Il blog di Luigi Accattoli Posts

E’ domenica e la benefattrice accompagna la barbona a passeggio per il quartiere [vedi post del 10 agosto: La barbona va a fare la spesa]. La saluta e le dà la mano per alzarsi. Rischiano tutte e due di cadere ma infine sono in piedi e la donna colorata prende sotto il braccio l’amica grigia come il marciapiede sul quale vive. Camminano e parlano ma forse la benefattrice non capisce e allora l’altra scrive col dito qualcosa, una parola, un nome, un numero, sul muro che costeggiano. Scrive più a lungo su una vetrina. Quando tornano al punto di partenza, riseduta la barbona ancora scrive con il dito sulla polvere del marciapiede. L’altra forse intende o forse no ma ride e la saluta.

Don Verzé: ecco che farei se fossi papa“: ho letto il testo del creativo don Luigi Maria Verzé pubblicato dal Corsera del 3 settembre e mi sono divertito e lo difendo dalle critiche che – come d’abitudine – ha provocato. Di mio io don Verzé – che leggo da una vita e che da una vita mi allieta – stavolta non l’avrei letto, immaginando di sapere già quello che avrebbe fatto “da papa”: e infatti l’ho letto solo oggi pomeriggio, provocato dalle critiche che ha ricevuto. Svolge i paradossi che ha sempre proposto con invidiabile libertà di spirito. Ma – si obietta – crea confusione su ciò che un cristiano è tenuto a credere. Un momento: un cristiano crede al Credo, mica a don Verzé. “Ma è un prete”: i preti non sono così importanti. “Contraddice la disciplina canonica e la comune dottrina”: lo fa rivendicando la sua libertà di opinione e la sua responsabilità. “Come mai le dice oggi quelle cose e non quando c’era il papa polacco?” Le ha sempre dette, già un ventennio addietro e di nuovo in vista del conclave del 2005, presente ancora Giovanni Paolo: allora l’antifona non era “se io fossi papa”, ma “se il futuro papa facesse questo e quello”. – Abbiamo bisogno di maggiore tolleranza interna, di una più rigorosa concentrazione sulla vita evangelica invece che sulle diatribe. Se uno dice una stravaganza lo si compatisce. Se ha compiuto 90 anni e ha la fantasia di dirne un’intera sequenza, io gli mando un bacio. In più c’è il fatto che don Verzé spariglia i giochi e non sai se è di destra o di sinitra e questo mi piace alla follia.

A Sua Santità Papa Benedetto XVI, il Pastore che cerca di condurci ai pascoli delle benedizioni e ai pascoli della pace. Con grande stima. Shimon Peres, Presidente dello Stato di Israele”: è la dedica incisa in una targhetta posta alla base della Menorah – il candelabro a sette bracci del Tempio di Gerusalemme – che Peres ha donato ieri al papa, facendogli visita a Castel Gandolfo. Quella dedica l’ha composta il presidente: è facile vedere in essa un richiamo alla predicazione di pace svolta da Benedetto in Terra Santa nel maggio del 2009. Quando dice “cerca di condurci” la dedica parla a nome del popolo israeliano ma a me piace intendere quel “noi” come abbracciante anche il popolo palestinese. Dedico ai visitatori del blog gli 87 anni di Peres, gli 83 di Benedetto, quella dedica e questa mia abusiva interpretazione.

Amo troppo l’arcivescovo Agostino Marchetto per poterne parlare con distacco. Cercherò di dire poco: che mi dispiace il modo della sua uscita di scena e che spero vi possa essere un correttivo a essa, con il tempo. L’ho intervistato tante volte, l’ultima a ferragosto per il Corriere Veneto – egli è di Vicenza – sul motto “prima i veneti” posto a criterio ispiratore del progetto per lo statuto della Regione: trovi il link in un post del 13 agosto. L’ho sempre trovato disponibile e schietto ma la mia gratitudine ha ragioni più ampie: l’esempio che diede nella malattia, la puntualità nello studio del Concilio, il coraggio nelle battaglie per i più poveri della terra. Sulle dimissioni dirò che era vera la sua volontà di lasciare a 70 anni espressa già un anno addietro, ma è vero anche che l’accettazione di quella richiesta al compleanno e senza passaggio ad altro incarico è un segnale riparatore ai tanti che la libertà di parola dell’arcivescovo aveva urtato: dal governo italiano a quello francese. Per la vicenda della malattia Marchetto era da tempo un personaggio della mia indagine sui FATTI DI VANGELO: lo trovi nel capitolo 5, Anche in ospedale si può essere felici, della pagina CERCO FATTI DI VANGELO elencata sotto la mia foto.

Il quotidiano iraniano Kayhan – definito dai nostri media ‘ultraconservatore’ – prima ha qualificato come “prostituta italiana” Carla Bruni e poi ha scritto che merita la morte perchè “donna immorale” come Sakineh Mohammadi-Ashtiani contro la cui lapidazione la signora Sarkozy era intervenuta. Chiedo che l’Italia si unisca alla Francia per salvare Sakineh dalle sassate. L’umanità oggi può mettere in agenda l’abolizione universale della lapidazione proprio a partire da quella per adulterio. Nella città mondiale una donna condannata alla lapidazione viene “condotta” davanti a ciascuno con la domanda “tu che ne dici” e ognuno dà la risposta.

Spettacolo delle facce di Frattini, Letta e Berlusconi attornianti Gheddafi che vaticina la conversione dell’Europa all’Islam. Cinquecento ragazze e poi altre duecento e tre che prendono il velo: di certo in questi numeri c’è un significato. Come nei 150 o 100 o 80 euro che hanno ricevuto per ascoltare il profeta del Profeta. – Dove non può il dramma potrà forse il grottesco: la predicazione coranica di Gheddafi aiuterà i più distratti a mettere a fuoco il dramma della libertà religiosa nel mondo e in particolare in quello musulmano. Ma dovrebbe anche spronare il nostro governo a una maggiore attenzione a questa tematica. La gaffe d’aver fatto ponti d’oro al secondo tempo della sceneggiata missionaria del dittatore libico – c’era stato un primo inequivocabile assaggio con la visita del giugno dell’anno scorso – è forse poca cosa, ma la sottovalutazione di questi argomenti, anche quando grondano sangue, è purtroppo abituale.

«Siamo tutti nomadi nella vita. Queste tragedie nel nostro tempo potrebbero e dovrebbero essere inammissibili»: così il cardinale vicario Agostino Vallini ha ricordato ieri a Lourdes, dove guida il pellegrinaggio della diocesi di Roma, lo zingarello Mario di tre anni, morto venerdì nel rogo del campo nomadi della Muratella. Il cardinale ha ricordato il bimbo, il fratellino Marco Giovanni di tre mesi che è grave al Gemelli e i genitori Marian Firu ed Emilia Parinescu all’inizio della Via Crucis. Al pellegrinaggio è presente anche Renata Polverini, presidente della Regione Lazio, con la mamma Gianna. Sia Renata sia la mamma hanno portato la croce per una stazione.

Oggi sono andato per la prima volta all’Ikea dove i miei figli sono di casa. Ho comprato un cuscino poggiacomputer detto BRADA e mi sono divertito a osservare i bambini che giocavano nella Foresta incantata. Il reparto che mi ha conquistato è quello dei tappeti tra i quali mi aggiravo immune da ogni tentazione di acquisto non avendo mai capito a che servano.

Ritengo una felice colpa quella del consigliere del presidente Sarkosy, Alain Minc, che l’altro ieri ha menato scandalo per le parole in difesa dei Rom dette domenica dal papa all’angelus e da tutti interpretate come una critica delle espulsioni in massa decise dal governo di Parigi: «Ce pape allemand ? Parler comme il a parlé ? En français ? On peut discuter (de) ce que l’on veut sur l’affaire des Roms, mais pas un pape allemand. Jean-Paul II peut-être, pas lui (…). Son insensibilité qu’on a mesurée quand il a réinstallé un évêque révisionniste, son insensibilité à l’histoire, dont il est comme tous les Allemands un héritier, non pas un coupable mais un héritier». Se uno è un Rom è un delinquente, se uno è tedesco è un razzista, se uno è un francese è un figlio dei lumi. La corta veduta porta a battere la testa e se questa è dura ne viene un notevole fracasso. L’utilità del fracasso – in questo caso – sta nell’aiuto a cogliere l’astuzia della Provvidenza che ha voluto prima un papa polacco e poi uno tedesco per disincagliare il Vangelo dalle appartenenze nazionali e riportarlo nel mezzo di ogni umanità.

La vita in baracca è stata terribile, non è stato come per quelle venute dopo, che avevano la protezione della famiglia. Io per lavorare nella gelateria dovevo attraversare un bosco e non c’era anima viva. Mi ha protetta solo Dio”: parla così Apollonia Russo, calabrese, narrando il suo inserimento tra gli emigrati in Germania, dove va nel 1964 a cercare lavoro con il marito e un figlio. E’ la prima tra le donne calabresi a osare tanto: “Tutti uomini, io non ci potevo parlare”. Vedi la sua storia – narrata da Assunta Scorpiniti in Sette storie su scala di seta, Cosenza 2009 – e il suo entusiasmo di cristiana evangelica nel capitolo PREGHIERA PUBBLICA della pagina CERCO FATTI DI VANGELO elencata sotto la mia foto.