Guido Zendron, vescovo trentino missionario in Brasile, investe con la sua automobile un uomo in bicicletta che muore sul colpo: il fatto avviene senza responsabilità da parte del vescovo che tuttavia l’avverte come “ingiusto” e comunque insanabile. Con una lettera al settimanale Vita trentina egli confida il suo dolore unito a quello dei familiari del morto e invoca la misericordia di Dio. Narra anche la sua conversazione con la moglie dell’ucciso, che si chiama Fatima e che “dopo aver chiesto la mia benedizione lei stessa ha voluto darmi la sua”. Il fatto di Vangelo – che dedico ai visitatori che si trovano a patire un dolore ingiusto – mi è stato segnalato dal collega Diego Andreatta di Vita trentina. Questo è il link al testo completo della lettera che nel primo commento riporto abbreviata.
Mese: <span>Giugno 2010</span>
“Ma dove li trovi due come noi? Tanti auguri patata nostra“: scritto con vernice bianca sul marciapiede di destra di via Casilina, poco dopo l’incrocio con via Leonardo Bufalini per chi vada verso il centro di Roma.
“In Occidente i cristiani sono passati attraverso il cesaropapismo e la teocrazia, ma oggi sanno giocarsi e documentare la rilevanza pubblica della loro fede nel pieno rispetto delle società laiche plurali in cui vivono. I musulmani possono trarre profitto da quest’esperienza, così come noi possiamo imparare da loro su altri terreni“: così il patriarca Angelo Scola con un intervento sul Sussidiario a proposito del viaggio del papa a Cipro e sul convegno che farà a Beirut, la prossima settimana, la Fondazione Oasis. Su quali terreni possiamo “imparare dai musulmani” l’acuto cardinale non lo dice. Io ne azzardo due, quelli nei quali ho imparato qualcosa trattando con molti seguaci del Profeta: la preghiera pubblica e il pudore dei corpi.
«Nel giorno dell’Assunzione sono entrata in una chiesa di campagna in preghiera e ho presentato a Dio i miei voti di povertà, castità, obbedienza, nessun altro presente, e subito è tornata la gioia della mia vocazione»: parla così, come fosse un personaggio del regista Bergman o del poeta Borges, un’eremita metropolitana dei nostri giorni, Julia Bolton Holloway, custode del cimitero inglese di piazza Donatello a Firenze. Di origine inglese, nata nel 1937, già docente a Princeton, tre figli e otto nipoti, un matrimonio fallito, aspirante monaca anglicana passata infine alla Chiesa Cattolica, Julia vive in solitudine in mezzo al chiasso della città moderna e da quella solitudine anima un gruppo di spiritualità che si riunisce una volta alla settimana: «La domenica alle 5 del pomeriggio leggiamo il Vangelo, diciamo i Vespri insieme e poi ceniamo. ‘Giuliana di Norwich’ è il nome scelto per il cenacolo che si è formato. Ci sono persone bravissime, anche con una forma di potere in Firenze, ma qui vengono semplicemente con il loro vino. Questa esperienza è buona perché è un’amicizia profonda che abbiamo con la preghiera. Condividiamo anche i libri». [Segue nel primo commento]
Si chiama Gianluca Buonanno il deputato leghista che ieri ha commentato così un altro suicidio in carcere, il 29° dall’inizio dell’anno, che ha visto morire per asfissia, con la testa in un sacchetto di plastica, il mafioso Antonio Gaetano di Marco, in un carcere di Catania: “Certo che se altri pedofili e mafiosi facessero la stessa cosa, non sarebbe affatto male”. Io invece sento il peso crescente dei suicidi in carcere (vedi post del 4 dicembre 2009) e non auguro la morte a nessuno, neanche ai mafiosi e ai pedofili e neanche a chi l’augura al prossimo tuo come a te stesso. Tanto meno poi a Buonanno, che ha solo 44 anni. Ho fiducia nella pianta uomo.
Nella Rete c’è un sito che si chiama IL MONDO DI LUCY: parla di una bambina che è nata con una grave malformazione e che sta per compiere un anno. Riporto qui la presentazione del sito e vi invito a dare un’occhiata restando – se possibile – un tempo e due tempi senza dare giudizi. So che è grande impresa per i naviganti, specie quelli con pseudonimo pugnace. Fatelo per Lucy. E leggete il primo commento.
Questo sito parla di speranza, di una scelta fatta per amore,
che ha generato amore.
Potevamo scegliere il buio, potevamo allontanare tutto in un attimo,
con un semplice no.
Abbiamo scelto la vita, la vita di Lucy.
E Lucy ha illuminato la nostra.
Ogni pagina racconta di un piccolo passo fatto,
di un pezzetto di strada,
percorsa con fatica e con speranza.
Pensieri e riflessioni nati da un incontro,
dall’abbraccio di chi ci sta a fianco,
da un istintivo bisogno di descrivere quello che sta succedendo.
Con il desiderio profondo, impresso nell’anima,
di poter forse, un giorno,
essere di aiuto a qualcuno.
Anna e Gianluca
“Chicco di grano caduto in terra è stata la vita di padre Luigi, che ha accolto come una chiamata della Provvidenza di Dio il suo ministero di vescovo in Anatolia. In questa terra turca, che aveva tanto studiato, monsignor Padovese ha voluto inserirsi e lasciarsi macerare, amando questo nobile popolo. Chicco di grano si è fatto padre Luigi diventando guida della Chiesa di Anatolia, una chiesa di minoranza, spesso sofferente e provata (…). Vogliamo, come Chiesa ambrosiana, insieme a tutte le comunità cristiane, accogliere e affrontare la sfida di essere sempre più coscienti della nostra identità cristiana e di saper offrire, senza alcuna paura, sempre e dappertutto, la testimonianza di una vita autenticamente evangelica: amando Cristo e ogni uomo sino alla fine. Perché da questa morte così cruenta possa rimanere un messaggio per tutta la Chiesa: la speranza è la parola di vita che possiamo riascoltare da padre Luigi, come l’estremo e definitivo messaggio che ci viene dal suo corpo dato e dal suo sangue versato su quel piccolo lembo di terra turca”: così oggi il cardinale Dionigi Tettamanzi durante la celebrazione nel Duomo di Milano per il vescovo Luigi Padovese (vedi post del 3 giugno). Un mio commento a un testo di Padovese nel sito VinoNuovo: Impensabile per l’islam.
“Incredibile – mi dice uno della città de L’Aquila – che cosa può venire da un terremoto: ora basta mettere fuori un manifesto e qualsiasi attività tu proponga, culturale o sociale, hai gente. Chi ha sofferto sta sveglio”.
Sono in partenza per San Miniato – Pisa – dove già sono stato felicemente e dove domani parlo a una “festa della famiglia”. Segnalo ai visitatori un mio articolo pubblicato oggi dal CORRIERE DELLA SERA a pagina 23 con il titolo: IL PRIMO “MEA CULPA” DI RATZINGER – COM’E’ DIVERSO DA QUELLI DI WOJTYLA. Questo l’attacco: “E’ la prima volta che Papa Benedetto chiede perdono a nome della Chiesa per una colpa dei suoi ‘figli’: lo fa per un ‘peccato’ di oggi e non della storia, come invece tante volte aveva fatto Papa Wojtyla ma come lui accompagna il ‘mea culpa’ con l’impegno a fare in modo che quel misfatto non si verifichi ‘mai più’. Appare dunque chiaro come in questa pedagogia della penitenza e della purificazione Papa Ratzinger segua le orme del predecessore e nello stesso tempo se ne distingua”. Da cardinale Ratzinger una volta aveva detto: “La Chiesa del presente non può costituirsi come un tribunale che sentenzia sulle generazioni passate“. Nell’articolo ragiono su quanto egli fece ad accompagnamento del “mea culpa” giubilare e concludo: “L’atto che ha compiuto ieri conferma ciò che aveva detto allora. E forse ora ne sappiamo abbastanza per aspettarci che se ascolteremo da lui altri ‘mea culpa’ essi riguarderanno i cristiani di oggi e non quelli di ieri”. Puoi leggere qui l’intero articolo.
“Anche noi chiediamo insistentemente perdono a Dio ed alle persone coinvolte, mentre intendiamo promettere di voler fare tutto il possibile affinché un tale abuso non possa succedere mai più; promettere che nell’ammissione al ministero sacerdotale e nella formazione durante il cammino di preparazione ad esso faremo tutto ciò che possiamo per vagliare l’autenticità della vocazione e che vogliamo ancora di più accompagnare i sacerdoti nel loro cammino, affinché il Signore li protegga e li custodisca in situazioni penose e nei pericoli della vita”: così il papa, che sta parlando in piazza San Pietro per la conclusione dell’Anno sacerdotale. Qui l’intera omelia.
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