Di nuovo volano i corvi a San Pietro e provocano la riaccensione in automatico dei riflettori dei media. Il 25 gennaio la trasmissione televisiva “Gli Intoccabili” de La7 aveva dato conto di due lettere riservate dell’arcivescovo Viganò che denunciavano malefatte amministrative nell’ambito del Governatorato, venerdì scorso “Il Fatto quotidiano” ha pubblicato un appunto transitato per la Segreteria di Stato vaticana nel quale si parla sconclusionatamente di salute del Papa, durata della sua vita, futuro Conclave e altre questioni spropositate. Nel primo caso si tratta di documenti seri, nel secondo di una chiacchiera bislacca ma il chiasso mediatico è stato comunque grande e nel secondo caso, che ne meritava di meno, esso è risultato ingigantito dalla sommatoria emotiva con il primo. – E’ l’avvio falsamente lento di un mio agitatissimo articolo pubblicato oggi da LIBERAL con l’orante titolo Dacci oggi il nostro corvo quotidiano.
Il blog di Luigi Accattoli Posts
Sono contrario alla candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2020: per i costi, ma anche – e più – perché Roma le Olimpiadi le già avute e ci sono tante città al mondo che meritano di averle.
Alle volte la storia di vita può essere minima, poniamo la scoperta del dono che è stato per noi chi ci è vissuto accanto e del quale poco ci siamo accorti fino alla sorpresa della sua morte. Ecco due battute di un racconto che può essere letto nella pagina CERCO FATTI DI VANGELO elencata sotto la mia foto, al capitolo 7, paragrafo TUO FRATELLO RISUSCITERA’, con il titolo Antonino e la prozia che diceva “sto bene”: Mi salutava con la sua bontà: “Va’, figghiu, va ‘n santa paci”. Vai figlio, vai in santa pace. Lei non aveva avuto figli. Detto velocemente quello ‘n santa paci diventava ‘nzantapaci. Domenica pomeriggio dopo averla pianta, ho guardato fuori dalla finestra. Era una giornata di sole, malgrado il freddo. Mi è sembrato un saluto. E allora gliel’ho detto io: va’, zè Janna, va‘nzantapaci! Vai, zia Anna, vai ‘nzantapaci.
«Vivo e se vivo è perché / c’è stata un’altra persona / che vive dentro di me / e il suo respiro nel mio risuona / vivo io vivo perché / c’è stato chi ha dato un po’ / della sua vita per me / e ora sorride in ogni sorriso che ho»: è il ritornello di una canzone sui trapianti cantata da Manu e prodotta da Andrea Mercurio della Canzoneria su committenza dell’Aido della Lombardia. Il mio plauso a Manu che qui è tenera e imperiosa come sanno essere le ragazze che corrono da chi chiede aiuto. Dietro la canzone c’è una storia vera di una Camilla che vive a Carbonia, ha 19 anni ed è stata salvata da un trapianto di fegato quattro anni addietro. A lei e a Manu dedico un bicchiere di Vino Nuovo.
«A volte sono le banche che fanno le rapine» ha detto oggi Giulio Tremonti nella Sala Stampa del Senato presentando la Banca del Sud. Bertold Brecht: “Che cos’è rapinare una banca a paragone del fondare una banca?” Tremonti o dell’intelligenza. Indimenticabili le virgolette della sua bocca mentre cavava dal portafoglio – il luglio scorso – i 250 euro per l’autofinanziamento dei mini-ministeri di Monza.
Molti visitatori mi scrivono per chiedermi di fare questo o quello al fine di riportare la pace nel pianerottolo, stupiti da tanta e ritornante aggressività. Ne sono meravigliato anch’io ma non farò nulla. Tra poco saranno sei anni che ho aperto la mia casa e mi intrattengo con chi viene a trovarmi restando sulla porta. Le ho tentate tutte perché vi fosse pace su queste venti mattonelle e ho concluso che non tenterò più nulla. Mi sono fatto l’idea che il mio blog è un casino proprio come la vita. E neanche lo chiudo il blog, perché a me questo casino non dispiace. Mi propongo di governare in esso unicamente le mie parole, senza pretesa di agire su quelle degli altri. Di influire sì, ma solo per contagio e mai per censura. Nessuno offenda e nessuno si offenda: è la regola a cui tengo di più. Tanti ripetono qui solfe che si ascoltano per ogni dove e le lanciano agli altri come fossero palle di neve: che motivo c’è di prendersela? Schivatele. Fate conto di ascoltare una qualunque tribuna televisiva. Può essere sempre che si impari qualcosa. Ma c’è un’opportunità in positivo – mi chiede uno – a tenere in piedi una gabbia di matti? Io credo di sì. Ascoltando chi maledice – per esempio – posso provare a dire bene. E non è poco sulla terra.
Povero Papa: egli è tutto concentrato sulla “crisi della fede” e deve invece occuparsi in queste settimane di questioni di governo grandi e piccole che sono per lui vere spine nella carne. Due in particolare: quella grande della trattativa per il rientro dei lefebvriani, che rischia di fallire; e quella piccola della lotta interna al Vaticano sulla gestione del denaro e degli appalti. Su questa seconda abbiamo avuto sabato 4 febbraio un comunicato che sconfessa duramente l’arcivescovo Viganò. Sulla prima c’era stato un rilancio da parte lefebvriana due giorni prima, in occasione della Candelora. – E’ il promettente avvio di un mio cavilloso articolo pubblicato oggi da LIBERAL che puoi leggere qui.
Torno da un incontro in parrocchia con il vescovo Luigi Bettazzi “a mezzo secolo dal Concilio”. L’appuntamento era nella parrocchia romana di Santa Maria ai Monti. Io lo presentavo in quanto quasi parrocchiano (la mia parrocchia è confinante con quella di Santa Maria) e suo vecchio amico: lo conosco dai tempi della Fuci, dunque da 45 anni all’incirca e non l’ho mai perso di vista. Questo vescovo è un augurio vivente di felicità per tutti, ha compiuto 88 anni a novembre e li porta con letizia. Magnifico celebrante, sia nel gesto sia nella voce. Tiene sveglio l’uditorio nella conversazione. Generoso come sempre: è venuto da Bologna con questo tempaccio, litigando con la sorella che non voleva si mettesse in viaggio da solo. Si aiuta con un bastone nel camminare forse da un anno, ma parla in piedi tranquillamente per un’ora, pieno di fiducia in Dio e negli uomini. Il Signore allieti la sua giovinezza.
“Siccome abbiamo trascorso insieme d’amore e d’accordo tutta la vita, desideriamo morire nello stesso momento, così che io non debba vedere il sepolcro della mia sposa, nè essere da lei sepolto”. I loro voti vennero accolti, e i due vecchi diventarono custodi del tempio. Giunti al termine della vita, si trovarono per caso sui gradini del tempio a narrarne la storia ai visitatori. A un tratto Bauci vide Filemone mettere fronde, mentre il vecchio Filemone, dal canto suo, vedeva le membra di Bauci irrigidirsi e metter fronde anch’esse. Intanto che la cima degli alberi cresceva, i due sposi si scambiavano parole di saluto, fino a quando fu loro possibile. “Addio sposo mio” e “addio sposa mia” si dissero insieme.- E’ un brano della favola di Filemone e Bauci narrata da Ovidio nel libro VIII delle Metamorfosi. Lo dedico ai visitatori che hanno amato le storie degli sposi che partono insieme da me narrate una prima e una seconda volta.
Nevica su Roma e io guardo e imbianco. Per altre nevicate da blog vedi Nevica su Roma che non succede mai.
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