Amici belli, il gruppo di lettori della Bibbia che si riunisce a casa mia con il nome di “Pizza e Vangelo” si rivedrà per la quinta volta da remoto, via Zoom, domani lunedì 1° giugno per riprendere la lettura continuata di Marco che avevamo lasciato negli ultimi appuntamenti dedicati ai racconti pasquali di quello stesso Vangelo. Nei commenti trovi la scheda di introduzione al brano, che è Marco 2, 18-22; e l’invito a collegarsi che rivolgiamo a chi viene a conoscere “Pizza e Vangelo” da questo blog. Un bacio da mascherina.
Mese: <span>Maggio 2020</span>
Il 28 e il 27 maggio ho messo qui nel blog due post su Bose che hanno attirato commenti solo in parte pubblicati. Tra quelli che non sono apparsi ce ne sono di visitatori che pur approvando la sostanza della mia lettura mi invitano a esprimere vicinanza ai fratelli e alle sorelle di Bose “che stanno vivendo il momento più drammatico della loro storia comune e individuale”. Anche i figli – che ben conoscono Bose – mi hanno fatto osservare che da parte mia sarebbe opportuno esprimere “solidarietà e affetto” più che valutazioni specialistiche o battute sdrammatizzanti. Accolgo il richiamo. E non dico altro perchè il mio aggiustamento di tiro sia chiaro. Conosco Enzo Bianchi da mezzo secolo: ci vedemmo la prima volta al Congresso Fuci di Napoli del 1971: avevamo tutti e due 28 anni. Lui era già un personaggio, io ero nel gruppo di presidenza della Fuci. E da allora non ci siamo mai persi di vista. Evviva.
Con un “comunicato ufficiale” diffuso ieri Enzo Bianchi risponde al comunicato pubblicato l’altro ieri dal sito “Monastero di Bose”: afferma di non aver mai contestato” l’autorità del “legittimo priore”, rivendica la possibilità di continuare a dare alla comunità il proprio “contributo di fondatore”, qualifica come “temporaneo” l’allontanamento dalla comunità che gli è stato ordinato e chiede alla Santa Sede un supplemento di istruttoria che favorisca una “riconciliazione” interna alla comunità e superi la necessità del suo allontanamento. Nei primi commenti riporto il testo integrale del comunicato e provo a spidocchiarlo.
Si è svolto l’altro ieri a Montecchio, Pesaro, il funerale di un prete portato via dalla pandemia che ha lasciato due testi, dopo una momentanea guarigione, che sono un messaggio di speranza in questa prova comunitaria. Si diceva “contento” d’aver condiviso il dramma della sua gente, tra la quale c’erano stati tanti morti, e spronava tutti a “guardare avanti”, a curare lo spirito, a mutare stile di vita. Nel primo commento riporto il videomessaggio inviato alla comunità all’uscita dall’ospedale. Nel secondo un racconto della malattia e della guarigione che aveva scritto su mia richiesta concludendo che da tanta sofferenza dovevano germogliare “nuovi semi di necessaria profezia”. Nel terzo dico qualcosa di questo parroco umile e forte, creativo, amatissimo.
Non ho informazioni di prima mano sul conflitto interno alla Comunità di Bose che ieri è stato confermato da un comunicato pubblicato dal sito Monastero di Bose con il titolo “Speranza nella prova”. Sono amico della Comunità e in buoni rapporti con ambedue le componenti in conflitto. Segnalo nei commenti la gravità della situazione e butto là un paio di battutacce per invitare gli amici di Bose, Enzo, Luciano, tutte le monache e tutti monaci come anche i simpatizzanti da remoto – tipo me – a non prendersi troppo sul serio. Ho messo lo spirito di questo invito nel titolo del post.
Continuando con le storie della pandemia, avviate ieri, metto oggi le parole di un pediatra di Chiavari, Vittorio Canepa, 59 anni, ricoverato prima a Lavagna e poi a Genova, tornato a casa il 15 aprile. Parole che ho trascritto con un minimo editing da una videointervista di Teleradiopace trasmessa il 18 aprile con il titolo “Il coronavirus ha perso se risveglia la nostra umanità”. Le riporto nei primi due commenti, riassumendole con l’esclamazione che Vittorio dedica a chi l’ha curato: “Questa è la bontà del Signore nella terra dei viventi”.
In queste settimane abbiamo letto e ascoltato tante storie di morti e di guariti dal Covid – 19. Ho pensato di raccogliere le più interessanti: lo dico nell’ottica dei “fatti di Vangelo” di cui mi vado occupando. Ho già narrato la vicenda del vescovo Antonio Napolioni di Cremona e ora racconto quella del vescovo Derio Olivero di Pinerolo. Parto dai vescovi per avere un aiuto nella ricerca di parole cristiane certe, direi certificate. Ma l’obiettivo è di andare ai cristiani comuni e a tutti. E’ un’inchiesta per la quale, com’è mio metodo, chiedo l’aiuto dei visitatori. Mandatemi o segnalatemi storie di vostra conoscenza, intervenendo qui nel blog, o inviandomi materiali per e-mail. Nei primi commenti la storia piena d’insegnamenti del vescovo Derio.
“Ci è parso conveniente che tu provveda a far trascrivere, da copisti esperti e ben esercitati in questa tecnica, cinquanta volumi delle Sacre Scritture in pergamena finemente lavorata che siano maneggevoli e di facile consultazione, il cui allestimento e il cui utilizzo sai bene quanto siano indispensabili per la Chiesa”: così nel 331 il “Vincitore Costantino Massimo Augusto” scriveva al vescovo Eusebio di Cesarea. Questo singolare documento della storia dell’uso delle Scritture nella storia cristiana era tra i testi evocati nella quarta serata di “Pizza e Vangelo” da remoto di lunedì 18 maggio: qui la richiamo per mettere a disposizione dei visitatori la registrazione audio della serata, che aveva come titolo: “Il Canone del Nuovo Testamento: che cosa ci insegna la storia della sua formazione”. Qui il link alla registrazione. Nel primo commento alcuni spunti sulla Pizza e Vangelo da remoto.
Un caro amico ventoso, Alver Metalli, ciellino estremo, pubblica ora con la San Paolo un eBook in doppia lingua italiana/spagnola: “Quarantena – Cuarentena”, sottotitolo Diario dalla “peste” in una bidonville argentina. Racconta di come provano a fare fronte alla pandemia in una delle periferie più abbandonate di Buenos Aires, dove l’arcivescovo Bergoglio aveva mandato un prete di strada divenuto famoso: padre Pepe. L’eBook ha la prefazione del Papa. In essa Francesco cita e ribalta una canzone dissacrante di Fabrizio De André, “La città vecchia”, che sarebbe la Genova sul porto. A sua volta la chitarrata genovese dolce nel suono e aspra nelle parole rimandava alla “Città vecchia” di Umberto Saba. Saba, De André, Metalli e Bergoglio tutti si chiedono che sappia Dio delle periferie o delle città vecchie. Per condire l’inaspettato richiamo del Papa a De André riporto nell’ordine: la poesia di Saba, due pezzi del cantare di Fabrizio, una scheda sul libro dell’Alver scapigliato, la prefazione di Francesco.
E’ in Rete il nuovo numero della rivista “Il Regno”, quello di maggio, con un editoriale del direttore Gianfranco Brunelli: Dopo il COVID-19: la Chiesa di dopo. Spesso questa rivista aiuta a guardare avanti: e tale mi sembra il dono dell’editoriale che segnalo. Richiama l’attenzione sugli “orientamenti pastorali per il prossimo quinquennio” che la Cei dovrà presto proporre, occasione per sintonizzarsi finalmente con Papa Francesco e con il suo richiamo alla centralità del Kerigma. Afferma l’urgenza che maturi “una sorta di leadership collettiva dei vescovi” in fecondo scambio con la crescita del “ruolo delle Chiese locali”. Tenendo conto della varietà del paese e delle Chiese che l’abitano. Una varietà che la pandemia ci ha proposto con violenza, marcando una specie di nuova “linea gotica” che al momento ha distribuito e continua a distribuire con forte disparità la morte e la recessione. Nei commenti riporto alcuni passaggi dell’editoriale, che invito a leggere per intero.
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