Anno: <span>2009</span>

Il vescovo Luigi Maverna (1920-1998) è acceso dentro dalla chiamata evangelica, sempre raccomanda che “nulla venga anteposto a Cristo” e vorrebbe passare le sue giornate gridando “o Dio, Dio mio, Dio del mio cuore”. Questo grido domina la prima parte del Testamento, scritta 26 anni prima della morte. E invece deve fare il vescovo ausiliare a La Spezia (1965), poi il vescovo a Chiavari (1971), subito dopo l’assistente nazionale dell’Azione Cattolica (1972) e a seguire il segretario generale della Cei (1976), infine l’arcivescovo a Ferrara (1982). Deve decidere nomine, trattare affari, far quadrare bilanci, occuparsi del Concordato, fare dichiarazioni ai media, incontrare il papa: e non è quello che vorrebbe. Un giorno riprende in mano il Testamento che aveva già abbozzato e nel Testamento lo scrive, lui sempre obbediente e timorato, quel pensiero ribelle in nome del Vangelo: che le strutture ecclesiastiche sono sì necessarie, ma non bisogna ingannarsi “quasi che la Chiesa sia lì”, perché lei non è nelle grandi cose, ma in quella piccolissima e immensa di cercare Cristo e di stare con i fratelli “riuniti” nel nome di Cristo. Ed è così che dal vescovo più timido tra quanti sono arrivati al vertice della Chiesa italiana nel secolo scorso ci è venuto – dopo la morte – il messaggio più radicale: esso fino a oggi non è stato colto se non dai suoi pochi amici e forse non poteva essere colto. Ma chi l’ha colto lo deve riproporre. Chiudo l’annata del blog con la sua riproposta: vedi l’intero testo al capitolo 8 CELEBRAZIONE ECCLESIALE DELLA PROPRIA MORTE della pagina CERCO FATTI DI VANGELO elencata sotto la mia foto.

Vedo che questo Dio è cercato da molti alla mensa della Caritas” mi dice ancora la giovane amica volontaria che abbiamo ascoltato nel post del 27 dicembre: “C’è un egiziano che dice che Dio lui lo conosce e ci assicura di potersi mettere tra Dio e noi per evitare che ci prendiamo paura quando ci si avvicina, come facilmente capita a chi non lo conosce. C’è anche una romena che fa le pulizie nelle case e viene a mangiare alla mensa. Un giorno mi ha chiesto se credo in Dio: gli ho risposto che sono stata educata al rispetto di ogni religione ma non ho un mio credo. Mi ha chiesto ancora se ero stata battezzata e le ho risposto che i miei genitori hanno scelto di non farlo per lasciarmi libera di deciderlo da grande. Allora mi ha detto che era un segno di Dio se io ero davanti a lei con un mestolo e con quel mestolo mi avrebbe battezzata. Per fortuna sono arrivate in  quel momento altre persone, la mia amica romena si è distratta – lei si distrae facilmente – e io non sono stata battezzata con il mestolo delle minestre“.

L’agile Susanna che salta la transenna e fa cadere papa e cardinale mi ha suggerito alcune considerazioni che LIBERAL pubblica oggi a pagina 19 con il titolo “San Pietro, tutti i rischi di un luogo-simbolo. Ma la Chiesa non può più evitare di incontrare la folla“: http://www.liberal.it/media/295318/29_12_liberal_19.pdf

Impegnatevi perché nessuno sia solo, nessuno sia emarginato, nessuno sia abbandonato. C’è una lingua, che al di là delle differenti lingue, tutto unisce: quella dell’amore (…). Questa lingua renderà migliore la nostra città e il mondo“: l’ha detto domenica Benedetto dopo il pranzo con i poveri alla mensa della Comunità di Sant’Egidio. Io sono felice che il papa parli così’. Inserisco queste parole nell’antologia della sua predicazione sul primato della carità che vengo raccogliendo: vedi post del 5 ottobre, 3 e 8 dicembre.

Una giovane amica che fa la volontaria a una mensa della Caritas mi racconta deliziata le conversazioni con i barboni. “Uno si chiama Mario e si crede Dio. Anzi a essere sincera ti dirò che non si capisce se si crede Dio o se dice che in lui abita Dio. Racconta che è nato prematuro nel 1944 e Dio l’ha aiutato a sopravvivere nell’incubatrice. Poi a otto anni è morto per tre giorni ed è rivissuto perché Dio è entrato in lui o è diventato lui. Insomma ha preso il suo posto. Non è chiaro quello che afferma. Dice anche che è stato preso da Dio e domanda a tutti se credono in Dio. Noi ci passiamo la voce per dirgli di sì e farlo contento. Ma un giorno è venuto un ragazzo che non lo sapeva e quando Mario gli ha chiesto ‘tu credi in Dio’ lui ha detto ‘non ci credo’. Mario si è molto meravigliato e gli ha detto ‘ma guarda che ci devi credere: io ci credo e so tutte le capitali e anche la matematica’. Hanno fatto una specie di gara ma il ragazzo ne sapeva quanto Mario e sono rimasti alla pari”.

Solo il mondo ebraico riesce a far correre il Vaticano, uso di suo alla più grande flemma“: è una considerazione irriverente contenuta in un articolo sulle “precisazioni” venute il 23 dicembre dal padre Lombardi a riguardo della causa di canonizzazione di Pio XII. Nel primo commento puoi leggere l’intero articolo pubblicato il 24 dicembre da LIBERAL con il titolo L’omaggio della Chiesa agli ebrei.

“Non volevo fare del male al Santo Padre” ha detto Susanna Maiolo alla Sicurezza vaticana e io le credo. Frequento i papi e conosco il desiderio che hanno tanti di toccarlo e di parlargli. Chi è attrezzato segue la via gerarchica del parroco e del vescovo che ti possono inserire nei gruppi ammessi al “baciamano”, gli altri si rassegnano. Chi non è attrezzato e non si rassegna, salta le transenne. Susanna è agile nel salto e stabile nell’idea di dover saltare la Notte di Natale vestita di rosso. Si sarà allenata al salto delle staccionate nelle campagne svizzere per quattro stagioni dopo il fallimento del primo assalto. Non fosse per la rottura del femore del cardinale Etchegaray, degnissima persona, il fatterello si presterebbe a cavarne un racconto sullo stile del Novellino: GLI ASSALIMENTI PORTATI AL PAPA DA UNA FEMMINA DI NOME SUSANNA.

Mentre (Giuseppe) camminava, vide che la terra si era sollevata e che il cielo si era abbassato, e alzò le mani come per toccare il punto in cui essi si congiungevano. E vide intorno a sé gli elementi intorpiditi e attoniti; i venti e l’aria del cielo, divenuti immobili, avevano interrotto il loro corso; gli uccelli e i volatili avevano trattenuto il loro volo. E, guardando a terra, vide una giara appena modellata: presso di essa era un vasaio che aveva impastato l’argilla e faceva il gesto di congiungere in aria le mani, ma quelle non si riavvicinavano. Tutti gli altri guardavano fisso in alto. Vide anche delle greggi condotte al pascolo: non avanzavano, non camminavano e non pascolavano. Il pastore brandiva il bastone e non poteva battere i montoni, ma teneva la mano sospesa in alto. Guardò pure un torrente in un burrone e vide dei cammelli che, passando di lì, tendevano la bocca sulle sponde del burrone e non mangiavano. Così, nel momento del parto della Vergine santa, tutti gli elementi restavano come immobili nel loro atteggiamento“: Vangelo Armeno dell’Infanzia.

Preparo il Natale cercando Gesù in ogni bambino che incontro e intanto rileggo i primi due capitoli di Matteo e di Luca e vedo di rintracciare i miei figli piccoli nelle parole che raccontano di lui. Cerco nei racconti dell’infanzia i miei figli quand’erano piccoli e tutti i piccoli che riesco a guardare con occhio di padre.– E’ l’avvio di un mio testo appena pubblicato dalla rivista Il Regno con il titolo OGNI BIMBO NASCE A BETLEMME. LECTIO FERIALE SUI FIGLI E SUL NATALE che si può leggere nella pagina COLLABORAZIONE A RIVISTE elencata sotto la mia foto. E’ il mio regalo ai visitatori per la vigilia di Natale.

Alla nascita di un bambino anche un uomo – se in qualche modo riesce a farlo suo – può provare “un vivo e strano sentimento d’averlo portato nel ventre per tutti quei mesi”:  è un’esperienza che deve aver fatto Giuseppe alla nascita di Gesù e che è attestata da un uomo celibe e grande nell’amore in una bella storia che ho appena inserito nel capitolo 16 QUI E’ PERFETTA LETIZIA della pagina CERCO FATTI DI VANGELO elencata sotto la mia foto. La storia si intitola “Francesco Milli: che cosa grossa siamo noi” ed è il mio regalo dell’antivigilia ai visitatori.