«Queste campane – ha spiegato il parroco Don Francesco – erano anche le sue, era una brava persona. Quando muore una persona le campane servono ad avvisare il cielo che sta arrivando qualcuno». Conoscevo Mario Monicelli (vedi post del 30 novembre), conosco don Francesco e le campane di Santa Maria ai Monti. So a che servono le campane e sono contento che don Francesco le abbia suonate per salutare Mario. Non potevo essere ieri mattina nella piazza della Madonna dei Monti, perchè mi trovavo fuori Roma per conferenze (vedi post di ieri), ma c’erano mia moglie e alcuni miei amici. Le parole di don Francesco le ho lette ora nel Corriere on line.
Il blog di Luigi Accattoli Posts
Scrivo da Montegranaro, Fermo, dove ieri sera ho avuto un incontro con l’Azione Cattolica su COMPROMETTERCI NELLA STORIA SENZA COMPROMETTERE IL VANGELO. Stasera sarò a Imola su LA CHIESA DI OGGI TRA GIOIE E DOLORI. Ieri mattina – prima di prendere al Castro Pretorio la corriera per Fermo – ho partecipato a un’assemblea autogestita del liceo scientifico Cavour su CHIESA E STATO. Hanno introdotto tre ragazzi, aula magna stracolma. Poi tre ospiti: Stefano Rodotà, don Paolo Tammi e io. Tre ore e mezza, un dibattito grintoso, civile. Un bel liceo. Felice io di ritrovare l’ottimo don Tammi che una volta mi aveva chiamato alla sua parrocchia e il saggio Rodotà, che avevo conosciuto a Repubblica negli anni 70. Interessatissimi e pieni di domande i ragazzi e le ragazze. Gran cosa i licei che funzionano.
Un abbraccio di fratello a Mario Monicelli – mite uomo e mitissimo – infine violento con se stesso. Una sua figlia era a scuola con una mia. Ieri sera la mia mi ha chiamato da Parigi per darmi la notizia che ancora non avevo. Ci si vedeva alle scuole e in vacanza, quando le ragazze ci andavano insieme nell’estate. E a Roma per le vie del quartiere Monti. Ai saggi scolastici di fine anno. Un abbraccio di riconoscenza a Mario per tutte le volte – tante – che mi ha fatto ridere e piangere. Lo saluto lietamente, richiamando a orecchio per i visitatori le parole gridate da Vittorio Gassman a Stefania Sandrelli nel finale di “Brancaleone alle crociate” (1970): “Fermati Fetentilla, non mi fuirai! Fermati Carognilla, Zozzilla, Mortaccilla, Schifosilla, Gialusilla, ti averò! Neanche lo demonio tuo patrono te la potrà salvare!” Mario, arrivederci.
Scrivono i quotidiani di oggi che il nostro premier – che abbia lunga vita e quanto prima pacifica – avrebbe detto di aver “riso” di ciò che di lui affermano i dispacci “confidenziali” americani divulgati dal sito Wikileaks. E gli credo. Vi si apprende infatti il suo “stretto” rapporto con Putin – chi l’avrebbe immaginato – la sua “inclinazione ai party” e che sarebbe considerato «inetto, vanitoso e incapace (feckless, vain and ineffective) come leader»: all’incirca quello che sappiamo e diciamo tuttodì anche in questo pianerottolo. Tutti da ridere anche i dispacci riguardanti il Vaticano, ripresi ieri dal quotidiano la Stampa: prevedono – alla vigilia del Conclave del 2005 – che il cardinale Ratzinger “nei primi scrutini prenderà più voti ma è improbabile che ottenga il sostegno”. Era quello che scrivevo io – ma con una prosa migliore – sul Corriere della Sera lungo i quindici giorni del preconclave: ognun vede l’altezza delle fonti di cui disponevano. Ne faccio il punto di appoggio per una considerazione seria: vanno ritenuti rilevanti i dispacci in partenza dagli Usa – spiate questo, favorite quello, impedite quell’altro – ma per i dispacci dalla periferia fino a prova contraria vale il monito salvacarta dei gestori della posta elettronica: STAMPA QUESTO MESSAGGIO SOLO SE NECESSARIO.
“L’attesa, l’attendere è una dimensione che attraversa tutta la nostra esistenza personale, familiare e sociale. L’attesa è presente in mille situazioni, da quelle più piccole e banali fino alle più importanti, che ci coinvolgono totalmente e nel profondo. Pensiamo, tra queste, all’attesa di un figlio da parte di due sposi; a quella di un parente o di un amico che viene a visitarci da lontano; pensiamo, per un giovane, all’attesa dell’esito di un esame decisivo, o di un colloquio di lavoro; nelle relazioni affettive, all’attesa dell’incontro con la persona amata, della risposta ad una lettera, o dell’accoglimento di un perdono… Si potrebbe dire che l’uomo è vivo finché attende, finché nel suo cuore è viva la speranza. E dalle sue attese l’uomo si riconosce: la nostra “statura” morale e spirituale si può misurare da ciò che attendiamo, da ciò in cui speriamo. Ognuno di noi, dunque, specialmente in questo Tempo che ci prepara al Natale, può domandarsi: io, che cosa attendo?“: parole di Benedetto all’angelus. “L’uomo è vivo finchè attende”: come sono contento che sia stato detto.
Voglio parlarvi del fenomeno nuovissimo dei “siti memoriali” di internet: è un’espressione che invento io per indicare i siti che restano attivi dopo la morte dell’autore o del personaggio di riferimento e si fanno custodi della sua memoria. Parto dal “gruppo” facebook nato a sostegno del vescovo Carlo Chenis quando esplose la sua malattia e che dura dopo la morte e fino a oggi. Poi dico qualcosa del blog di Angela Altieri che è andato avanti per tre anni con Angela scrivente e continua oggi in sua memoria. Per terzo metto il “gruppo” facebook degli amici di Francesco Alviti, morto di tumore a 22 anni, che tengono vivo il suo “profilo” da quasi tre anni. – E’ il promettente attacco di un mio articolo pubblicato da Il Regno 18/2010 con il titolo UNA VISITA AI “SITI MEMORIALI” E AL MEMENTO DEI MORTI NELL’ERA DIGITALE. Lo puoi leggere nella pagina COLLABORAZIONE A RIVISTE elencata sotto la mia foto. [Segue nel primo commento]
“Ringrazio tutti per la solidarietà e le preghiere per il mio stato di salute. Sono arrivati i risultati delle visite cliniche e com’è stato annunciato vorrei darvene comunicazione. Le visite a Innsbruck hanno confermato la diagnosi dell’ospedale di Merano. È stato evidenziato che soffro di una sindrome rara e atipica di Parkinson che porta a difficoltà nel parlare e nei movimenti. Ho già iniziato le terapie sotto controllo medico“: è il vescovo di Bolzano-Bressanone, Karl Golser, 67 anni, che annuncia la sua malattia con un comunicato del 17 novembre sul sito della diocesi accompagnato da una versione audio e una video. Un abbraccio di solidarietà al vescovo in malattia e un plauso alla sua scelta della trasparenza. Golser è vescovo da appena due anni, succeduto all’indimenticabile Wilhelm Egger (vedi un suo ritratto nella pagina COLLABORAZIONE A RIVISTE elencata sotto la mia foto, al titolo Il pastore mite. Ricordo del vescovo Egger).
“Suggerisco ai colleghi giornalisti di leggere questo volume come una visita guidata al laboratorio papale di Benedetto XVI e al mondo vitale di Joseph Ratzinger. In tale mondo ha un ruolo decisivo la chiamata alla Cattedra di Pietro che lo sorprese quel pomeriggio d’aprile in maglione nero e con quel maglione nero sotto l’abito bianco lo portò sulla loggia della Basilica di San Pietro. La visita guidata ci dice qualcosa sull’uomo in maglione, su quello con l’abito bianco e sul rapporto tra i due. La mia presentazione si appunterà su questo lato umano del suo modo di fare il Papa“: è l’attacco ad effetto della mia presentazione del libro intervista del papa nella Sala Stampa Vaticana, che ho letto ieri e che puoi leggere qui. [Segue nel primo commento]
Se dovessi scegliere una sola frase del libro-intervista del Papa – Luce del mondo – appena pubblicato, prenderei questa: «Considerare il Vangelo nella sua vitalità, semplicità e radicalità, renderlo di nuovo contemporaneo». Si trova alla pagina 114. Almeno altre cinque volte nel volume Benedetto insiste sulla “semplicità e radicalità” del Vangelo e del cristianesimo. Le ho messe in fila nel brindisi di Vino Nuovo che gli ho appena dedicato.
Il Papa ha detto “prostituto” o “prostituta”? Ha detto “prostituto” al maschile, ma parlando in tedesco e il traduttore che l’ha voltato in italiano ha preso un bel granchio. E pensare che la nostra lingua, a differenza di altre che hanno costretto i traduttori a ricorrere a delle parafrasi, ha da sempre la parola “prostituto”: è il patetico attacco di un mio sdottorante articolo pubblicato oggi dal Corriere della Sera a pagina 19 con il titolo QUELL’ERRORE DI TRADUZIONE CHE CAMBIA IL “PROSTITUTO” IN “PROSTITUTA”. La materia è piccola, ma non va dimenticato che il giornalismo è anche l’arte di raccontare le cose serie come fossero fregnacce e le fregnacce come fossero cose serie.
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