Mese: <span>Luglio 2008</span>

Da Matilde in vacanza a Berlino – vent’anni, la quarta dei miei figli – ricevo questo sms che mi soccorre nella passione per i graffiti: “Due scritte lette sul Muro nel tratto dell’East Side Gallery: 1. Good things in life aren’t things; 2. Je n’suis q’un militant du parti des oiseaux, des baleines, des enfants ed de l’eau (firmato Mathilde!)“. Mia traduzione: “Le cose buone della vita non sono le cose; Io non sono che un militante del partito degli uccelli, delle balene, dei bimbi e dell’acqua”. Un bacio alla mia ragazza e all’altra Matilde che ama le balene e a chi vede oltre il sipario delle cose. E a quanti non si scandalizzano quando si imbattono in una parola da niente che viene dal cuore.

In attesa che il papa in vacanza dica o faccia qualcosa da raccontare, i giornalisti vanno guardando e annasando qua e là: ieri l’abbazia di Novacella, oggi il palazzo dei Principi Vescovi di Bressanone. E mi piace raccontare due segni luterani che hanno calamitato il mio occhio: due unghiate della storia niente male per capire gli incubi dai quali siamo appena usciti. Nella Biblioteca dell’Abbazia si conservano 76 mila volumi e manoscritti e incunaboli di forte rarirà. Tra i pezzi unici c’è un Antico Testamento tradotto dall’originale ebraico da Martin Lutero: Das Alte Testament vorsetzung von Martin Luther, Worms 1541. Così dice la targhetta, ma nel volume, aperto alla prima pagina, il nome Martin Luther è abraso, grattato, non leggiile: è la damnatio nominis dello scomunicato. Il volume era utile ai canonici regolari di Sant’Agostino (ai quali era appartenuto Lutero) che in quest’abbazia svolgevano attività esegetica e teologica, ma il nome andava tolto. Un’unghiata – questa – subita da Lutero. Un’altra unghiata stavolta luterana fa gagliarda mostra di sè nel portale blindato del palazzo dei Principi Vescovi: vi sono strappi e buchi nelle lastre in ferro che ricoprono il legno di rovere, inferti dai forconi, dalle picche e dagli spiedi della sommossa contadina del 1525 fomentata dai predicatori della Riforma. La guida rossa del Touring dice che il palazzo fu occupato dai rivoltosi, ma lo storico Josef Gelmi, che ci ha guidato nella visita, ha chiarito che l’assalto fu respinto. Comunque i segni sono restati ben evidenti in quelle lastre. Domani ci torno per contarli. Nella mia testa fanno da contrappeso al nome di Lutero abraso dalla sua Bibbia: tu mi cancelli il nome e io ti forcono il portone. Una firma vale l’altra.

Sono uno dei 260 giornalisti e tecnici appostati a Bressanone per spiare le vacanze del papa: ne vale la pena? Forse no: sappiamo che avremo poco da raccontare e ci è chiaro quanto sia fuori luogo interrogarlo – se uno di questi giorni gli arriveremo a tiro – sulle donne vescovo o sulle Olimpiadi di Pechino. Perché allora siamo qui? La risposta a questa domanda parla del rilevo della figura papale oggi nel mondo: come si fa a non essere presenti ovunque egli si trovi? Se gli succede qualcosa, o se compie un atto imprevisto? La presenza dei giornalisti in queste due settimane nella tranquilla Bressanone è una riprova dell’attesa per ciò che il papa dice o fa. Un’attesa che non cessa neanche quando la situazione la scoraggia. C’è poco da spiare oltre la barriera dei teli neri che sono stati alzati per proteggere le passeggiate benedettine nel giardino del seminario, ma noi siamo qui attrezzati alla bisogna.

Sono tornato alla Trinità dei Pellegrini (vedi post del 15 e 17 giugno) per vedere come va in estate la parrocchia del vecchio rito e anche per il canto: era ospite il coro della cattedrale cattolica londinese di Southwark (il Tamigi divide il suo territorio da quello di Westminster) che ha eseguito una “messa a quattro voci di William Byrd” (1543-1623) e due mottetti di Thomas Tallis (1505-1585), compositori del Cinquecento così presentati nel foglietto della liturgia: “Anche se inglesi, questi compositori fanno parte della grande tradizione musicale cattolica che in tutto il mondo si ispirò all’attività musicale rinascimentale romana”. Grande canto ma in semplicità, anche per quanto riguarda i costi: “Ho dimenticato di dire che ci sarà una seconda colletta dopo la comunione per assistere il coro nelle spese che hanno avuto”, è tornato a dire al microfono il parroco padre Kramer alla fine dell’omelia, dopo che l’aveva spento. All’inizio dell’omelia aveva affermato che “ogni città ha un coro migliore di quelli che si trovano a Roma e noi vorremmo portare rimedio un giorno a questa situazione”. Non so se è giusto quel giudizio su Roma e non so se riusciranno a fare qualcosa, ma certo quella di ieri era un’occasione per pregare in canto. Quanto al resto, dirò d’aver trovato meno persone che a metà giugno: una settantina contro 150, ma immagino che il dimezzamento si stia registrando in tutte le parrocchie romane a motivo delle ferie. Stavolta non ho notato la sproporzione numerica delle altre volte a favore degli uomini e c’erano due coppie con bimbi piccini: forse la “parrocchia personale” sta facendosi le ossa.

Piccola maestra piena d’occhi con intorno 22 trolley ben allineati, ferma all’ombra dell’obelisco di Santa Maria Maggiore. Escono saltando i ragazzi dalla Basilica con le altre maestre e si incamminano per la stazione Termini: “Che cattivi a non farci entrare con le valigie, maestra Anna! Ma tanto tu quella chiesa l’avevi già vista”.

Cannolo sei mio! Buzzicotta“: ho fatto – dopo mesi – un giretto tra Ponte Milvio e Ponte Flaminio, che avevo molto frequentato l’anno scorso (vedi per esempio post dell’11 settembre e del 3 ottobre 2007), e ho trascritto questo slancio mangereccio della Buzzicotta. E quest’altro di una Marta che si avventura sulla frontiera “amore e morte”: “Araldo, ti amerò oltre la morte, anche se sei tu il mio assassino. Addio tato, Marta“.

Il cardinale Ivan Dias – uno dei tre inviati dal papa alla Conferenza di Lambeth insieme a Kasper e Murphy-O Connor – ha parlato l’altro ieri ai vescovi anglicani di ogni paese su “Missione, giustizia sociale ed evangelizzazione”, affermando che “oggi il mondo ha bisogno di cristiani che difendono la loro fede e non di cristiani che chiedono scusa”. Lo ha detto con un gioco di parole assai efficace:The world today needs Christian apologists, not apologisers. Io credo che siano necessari ambedue, ma batto le mani a Dias per la schiettezza della sua parola.

“Non mi taglierò i capelli fino a quando l’ultimo dei miei compagni non sarà liberato dalle Farc” disse Ingrid Betancourt all’uscita dalla giungla (vedi post del 3 luglio). Virtù dei capelli intonsi a calamitare gli eventi: nei paesi di mare le mogli dei marinai non si tagliavano i capelli finché il marito non era tornato sulla terraferma. Noi uomini giuriamo piuttosto sulla barba: a settant’anni Giulio II ebbe a dire che “non voleva più rasarla fino a quando aveva scalzato fora il re Ludovico de Franza dall’Italia” e ne venne la barba flabello del ritratto della National Gallery che gli fece Raffaello nel 1511-1512.

Poliziotto australiano malato viene portato dal papa il 16 luglio e muore il 19 luglio. Dona all’ospite il proprio cappello e Benedetto se lo mette in testa regalandogli un ultimo sorriso. Forse avrà sognato che l’uomo vestito di bianco l’avrebbe guarito. Il papa si sarà chiesto perchè i miracoli oggi siano rari. O magari no e allora quel sogno e quella domanda li faccio io per loro. Anzi per tutti.

La notizia del papa che incontra a Sydney due donne e due uomini maltrattati da preti sessuomani ci arriva per sms sul bus per l’aeroporto alle 00,20, quando in Italia la mezzanotte è passata da venti minuti e i giornali sono già stampati. Rifacciamo gli articoli “per la ribattuta” mentre ci togliamo l’orologio e la cintura al varco con il metal detector. Ma dico io, i fatti non potrebbero accadere in orario più decente? Per esempio tutti alla stessa ora, fuso orario per fuso orario? Noi giornalisti potremmo fare un lavoro migliore e le nostre aziende spenderebbero di meno per gli straordinari. Con l’attuale sistema degli accadimenti sregolati percepiamo noi stessi come degli intrusi nel caos e anche la nostra testa diventa caotica, costretti come siamo a saltare la cena, a correre sulla spiaggia o a dettare dall’aereo mentre le hostess ci fanno gli occhiacci perché avremmo dovuto spegnere il cellulare alla prima occhiata appena appena allusiva. Sfido io che i nostri articoli sembrano scritti con i piedi! Provate voi a fare meglio mentre vi spezzate l’unghia sulla chiusura lampo del pc che avete dovuto accendere per certificare che non è una bomba in forma di Qompac N610c.