Mese: <span>Maggio 2015</span>

Sono stato al Vittoriano per una bella rimpatriata con Giorgio Morandi, il pittore del Novecento italiano che più mi porta via. La mostra “Giorgio Morandi 1890-1964” offre 172 lavori. Una mattinata di meraviglia tra paesaggi che diventano case, case che si fanno scatole, alberi che trasfigurano in fiori, persone che sembrano bottiglie. Cioè bottiglie che sono persone. Meraviglia delle meraviglie, un video con Cesare Brandi che interpreta l’amico pittore e così motiva la sua contrarietà a ritrarre persone: “La figura umana lo impegnava troppo. La sua è l’arte dello svuotamento dei soggetti e non aveva difficoltà a semplificare paesaggi, case, fiori, oggetti fino a ridurli a linee e colori ma non si attribuiva la stessa libertà nei confronti della persona umana”. Riassumo a memoria un’idea forte, che dedico ai visitatori.

Visitatori belli, leggo tra i commenti a un post di cinque giorni addietro che alcuni propongono un raduno a rimedio delle incomprensioni. Come già dissi anni addietro, per un’altra idea di incontro: se si fa io verrò, ma non l’organizzo. Non sono contrario a passare dal digitale al reale, anzi invito all’abbandono degli pseudonimi proprio per avvicinare i due piani e ogni volta che si è presentata l’occasione ho incontrato i visitatori e ho scambiato messaggi. Ma ritengo che l’iniziativa di un incontro ampio non debba essere mia. Un tale gesto moltiplicherebbe le incomprensioni invece di ridurle.

A Bologna per una lectio all’Ordine dei Giornalisti, mi sono riservato due ore per una visita alla tomba di Lucio Dalla, che è nel Cimitero della Certosa, accanto a quella di Giosuè Carducci. Sulla lastra hanno messo i versi finali della canzone “Cara”: “Buonanotte, anima mia / adesso spengo la luce e così sia…”. Ho parlato liberamente con il mio coetaneo, ora che è un poco più giovane di me. Veniva spontaneo scambiare due parole davanti a quella sua sagoma in bronzo col bastone, il cappello, il clarino e la scritta sul marmo: “Musicista poeta e maestro di vita”. Abbiamo scherzato sul “maestro”, ma con leggerezza. Sulla lastra è riprodotta in grande la coroncina anulare del rosario, che Lucio portava come anello e c’è un ragnetto in bronzo a ricordo del soprannome “il Ragno”. Un po’ di più ci siamo fermati su un verso dai molti sensi della canzone che è stata messa lì e che dice “come se andare lontano fosse uguale a morire”. “Non lo è – no che non lo è” ci siamo detti l’uno sull’altro.

“La sensibilità ecclesiale comporta di non essere timidi o irrilevanti nello sconfessare e nello sconfiggere una diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata che è riuscita a impoverire, senza alcuna vergogna, famiglie, pensionati, onesti lavoratori, comunità cristiane, scartando i giovani, sistematicamente privati di ogni speranza sul loro futuro, e soprattutto emarginando i deboli e i bisognosi”: così il Papa poco fa ad apertura dell’assemblea della Cei. Nei primi commenti altre parole di Francesco miranti a scuotere il nostro episcopato.

Domani il Papa apre l’assemblea dei vescovi italiani che da martedì tratteranno dell’accoglienza in Italia dell’esortazione “La Gioia del Vangelo”. L’Assemblea eleggerà poi i rappresentanti della CEI al prossimo Sinodo. Grandi argomenti, che cercherò di seguire. Ponendo fin d’ora questa domanda: come mai i nostri vescovi trattano della “Gioia del Vangelo” solo a 18 mesi dalla sua pubblicazione? Risposta provvisoria: meglio tardi che mai.

La piazza tonda sull’alto – che ha il nome di Piazza del Certame – e la cerchia delle mura sono tra i doni di Montefalco dove sono stato ieri e stamane per una conferenza. Ieri sono salito alla piazza e stamane ho fatto il giro delle mura. Una giovane donna di nome Elisabetta mi ha portato a vedere la torre più alta sulla quale andò a posarsi deciso il falco che diede il nome al paese, manco ci fosse là sotto Fulco Pratesi a registrare l’evento. Elisabetta mi ha narrato la Fuga del Bove e mi ha portato a Sant’Agostino e a Santa Lucia, piccolina che te la metti in tasca. Mi ha parlato delle Beate Chiarelle che non sto a dire. Ero già stato a Montefalco una volta per la menoma ragione che era tra le 25 Città del Silenzio di D’Annunzio e l’unica tra esse che non avevo visto. Ci sono tornato ed è stato un nuovo incantamento.

Visitatori belli continuate così, senza di me, portando pazienza. Ancora per un tempo e due tempi non interverrò nei commenti e quasi non li leggerò. Quasi: li scorro e scelgo a naso quali leggere. Dai nomi già sento l’antifona e leggo chi lo merita. Quello che sto conducendo è un esperimento su di me: provo a recuperare una piena libertà nella conduzione del blog e forse mi è di aiuto leggere di meno. Nei primi commenti elenco gli obiettivi dell’esperimento che denomino “liberà vo cercando”.

«La maternità surrogata si basa spesso sullo sfruttamento delle donne più bisognose. In molti casi, i poveri sono costretti a vendere e i ricchi possono permettersi di comprare. Non c’è differenza fra la pratica commerciale della gravidanza surrogata e la compravendita di bambini»: sono parole contenute nel manifesto della campagna internazionale Stop surrogacy now [Fermare subito le pratiche di maternità surrogata] lanciata negli Usa l’11 maggio da un cartello di 160 personalità e che sta ottenendo adesioni in tutto il mondo. Nel mio piccolo aderisco.

Due operai lavorano a due finestre del palazzo di fronte. In piedi sui davanzali, senza protezioni e senza esitazioni. Raschiano e riverniciano, giovani, quinto piano. Uno italiano, l’altro forse colombiano. Si dànno voci. Tremo quando il più giovane guarda giù e ride. Gesù guarda giù anche tu.

“Accanto al servizio assistenziale la Caritas svolge un ruolo conoscitivo che è parte della sua missione educativa. Dal vivo dei contesti in cui opera deve trarre le conoscenze e lo sdegno necessari alla denuncia pubblica. E’ pronto soccorso ma anche monitoraggio delle zone a rischio. Soccorre ma anche lancia l’allarme e chiama al soccorso. Deve trovare il modo di farsi ascoltare. Una Caritas che non parla alla città è una carità dimezzata”: ho parlato così in mattinata a Ferentino, Frosinone, alla Delegazione regionale della Caritas del Lazio. Ringrazio chi m’ha invitato e i tanti che m’hanno sopportato.