Mese: <span>Febbraio 2009</span>

Cerco materiali per una riflessione sui blog a ringhio: perchè i visitatori dei “diari in pubblico” che sono i blog si scatenano e si insultano con la massima facilità? Come mai on line molti si mostrano dieci volte più intemperanti o suscettibili di quanto non appaiano per strada? Chi ha idee, esperienze, bibliografia mi aiuti e io tra un mese – sto preparando un articolo per la rivista “Il Regno” – darò conto del lavoro condotto anche con il vostro apporto. Con questa richiesta di aiuto prende l’avvio una nuova modalità occasionale di conduzione del blog: quella della proposta di un tema su cui possa convergere la collaborazione di molti. E’ gradito sia il contributo di chi risponderà con commenti a questo post e ad eventuali suoi aggiornamenti, sia quello di chi preferirà inviarmi un’e-mail. Grazie fin d’ora.

“Immigrati, x favore non lasciateci soli con gli italiani”: letto su una parete a vetri di corso Publio Cornelio Tacito a Terni. Mi è stata segnalata da un amico che mi dice trattarsi di una scritta che “gira molto” sui muri e nel web. E’ stata vista sul basamento di una colonna a Bologna e sul palazzo dell’anagrafe in via delle Fontane a Genova, dove risiede anche l’ufficio decentrato Immigrazione. Riporto ciò che mi fu detto e invito i visitatori a segnalare altri avvistamenti, se ci saranno. Quanto all’autore, immagino sia stata scritta da un tedesco di Vipiteno o da un leghista di Livigno: insomma da qualcuno che a Genova si sente già all’estero.

“Un tempo, quando un vescovo voleva esprimere comunione e solidarietà con un altro vescovo, spezzava durante la messa un frammento del Pane consacrato, lo metteva in un piccolo calice dove c’era il sangue del Signore, e glielo inviava per mezzo di un diacono. Era il dono del così detto ‘fermentum’. Oggi questo gesto lo voglio ripetere io. Ti invio il Corpo eucaristico del Signore che, consacrato nella messa di stamattina, festa della Madonna di Loreto (la Santa Casa che ha ‘trasvolato’), ti viene consegnato da don Ignazio, presbitero della mia Chiesa di Molfetta. Trattieni con te il dono. Ma trattieni anche il portatore”: così il vescovo di Molfetta Tonino Bello (1935-1993) scriveva il 10 dicembre 1984 al vescovo di Viedma Miguel Esteban Hesayne “per la partenza di don Ignazio De Gioia missionario in Argentina”. La lettera è alle pp. 162s del quinto volume dell’opera omnia del vescovo Bello (Molfetta 2003). L’ho rintracciata e la richiamo per la bella intonazione apostolica e in risposta al terzo commento al post del 27 gennaio, a riprova di quanto da me già affermato nel commento dello stesso giorno, ore 8.08, al post del 24 gennaio. Naturalmente il Viatico non compì il suo viaggio in una busta con sopra un francobollo – come ancora vanno affermando i denigratori del vescovo Bello – ma nella teca prevista dai canoni, appesa al collo del missionario. (Segue nel primo commento)

Ho detto – nel post del 9 febbraio – che non condividevo l’interruzione del sostentamento vitale di Eluana ma che non chiamavo “assassino” il padre e chi ne condivideva la decisione: perché a ogni evidenza si trattava di porre fine o meno a un trattamento di rianimazione clinica iniziato tanti anni addietro e non affatto di “omicidio commesso proditoriamente, con premeditazione” (Dizionario Battaglia). Confermo quell’opinione dopo due giorni nei quali le parole “omicidio” e “assassinio” hanno furoreggiato nella nostra vita pubblica. Con ciò non dico che quella riguardante Eluana non sia stata una decisione grave: dico che non era “assassinio”. Con lo stesso intendimento – di rispetto delle parole che è poi rispetto delle persone che nomino – non chiamo “omicidio” l’aborto o la soppressione di embrioni, benché sappia bene che nella storia vi è stato chi ha qualificato come “omicidio” persino la contraccezione. A chi obietta che così banalizzo l’uccisione del feto rispondo che la parola “aborto” è già abbastanza per dire questo. E ritengo non si debba usare la stessa parola – quale essa sia – per indicare l’uccisione del feto e la soppressione dell’embrione. La disputa accesa, la guerra culturale e i titoli dei giornali di cui essa si avvale, gli scontri nell’aula del Senato tendono all’uso di parole incendiarie che non aiutano la comprensione dei fatti e non allievano la confusione dei cuori. Le parole sono importanti e nella loro scelta dovrò porre lo stesso scrupolo con cui decido le mie azioni. Lo diceva già Cicerone e io lo dico per me. 

Un amico esigente e generoso ma anche scherzoso, Sumpontcura, ci lascia dopo essere stato con noi a lungo e motiva il distacco con una lettera di grande impegno, com’era suo costume in ogni intervento. Si tratta di un testo che muove critiche a molti di noi e lo pubblico nella fiducia che ci aiuti a comprendere il gioco che qui conduciamo. Riporto la lettera nel primo commento al  post e qui lo saluto con l’affezione che tra noi è cresciuta di post in post: abbiamo la stessa età, ci vogliamo bene, un poco ci siamo aiutati. Gli ricordo che il pianerottolo non ha porte e sempre festeggia chi si riaffaccia.

Finchè Eluana respira io qui le parlo. In nome dell’amore che tutto spera non cesso di sognare che possa risvegliarsi e che persino la fame e la sete – che il suo corpo sta avvertendo – l’aiutino a ciò. Ma non chiamo “assassino” il padre che ha chiesto di porre fine al tentativo di rianimazione iniziato tanti anni addietro. Guardo alla coscienza di quei tribolati genitori con lo stesso rispetto con cui mi tengo in ascolto del debole segno di vita che viene dal respiro di Eluana: il rispetto che merita ogni luce di vita, fisica e morale. Eluana tu ci stai portando in una zona inesplorata dell’umano. Non abbiamo i sentimenti e le parole per una considerazione intera di quello che ti succede e che insieme succede a noi. Il tuo respiro che si va indebolendo ci ricorda che mai dovremmo spegnere il lucignolo fumigante. Che ogni vita, pur menomata, è pur sempre a gloria di Dio. Ma non tutti, tra noi, colgono questo tuo flebile segnale e chi l’avverte non trova le parole necessarie a convincere gli altri. Siamo nella confusione. Perdona questa nostra confusione e innanzitutto quella di chi avverte il tuo segno di vita e non sa dirlo agli altri.

Oggi pomeriggio ho un incontro con l’Azione cattolica di Castelvenere (Benevento) dove sono stato chiamato per l’Anno paolino ad “attualizzare”, come può fare un giornalista, l’Inno alla carità dell’apostolo Paolo che si legge nella Prima lettera ai Corinti, al capitolo 13. Quando Paolo dice “l’amore tutto spera” l’attualizzerò così: “Anche il risveglio di Eluana”. Dove dice “non manca di rispetto” citerò Margherita Coletta – la vedova di Giuseppe, uno dei carabinieri morti a Nassiryah – che ha saputo stare vicina a Eluana senza mancare di rispetto al dolore di Peppino Englaro, pur non condividendone le decisioni.

http://www.avvenire.it/GiornaleWEB2008/Templates/Articles/Article.aspx?NRMODE=Published&NRNODEGUID=%7b2FF7669B-8FE9-43E8-B236-8317800CF176%7d&NRORIGINALURL=%2fCronaca%2fVi%2bracconto%2bBeppino%2bed%2bEluana%2ehtm&NRCACHEHINT=NoModifyGuest#

Da una cognata che si chiama Francesca ricevo questa lettera: “Mi chiedo il perché di tanto silenzio da parte di Dio e vorrei una sua risposta. Mi chiedo perché non svegli Eluana aiutandoci a capire che la vita è nelle sue mani. So che non avrò risposta a questa domanda. So che non sono la sola pormela. Ma certi giorni è davvero dura”. Io non ho la risposta e passo la domanda al destinatario. Facendogli notare che l’abbandono di tanti dipende dal suo prolungato silenzio.

Sulla vicenda dei lefebvriani – remissione della scomunica, polemiche per la negazione della Shoah, prospettive di dialogo con la Fraternità – condivido le mosse del papa. Trovo ridicola l’idea di un complotto curiale per contrastarlo, mi pare invece evidente che vi siano stati errori di istruttoria, di esecuzione e di accompagnamento delle decisioni papali. Considero esagerata l’eco mediatica sullo specifico aspetto di negazione della Shoah ma trovo che abbia portato ad acquisizioni non secondarie. Non ritengo che Benedetto debba dire altro al momento. Penso che ogni ben intenzionato che abbia a cuore le sorti del nome cristiano farebbe bene a sostenere il papa nella sua intenzione di misericordia e riconciliazione. Sono sicuro che il confronto con la componente moderata della Fraternità lefebvriana debba essere presa in seria considerazione anche dai superficiali come me. Nel primo commento le motivazioni ai singoli punti.

Siamo alla quinta e ultima puntata (vedi post precedenti) che dedico alle affermazioni più oltranziste che sono venute negli ultimi anni dall’ambiente lefebvriano: questa riguarda la pretesa che venga cassata la riforma liturgica di Paolo VI. Chi mi accusa di accanimento e di sarcasmo badi che io riporto le parole di vescovi che riconosco come tali, con i quali mi compiaccio della remissione della scomunica e che desidero vengano recuperati alla comunione cattolica, ma non dico nulla di mio: riporto le loro parole. Credo sia utile ai miei visitatori sapere che cosa chiedono costoro: a me è utile. Qui è Richard Williamson che parla, in un’intervista a Petrus del giugno 2008, a commento della liberalizzazione del vecchio rito della messa: “Il gesto del Papa, al quale riconosciamo la massima buona volontà, ci è piaciuto ma non basta. Nella Chiesa è in atto una guerra, e sottolineo la parola guerra, tra il sano tradizionalismo e il modernismo post-concilare. Noi non accetteremo mai il Vaticano II (…) Noi non abbandoneremo mai la tradizione, glielo posso assicurare. Anzi, se la Chiesa ci rivuole con sé, chiediamo che ritorni al suo glorioso passato, cioè stabilmente al Messale di San Pio V, eliminando del tutto il Messale di Paolo VI. Ciò premesso, le assicuro che il problema non è solo liturgico ma anche teologico (…) La liturgia è espressione del dogma. E quella del dopo-Concilio è una liturgia in salsa russa, una specie di torta avvelenata. Poi vi sono altri aspetti del Vaticano II che non ci convincono, come l’ecumenismo, la collegialità, il modernismo, il dialogo interreligioso (…) Il dialogo interreligioso è uno dei più grandi ostacoli presenti sulla strada della ricomposizione con Roma“. (Segue nel primo commento)