Mese: <span>Gennaio 2010</span>

Da un mese sotto la mia finestra, ma dall’altra parte della via in modo che la veda, si accampa una barbona che sporca il marciapiede e grida e canta. Poco fa è arrivato un ragazzo in bicicletta pedalando in piedi per la via in salita. La barbona gli chiede una sigaretta muovendo le due dita della destra davanti alla bocca. Il ragazzo smonta, poggia la bici alla transenna che divide il marciapiede dalla carreggiata, apre il marsupio e prende l’occorrente per confezionarla: la cartina, la busta con il tabacco. Passa la lingua sui bordi e la sigaretta è pronta. Ma la barbona fa “no no no” con la testa e con la mano. Così non è igienico e non è aggiornato. Ora è lei che cerca in ogni tasca e cava fuori un pacchetto rosso di Marlboro e le offre al ragazzo, che a sua volta fa di “no” e infine pacificamente lui si accende quella fatta in casa e accende a lei quella commerciale. Si dicono qualcosa che non so. Finito di fumare lui cava dal marsupio una macchinina fotografica e lei gli fa cenno di aspettare: si toglie una e due cuffie, si pettina i capelli con le dita, rimette le cuffie e gli dice “sono pronta”. Quello scatta e le mostra le foto sul display. Lei fa di “sì” con la testa ma fa anche “un momento” con la mano. Si allunga tutta per arrivare alla bottiglia da cui mai pensava di essersi tanto allontanata e si fa fotografare con quella nella destra. Ora si vede a posto nel display e saluta il giovanotto. Avresti detto che in tutta Roma c’erano tre senza fretta poco fa: la barbona, il ragazzo in bicicletta e io alla finestra.

Chi le parla è figlio di Emanuele Pacifici e nipote del Rabbino Capo di Genova Riccardo Pacifici, morto ad Auschwitz insieme alla moglie Wanda. Se sono qui a parlare da questo luogo sacro, è perché mio padre e mio zio Raffaele trovarono rifugio nel Convento delle Suore di Santa Marta a Firenze. Il debito di riconoscenza nei confronti di quell’Istituto religioso è immenso e il rapporto continua con le suore della nostra generazione. Lo Stato d’Israele ha conferito al Convento la Medaglia di Giusti fra le Nazioni. Questo non fu un caso isolato né in Italia né in altre parti d’Europa. Numerosi religiosi si adoperarono, a rischio della loro vita, per salvare dalla morte certa migliaia di ebrei, senza chiedere nulla in cambio. – Così ha parlato domenica il presidente della Comunità ebraica romana Riccardo Pacifici, salutando il papa. Nel primo commento al post, narro il salvataggio.

Scelta di pane è scelta di vita“: è scritto sulla vetrina di una panetteria romana in via dei Baullari, quasi ad angolo con Corso Vittorio, sulla sinistra per chi vada verso Campo dei Fiori.

La visita del Papa alla sinagoga di Roma ha segnato un passo verso un compromesso nella disputa su Pio XII: non verso lo scioglimento del contrasto, ma verso la reciproca accettazione dell’altrui verità. Il segno di quel passo sta nel modo in cui il Papa e il Rabbino hanno trattato della questione: senza usarla polemicamente, ma formulando la propria posizione e – si direbbe – il proprio sentimento in modo che l’interlocutore potesse non certo condividerli ma prenderne atto. Nè il Papa nè il Rabbino hanno nominato Pio XII ma ambedue ne hanno parlato con poche e chiarissime parole. Il Rabbino rivendicando la necessità di un “giudizio” storico sul “silenzio” di Papa Pacelli in merito alla Shoah e Benedetto difendendo il predecessore che si prodigò nell’azione di soccorso. Il Rabbino non ha contestato l’importanza del soccorso rievocato da Benedetto, che a sua volta non ha negato la legittimità del giudizio invocato dal Rabbino. Ci vedo gli elementi essenziali di un compromesso che permette alle componenti dialoganti delle due parti di continuare l’opera di avvicinamento nonostante la perdurante diversità nella percezione dell’evento della Shoah. Si tratta del resto dello stesso compromesso che si era manifestato fattualmente con la decisione di tenere l’incontro nonostante lo “sblocco” della beatificazione di Papa Pacelli segnalato da Benedetto XVI il 19 dicembre con la proclamazione delle “virtù eroiche” del predecessore. – E’ l’avvio di un mio articolo pubblicato ieri da LIBERAL con il titolo Il compromesso storico su Pio XII.

Su Craxi la penso come Napolitano. “Aveva delle responsabilità, certamente. Ma è stato colpito in modo sproporzionato: ha fatto quello che facevano tutti, solo esponendosi di più e ha pagato anche per gli altri”: così scrivevo per la rivista Il Regno al momento della morte. Puoi leggere quel mio articolo di dieci anni addietro nella pagina COLLABORAZIONE A RIVISTE elencata sotto la mia foto, cliccando sull’ultimo titolo in basso.

Andavano una volta i cristiani “per divina ispirazione” in terra di Soria, cioè in Siria e in altri luoghi del vicino Oriente, ad “annunciare la Parola di Dio tra i saraceni” e spesso vi trovavano il martirio. Anche oggi vanno e anche oggi fioriscono i martiri. Ma una novità del nostro tempo è che oggi anche le donne partono per quella missione, fatte audaci dal sangue dei fratelli uomini. Nel capitolo 11 IL GENIO DELLA CARITA’ della pagina CERCO FATTI DI VANGELO elencata sotto la mia foto si può leggere la storia di quattro trappiste italiane che da conque anni sono in Siria “per raccogliere l’eredità” dei sette martiri trappisti dell’Atlas uccisi nel 1996 in Algeria.

Due facce della visita di Benedetto alla sinagoga voglio subito segnalare: la ripetizione della richiesta di perdono per la corresponsabilità dei cristiani nella Shoah e una specie di compromesso tra il papa e il rabbino su Pio XII. Come a dire: per noi ebrei il suo “silenzio” va sottoposto a giudizio, ne prendiamo atto ma per noi cattolici conta in primis l’azione di soccorso. Di questo compromesso dirò domani. Qui riporto il paragrafo del discorso del papa che ritengo più rilevante, quello del pentimento: La Chiesa non ha mancato di deplorare le mancanze di suoi figli e sue figlie, chiedendo perdono per tutto ciò che ha potuto favorire in qualche modo le piaghe dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo (cfr Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo, “Noi Ricordiamo: una riflessione sulla Shoah”, 16 marzo 1998). Possano queste piaghe essere sanate per sempre! Torna alla mente l’accorata preghiera al Muro del Tempio in Gerusalemme del Papa Giovanni Paolo II, il 26 marzo 2000, che risuona vera e sincera nel profondo del nostro cuore: “Dio dei nostri padri, tu hai scelto Abramo e la sua discendenza perché il tuo Nome sia portato ai popoli: noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti, nel corso della storia, li hanno fatti soffrire, essi che sono tuoi figli, e domandandotene perdono, vogliamo impegnarci a vivere una fraternità autentica con il popolo dell’Alleanza”. E’ la seconda volta che Benedetto fa sua l’invocazione del predecessore, ripronunciandola. L’aveva già ripronunciata il 12 febbario 2009, davanti a una delegazione ebraica.

C’era chi piangeva tra gli ebrei quando Wojtyla entrò nella sinagoga e a noi giornalisti maschi avevano dato la kippah da mettere in testa: sono le immagini più vive che conservo. Wojtyla e Toaff si abbracciarono due volte. Il papa chiamò “fratelli” quattro volte gli ebrei, che gli batterono le mani nove volte. La parola più importante di Giovanni Paolo fu quella con cui deplorò le “persecuzioni” che gli ebrei ebbero a subire nella storia da parte dei papi. – E’ l’attacco dell’articolo con cui rievoco sul Corsera di oggi la visita in sinagoga di Giovanni Paolo II il pomeriggio della domenica 13 aprile 1986. Il seguito nel primo commento.

– Sono contento che il papa vada alla sinagoga.
– Ma ci sono ebrei che protestano…
– Va bene lo stesso. Se non c’è un ebreo contro, non sembra vero.
– Stiamo cedendo all’antisemitismo?
– No: amo gli ebrei come me stesso.
– Che cos’è che ti fa contento?
– Che il papa – cioè un cristiano che può farlo a nome di tutti – pregherà con i fratelli maggiori.
– Questo ti sembra raro?
– No: avviene tutte le volte che un cristiano prega un salmo.
– Allora è un fatto senza rilevanza…
– E’ rilevante perchè il cristiano comune comunemente non si avvede di quel fatto. Ma se ne avvedrà domani vedendo che il papa prega un salmo nella sinagoga.

Ogni tanto gli amici kurdi ci dicono: “Ma voi che siete delle brave persone perché non diventate musulmani?” Questo ce lo dicono perché per loro si salvano solo i musulmani e loro ci vogliamo bene e vorrebbero che ci si ritrovasse in Paradiso tutti insieme. Rispondiamo: “Ma noi crediamo in un Dio che ci salva tutti!”: è un brano della conversazione che ho avuto ieri con Gabriella, Roberto e Costanza Ugolini, una famiglia di Firenze che vive da dieci anni nella Turchia dell’Est. La puoi leggere nel capitolo 10 Coppie in missione come Aquila e Priscilla della pagina CERCO FATTI DI VANGELO elencata sotto la mia foto.