tratta neanche se ha visto i figli dei figli“: così ha parlato ieri a Terni – a una tavola rotonda da me presieduta – Franco Vaccari, fondatore dell’associazione “Rondine Cittadella della pace”. La tavola faceva parte di un convegno dell’Azione cattolica nazionale su “Il coraggio di scegliere tra responsabilità e speranza“. Con Franco Vaccari c’erano il vescovo di Terni Vincenzo Paglia, Giuliana Chiorrini e Maria Concetta Scaglione, moglie e madre di Carlo Urbani. 

Roncalli e Montini, simili e diversi. Il Concilio fu un’esperienza fondamentale anche per il passaggio tra i due papi, realmente consoni nelle loro intenzioni fondamentali, ma con personalità del tutto diverse. Era interessante vedere papa Giovanni, totalmente carismatico, che viveva dell’ispirazione del momento e della vicinanza al popolo e, dall’altra parte, trovarsi papa Paolo VI, un’intellettuale che rifletteva su tutto con una serietà incredibile“: è un brano di un’intervista di Pasquale Chessa e Francesco Villari al cardinale Raztinger sulla sua partecipazione al Vaticano II realizzata per l’Archivio delle memorie di Raisat Extra. Riprendo il brano dal “Papa Ratzinger blog” che ha riproposto il 5 febbraio quell’intervista già pubblicata da Repubblica il 13 maggio 2005. Mi piace applicare le parole del cardinale Ratzinger sulla coppia Montini-Roncalli al rapporto tra papa Benedetto e Giovanni Paolo che come Roncalli ci appare “totalmente carismatico” e capace di affidarsi alla “ispirazione del momento”. Ma soprattutto trovo pienamente rispondente alla figura di papa Ratzinger quello che egli diceva di papa Montini: “Un intellettuale che rifletteva su tutto con una serietà incredibile”.

Per un giornalista è una buona notizia: anche l’Osservatore romano sbaglia! Il nuovo OR di Gian Maria Vian e Carlo Di Cicco (vedi post del 30 settembre, 28 ottobre, 19 dicembre) anticipa rispetto all’ufficialità, fa interviste sul fatto del giorno, pubblica inediti e – com’è ovvio – gli capita di mettere il piede in fallo. Nell’edizione dell’altro ieri – anticipando rilevazioni inedite dell’Ufficio centrale di statistica della Chiesa – segnalava un calo spaventoso del numero di religiosi e religiose che sarebbero diminuiti di 94.790 unità – su un totale di 945.210 – nel passaggio dal 2005 al 2006. Il calo è stato invece di 7.230 unità: l’ha precisato ieri la Sala Stampa vaticana, che si è presa così una piccola rivincita dopo le tante informazioni che si era vista anticipare dal quotidiano vaticano nei cento giorni della nuova direzione. Proprio ieri, del resto, l’OR batteva di nuovo la Sala Stampa pubblicando in esclusiva – si direbbe di qua dal Tevere – la “nota della Segreteria di Stato” con la nuova preghiera per gli ebrei da usare il Venerdì Santo a correzione del Missale Romanum del 1962 (vedi post del 20 luglio). Io simpatizzo per il nuovo OR e quell’impagabile errore me lo rende ancora più simpatico.

“In questi giorni ho avuto la visita ad limina dei vescovi greco-cattolici dell’Ucraina. Soprattutto nella parte orientale, a causa del regime sovietico, più della metà del popolo si dichiara agnostico, senza religione. Ho chiesto loro: che cosa fate, come si comportano, che cosa vogliono? E tutti i vescovi dicono: hanno una grande sete di Dio e vogliono conoscere, vedono che così non possono vivere. Quindi anche con tutte le contraddizioni, resistenze, opposizioni, la sete di Dio c’è e noi abbiamo la bella vocazione di aiutare, di dare la luce. Questa è la nostra avventura”. Così ha parlato ieri il papa, improvvisando, al termine della cena nel Seminario romano. Dedico quelle parole a chi ha l’impressione che il mondo non voglia sapere di Dio, a chi si propone di suscitare intorno a sè la sete di Dio e soprattutto a chi quella sete la sente in se stesso e dunque riesce a coglierne i segni in coloro che incontra.