Anno: <span>2008</span>

La guerra all’Iraq e i fallimenti delle banche hanno eletto Barak Obama ma io sono contento perchè un giovane uomo nero entra alla Casa Bianca e lo vedo come un segno dei giorni che viviamo.

 “La devozione senza la rivoluzione non basta” è un’affermazione di don Oreste Benzi commentata senza accomodamenti dal vescovo di Rimini Francesco Lambiasi presentando una biografia del prete riminese (vedi il primo commento al post precedente). La frase – pronunciata da don Benzi in un impegnativo discorso alla Settimana sociale dei cattolici italiani il 19 ottobre dell’anno scorso, due settimane prima di  morire – è alla pagina 21 del volume di Valerio Lessi che veniva presentato venerdì 31 a Rimini: Don Oreste Benzi un infaticabile apostolo della carità, San Paolo 2008. Il vescovo ha pure raccontato che don Benzi lo salutava a gran voce dandogli del lei e dicendogli “Eccellenza eccellenza” e ha così continuato: “Gli dissi che avrei preferito mi desse del tu e lasciasse stare quell’eccellenza, ma lui niente: lei è mio padre,  diceva, debbo chiamarla così e anche di più. Il calore con cui parlava mi obbligava ad accettare, ma stasera dico a voi di lasciare da parte l’eccellenza”. Il moderatore della tavola, che era Valerio Lessi, autore del volume biografia, gli fa: “Ma così mi mette in imbarazzo: come la chiamerò?” “Chiamami Francesco” risponde il vescovo. 

Don Oreste, tu sei un santo – disse il cardinale Carlo Caffarra a don Oreste Benzi al termine di una conversazione che era stata per ambedue, ricorda Caffarra, “molto coinvolgente”.
Eminenza non dica mai più queste parole! Io sono lo scarabocchio di Dio – fu la replica del prete di Rimini, che si era fatto improvvisamente “serio, anzi severo”.

“Meglio bionda che Brunetta”: un consiglio di famiglia (figli e figlie, genero, fidanzate e fidanzati) ha scelto questo come lo slogan più riuscito delle manifestazioni del 17, del 25 e del 30 ottobre.

Possiamo trovare la nostra forza proprio nell’umiltà dell’amore e la nostra saggezza nella debolezza di rinunciare [a confidare in ogni altra nostra risorsa che ci potrebbe dare un qualche senso di superiorità sugli altri] per entrare così nella forza di Dio”; la vita cristiana infatti “suppone sempre la rinuncia alla propria superiorità e la scelta della stoltezza dell’amore”. Sono riflessioni che trovo illuminanti, svolte ieri dal papa durante la catechesi sull’apostolo Paolo – a motivo dell’Anno paolino – e la sua teologia della Croce: “La Croce rivela ‘la potenza di Dio’ (cfr. 1 Cor 1,24), che è diversa dal potere umano; rivela infatti il suo amore”. E ancora: “Lo ‘scandalo’ e la ‘stoltezza’ della Croce stanno proprio nel fatto che laddove sembra esserci solo fallimento, dolore, sconfitta, proprio lì c’è tutta la potenza dell’Amore sconfinato di Dio, perché la Croce è espressione di amore e l’amore è la vera potenza che si rivela proprio in questa apparente debolezza”. Ciò che segnalo in particolare – in vista di un’antologia della predicazione di papa Benedetto sull’amore: vedi post del 26 ottobre – sono le espressioni “umiltà dell’amore” e “stoltezza dell’amore”.

Prima è andata via la luce e la Basilica di San Lorenzo fuori le Mura era ancora più bella, perchè finalmente la vedevi, senza più quei fari abbaglianti. Ma subito dopo è arrivata l’acqua: un fiume d’acqua che scorreva tra le navate, coprendo con le foglie dei platani e i foglietti della messa i mosaici del pavimento e salendo veloce al livello del primo gradino del presbiterio. Era appena entrato in Basilica il sindaco Giovanni Alemanno e io l’avevo salutato a nome di tutti, essendo il coordinatore della tavola rotonda sulle “ragioni della vita”. Ed ecco Giancarlo Elena, uno degli organizzatori, che dice al microfono: “C’è un fatto nuovo, l’acqua entra nella Basilica, dobbiamo trasferirci nella sala superiore”. Alla rinfusa transumiamo a centinaia verso quella sala, ma anche per raggiungere l’uscita che passa per la sacrestia dobbiamo camminare nell’acqua, che subito sulla nostra sinistra precipita a cascata nella cripta, scorrendo sotto la cancellata e scendendo a balzelloni per i gradini verso la tomba di Pio IX. Passando per un corridoio vediamo il chiostro allagato ancor più della Basilica. Continuano i tuoni e lo scrosio dell’acqua. Nella sala superiore, il padre Carmine De Filippis, ministro provinciale dei Cappuccini del Lazio, esclama: “Signor Sindaco, forse è un segno che tutto questo sia capitato mentre lei era qui: ci aiuti a salvare la Basilica! Sono 12 anni che frequento questo luogo e sarà già successo quattro o cinque volte un tale allagamento: noi viviamo nel terrore dell’acqua alta, come nella Roma dei secoli passati, dove la memoria delle generazioni era scandita dalle inondazioni del Tevere”.

Milano. Due giorni fa, in metropolitana. Sale un uomo, grosso. Cammina lungo tutta la carrozza piena. Io leggo, lui bestemmia forte. Si siede davanti a me. Ci guardiamo e mi fa: “Che esperienza, eh. Parlare con un uomo morto… io sono morto il 12 novembre 2003. Lo sa che esiste una vita dopo la morte? Esiste, esiste… ed è ogni giorno peggio”. Poi si alza, e scende, fermata Duomo.

“E’ necessario che si comprenda la necessità di tradurre in gesti di amore la parola ascoltata, perché solo così diviene credibile l’annuncio del Vangelo, nonostante le umane fragilità che segnano le persone”: l’ha detto stamane il papa nell’omelia di chiusura del Sinodo sulla “Parola di Dio”. Un’omelia concentrata sull’affermazione che “la pienezza della Legge, come di tutte le Scritture divine, è l’amore”. La segnalo (http://212.77.1.245/news_services/bulletin/news/22819.php?index=22819&lang=it) per l’antologia della predicazione papale sull’amore che vado costruendo (vedi post del 22 ottobre) e l’applico a me stesso, lettore della Bibbia in famiglia e anche fuori, compresa la Basilica di Santa Croce (post dell’11 ottobre).

Dal treno. Prima nebbia sulle vigne vendemmiate e primo giro della seminatrice nel campo qui davanti.

Conosco un poco Pietro Maso perchè me ne parla don Guido Todeschini – quello di Telepace – che l’aiuta come può fare un prete. Leggo della sua prima giornata di lavoro fuori dal carcere, vedo i titoli cattivi di un paio di giornali e gli mando un saluto: in bocca al lupo, Pietro! Mando un saluto anche a Elettrodata, la ditta che dà fiducia a chi vuole ricominciare e a don Guido che lì ha condotto Pietro che un giorno uccise il padre e la madre. Leggo che qualcuno gli ha gridato contro “ammazzatelo” e io gli grido “coraggio”.