Mese: <span>Ottobre 2013</span>

Oggi e domani sono in carcere a Mantova per il Premio Castelli, essendo per la seconda volta il presidente della giuria per tale premio. Devo parlare due volte, nella giornata di domani: al mattino durante la premiazione nella Casa Circondariale di Via Poma e al pomeriggio nella Sala Chiostro di San Barnaba al convegno – collegato al premio – “Famiglia e affetti nella vicenda penitenziaria”. Il tema del premio quest’anno era “Ma tu ce l’hai una famiglia?” Hanno mandato racconti, riflessioni, poesie, testi multimediali 185 carcerati di 72 istituti di pena. Il vincitore è un napoletano di nome Gianluca Migliaccio, che è in carcere ad Ascoli Piceno, il cui testo ha questo attacco: “Due volte sono venuti da quando sto qui, e sono quattro anni”. Come già l’anno scorso è stata una cura di realismo leggere le confessioni di tanti carcerati, uomini e donne, italiani e stranieri. Nessuno dei concorrenti ha dato una risposta negativa alla domanda, pur trovandosi più d’uno in una situazione anagrafica o affettiva di conclamata solitudine. Leggendo i loro testi dolorosi sono tornato a intendere che ogni uomo e ogni donna sa di appartenere nativamente ad altre persone e afferma con decisione di avere comunque una famiglia, o presume di averla, o la rivendica, o la sogna come un indispensabile completamento dell’esistenza.

“Avrei voluto avere la sua [della mamma] pelle bianca come il giglio, i suoi lineamenti fini e i suoi occhi verdi, e invece ho ereditato la carnagione olivastra, il grosso naso e gli occhi marrone di mio padre. A 13 anni poi smisi di crescere e da allora ho l’ossessione dell’altezza. Tutte le mie compagne erano più alte di me. Pregavo Allah di farmi diventare più alta, di superare i 152 cm. Ma siccome non accadde, iniziai a indossare tacchi alti anche se li odio”: così Malala Yousafzai al Corriere della Sera, che oggi è in edicola con il libro che racconta la storia della ragazzina pakistana sfregiata dai talebani perchè voleva studiare: Io sono Malala. La mia battaglia per la libertà e l’istruzione delle donne. Mando un bacio a Malala festeggiandola con il motto la fede e le donne salveranno l’islam.

«Lavorare dove vengono prodotte armi da guerra non era certo la mia massima aspirazione da neodiplomata, ma il Signore mi ha voluto qui, ed è proprio su questo campo di battaglia che si è svolta la mia conversione»: parole di Sabrina Viti che il 3 ottobre ha avuto il premio “Frate Jacopa 2013”, che ogni anno i francescani della Porziuncola assegnano a una donna con una storia di conversione, in memoria dell’amica e discepola di Francesco, Jacopa dei Settesoli, che il Poverello chiamava “Frate Jacopa”. Nella “testimonianza” in occasione del premio Sabrina narra la sua azione di promozione di gruppi di preghiera e di carità in quella fabbrica d’armi e il pianto per quel lavoro, che fu all’origine del suo cammino. La saluto con un bicchiere di Vino Nuovo

Questo è un avviso per i visitatori romani: domani sera, alle 19,30, parlo di Papa Francesco alla Madonna dei Monti, che è la mia parrocchia. Il tema è “Papa Francesco eletto a mezzo secolo dal Concilio e da Medellin”. La Madonna dei Monti è la bella chiesa barocca che si trova nel cuore del rione Monti e nella quale è sepolto Benedetto Giuseppe Labre, il santo che si fece barbone. Nel primo commento pongo una domanda a chi passa di qua.

Oggi pomeriggio a Modena viene proclamato beato Rolando Rivi, seminarista di 14 anni, ucciso da un gruppo di partigiani nella zona appenninica di Monchio (Modena) il 13 aprile 1945 perché vestiva da prete. Qui le notizie sulla celebrazione e qui un mio ritratto di Rolando.

“Questo è un giorno giusto per fare un invito alla Chiesa a spogliarsi” ha detto ora ora Francesco ad Assisi, nella Sala della Spoliazione, dove Francesco nel 1206 si spogliò dei vestiti e li restituì al padre Pietro di Bernardone che l’accusava di dilapidare in elemosina la ricchezza della famiglia. Ha ricordato Gesù che si fece “strada di spoliazione”, umiliandosi “fino alla croce”. Così dobbiamo fare tutti se non vogliamo essere “cristiani di pasticceria”. Tutti e non solo vescovi, cardinali e papi devono “spogliarsi” di “un pericolo gravissimo: il pericolo della mondanità, che ci porta alla vanità, alla prepotenza, all’orgoglio; l’idolatria è il peccato più grosso”. Parlava ai poveri assistiti dalla Caritas: “Tanti di voi siete stati spogliati da questo mondo selvaggio che non dà lavoro, che non aiuta”. Ha ricordato i morti di Lampedusa: “Non importa [al mondo selvaggio] che tanta gente debba fuggire e morire”. “Oggi è giorno di pianto”.

Ecco una foto dalla periferia, ma da una periferia a noi familiare: ritrae la cara Chen-Chen che già conosciamo, con due sue figlie, in una casa di missionari saveriani in Indonesia. Chen Chen  Muthahari è la musulmana sciita di cui ho pubblicato il 27 agosto un appello ai sunniti nel quale erano le parole “Anche se ucciderete me e le persone a cui voglio bene, io davvero vi amo. Io vi perdono a partire da adesso. Io vi amo perché Allah vi ha creati”. Il missionario che le è accanto è il padre Bagnara, da più di 50 anni in Indonesia. La foto è stata scattata in occasione di un ritiro della scorsa quaresima in cui Chen-Chen aveva parlato del digiuno nell’Islam agli studenti saveriani indonesiani.

“Il mistico riesce a spogliarsi del fare, dei fatti, degli obiettivi e perfino della pastoralità missionaria e s’innalza fino a raggiungere la comunione con le Beatitudini. Brevi momenti che però riempiono l’intera vita”. A Lei è mai capitato? «Raramente. Per esempio quando il Conclave mi elesse Papa. Prima dell’accettazione chiesi di potermi ritirare per qualche minuto nella stanza accanto a quella con il balcone sulla piazza. La mia testa era completamente vuota e una grande ansia mi aveva invaso. Per farla passare e rilassarmi chiusi gli occhi e scomparve ogni pensiero, anche quello di rifiutarmi ad accettare la carica come del resto la procedura liturgica consente. Chiusi gli occhi e non ebbi più alcuna ansia o emotività. Ad un certo punto una grande luce mi invase, durò un attimo ma a me sembrò lunghissimo. Poi la luce si dissipò io m’alzai di scatto e mi diressi nella stanza dove mi attendevano i cardinali e il tavolo su cui era l’atto di accettazione. Lo firmai». – E’ il brano dell’intervista del Papa a Scalfari che ho commentato per il “Corriere della Sera”. Ora propongo le sue parole, domani metterò il link al mio testo. Stasera parlo a Bresso, Milano, in occasione della sagra della Madonna del Pilastrello. L’argomento sono i “fatti di Vangelo” raccolti lungo le strade e dietro le siepi.

Aggiornamento al 2 ottobre. Qui il mio commento all’intervista pubblicato oggi dal “Corriere della Sera”.