Mese: <span>Gennaio 2013</span>

Sono a Belluno per una conferenza – al Centro Papa Luciani di Santa Giustina – per una conferenza sui “segni dei tempi in rapporto alla fede” e nella pausa caffè arriva un vassoio di crostoi (crostoli), come qui sono chiamate le frittelle di carnevale. Mi spiegano che nell’Agordino si chiamano foi frit (foglie fritte) e più in alto forestì (che sarebbero sempre foglie fritte, se ho capito bene). Qualcuno intorno rievoca che a Bologna si chiamano crescentini, frittelle in Toscana, ma anche cenci, fritole a Venezia, lattughe nel mantovano, cattas in Sardegna (e anche zippulas e frisjoli longhi), frappe nel Lazio e nell’Umbria, chiacchiere e bugie e galani non so dove. Resto del parere che i nomi più originali sono quelli delle mie Marche: aria fritta e scroccafusi. Volendo essere pignoli: aria fritta le frappe e scroccafusi le castagnole. Trovo bellissimo il nome scroccafusi.

A Mantova vi erano i campi di raccolta per i destinati ai campi di sterminio. Le soste duravano alcuni giorni. Con tanto coraggio, perché era pericoloso, gli ebrei venivano nutriti. Le grandi pentole per il bucato diventavano pentole per pastasciutta e portate nei campi da don Arrigo Mazzali. Lui poteva entrare solo perché sacerdote, accompagnato da una crocerossina, infermiera, suora, vestita così per poter entrare: era mia zia Emma, donna senza paura, cento anni compiuti a dicembre 2012. Uscivano dal campo con le tasche piene di bigliettini con nomi e indirizzi e la richiesta di avvisare le famiglie. Quante cartoline hanno spedito i miei genitori a queste famiglie, riferendo di aver visto il loro figlio, marito, fratello“: così Annamaria Cremonesi di Malnate (Varese) in una lettera pubblicata ieri da “Avvenire”. Mando un bacio alla centenaria zia Emma e chiedo a chi ne abbia possibilità di mettermi in contatto con Annamaria Cremonesi per averne un racconto più ampio. Il blog è la mia cesta di raccoglitore di storie di vita.

Che la campagna elettorale resti nei limiti della competizione politica e non degeneri in rissa credo dipenda da tutti, non solo dai politici. E’ in questo spirito che da elettore del Pd affermo che sto con Bersani quando dice “ci faremo sentire” ma non sto con lui quando grida “li sbraniamo”.

Sono solo, non ho famiglia. Lascio il mio posto a chi ha più bisogno di me. A chi ha figli e ha più diritto di vivere. Sono in molti che aspettano quest’occasione. È giusto così“: parole di Walter Bevilacqua, 68 anni, che era in attesa di un trapianto di rene ed è morto a metà gennaio all’ospedale San Biagio di Domodossola. Il parroco don Fausto Frigerio ha raccontato all’omelia quella rinuncia al trapianto. Dedico un bicchiere di Vino Nuovo a Walter che ha saputo essere generoso come chi in mare lascia il salvagente a un bambino, o chi in guerra prende il posto di un condannato che ha famiglia, come fece Maximilian Kolbe. E come fece, sempre in Polonia, una suocera davanti a un plotone nazista per salvare la nuora incinta.

“Pensa se eri un cane e ti toccava un padrone così” dice lei a lui indicando con le ciglia il punk borchiatissimo con cagnetto che è appena uscito dalla carrozza della metro B, fermata Castro Pretorio, direzione Laurentina. Il detto punk aviva uno anulo niro al naso, quattro anuli con lacci pendenti a cadauna recchia et annodate a detti lacci sigarette digià fumate munite di cicca nigra puressa e filtro mozzicato. Il cagnetto aveva un musetto gentile. Per un altro punkabbéstia nella metro romana, vedi qui.

Non ho un accidenti da dire sul Monte dei Paschi come malaffare bancario e neanche sulle sue implicazioni politiche, se non che queste mi dispiacciono due volte: come cittadino e come elettore del Centrosinistra. Ma posso dire qualcosa dal mio punto di osservazione, che è quello di chi gira l’Italia da decenni e fa domande anche quando si trova a pirlare per il senese e il parmense. Ed è questo: erano due mucche da latte che tutti mungevano. Dove avete trovato i fondi per restaurare questa torre romanica: “Ci hanno aiutato quelli del Monte dei Paschi – abbiamo avuto un contributo dalla Parmalat”. “Sono dei volontari che vanno in Africa con l’aiuto della Parmalat – portano anche sussidi in denaro messi a disposizione dal Monte dei Paschi”. Visita guidata a una pieve dell’Appennino parmense: “Vede questo crocifisso in legno? Era messo all’asta ma costava troppo per noi; abbiamo chiesto un contributo alla Parmalat e con nostra sorpresa l’hanno pagato per intero”. Analoga visita su un picco del senese: “La Sovrintendenza ha fatto chiudere la chiesa quando sono comparse queste crepe sui muri ma c’è già un progetto di recupero finanziato dal Monte dei Paschi”. Mia conclusione provvisoria: il mecenatismo espanso prelude al fallimento.

«Chi crede è un cieco che, come Bartimeo a Gerico, sfiorato dalla presenza di Gesù, ‘cominciò a gridare’ e che, proprio quando molti lo rimproveravano perché tacesse’, si mise a gridare ancora più forte»: parole di Daniele Garota nel volume “Tra conoscenza e grido” (Paoline) appena pubblicato: lo saluto con un bicchiere di Vino Nuovo.

Il mondo è pieno di situazioni estreme nelle quali il più debole soccombe. Anche il carcere non ti restituisce la dignità, ma cerca di levarti anche quel poco o tanto che ti è rimasto. Omologati… appiattiti dietro istituti vecchi,
non a norma, dove non hai neanche la libertà di lavarti da solo. La doccia la fai con gli altri… non esiste privacy… il bagno è controllato… la posta è aperta da mani irriverenti… che strappano quel briciolo di amore che vi è riposto con tanta cura… I femminili sono omologati ai maschili… l’Amministrazione Penitenziaria è maschile e tutto è pensato al maschile… non viene contemplato un regolamento differenziato per le donne… in quanto “femmine”… “madri”… persone più complesse sotto tutti i punti di vista… anche a livello ormonale. Le donne e la menopausa…”
– E’ una scheggia del testo “Riflessioni sulla pari dignità” che ha per autrice Monica R. e che è arrivato secondo al Premio Castelli dello scorso ottobre. Nel post del 19 gennaio trovi i link per sapere che sia il Premio Castelli riservato ai carcerati – io sono il presidente della giuria – e per leggere per intero i lavori premiati. Per trovare il testo di Monica R. devi scendere con il cursore di cinque cartelle.

Sono contento che il Pdl infine sia riuscito a togliere qualche “pesce cattivo” dalla sua rete. Io non ho mai votato e non voterò neanche questa volta per il Pdl e dunque non mi sento in causa come elettore, ma come cittadino reputo un buon segno per tutti che la decenza si imponga anche al partito che si è mostrato ultimamente più restio a fare un po’ di pulizia.

“24 parole. 24 come le ore del giorno, come le lettere dell’alfabeto greco, come i carati dell’oro puro, come il numero dei libri dell’Iliade, come gli anziani dell’Apocalisse”: è un’idea denominata “Gemme” dell’editore torinese Rosenberg & Sellier: affidare 24 parole a 24 autoi per cavarne 24 libri. L’editore ne ha proposte dodici, di parole che egli vorrebbe mettessero nuove “gemme” e affida la selezione delle altre al pubblico. Ecco le dodici di partenza che sono – dico io – come le dodici tribù o i dodici mesi: PAROLA, VITA, DONO, AUTORITÀ, AMORE, EREDITÀ, IMMAGINE, SPRECO, DOMANDA, ASCOLTO, MERCATO, FUTURO. Già sono stati scelti gli autori per queste prime. Qui si indica il modo per partecipare alla selezione della seconda dozzina. Una volta per indicare un’operazione inappropriata, non all’altezza del momento o del bisogno, si diceva “cercare farfalle sotto l’Arco di Tito”. Io che quasi non ho fatto altro nella vita, propongo una modifica al detto, a lode del progetto Gemme: cercare parole sotto l’Arco di Tito. Ai visitatori chiedo un gioco aggiuntivo: scovare un ossimoro già presente in qualche autore per ognuna delle dodici parole di partenza e segnalarmelo. Nel mio tino sempre lievitano parole in attesa di partorire ossimori.