E’ nato Pietro figlio di Agnese, figlia di Luigi che sarei io. E’ il secondo nipote e l’accogliamo con la festa assommata con cui abbiamo accolto i figli e il primo nipote. Benvenuto piccino bello nella grande giostra della vita! Tu sei per noi il segno che Dio non si è pentito della sua alleanza con l’umanità. Un grande abbraccio a te, a mamma Agnese e a papà Paolo dai nonni Isa e Luigi.
Il blog di Luigi Accattoli Posts
Nel mio commento al libro del papa su Gesù oggi mi fermo su una sola frase, che tratta del “falso legalismo contro cui combatte Paolo e che, nell’intero corso della storia, purtroppo, è stato posto sotto l’infelice nome di giudaismo” (p. 150). Una frase importante, che riassume efficacemente la riflessione del cardinale e teologo Ratzinger sulla relazione tra la Chiesa e Israele e sulla “consapevolezza di una colpa, a lungo rimossa, che grava sulla coscienza dei cristiani dopo i terribili eventi dei dodici funesti anni dal 1933 al 1945”, come si era espresso nel volume La Chiesa, Israele e le religioni del mondo (San Paolo 2000, p. 5). Per una piena interpretazione di quelle poche parole sono utili, nel volume su Gesù, i braci citati al post precedente a esso dedicato e alcune righe che si leggono a p. 133: “Va da sè che questa concezione (del giudaismo del tempo di Gesù come un “legalismo fossilizzato, che nel più profondo significherebbe ipocrisia”, ndr) non poteva generare un’immagine amichevole del giudaismo. La critica moderna – a partire dalla Riforma – ha visto però l’elemento ‘giudaico’ così concepito ripresentarsi nel cattolicesimo”. Per la summa della posizione di Ratzinger sull’ebraismo al volume citato sopra va aggiunto l’articolo apparso sull’Osservatore romano del 29 dicembre 2000, intitolato L’eredità di Abramo dono di Natale.
“Grazie per aver letto”: scritto su un foglio che trovo a terra in via dell’Arancio a Roma, Un equivalente gentile del villano “fesso chi legge” che furoreggiava sui muri d’antan. Potrebbe essere il motto di chi tiene un blog.
Nel capitolo sul Discorso della montagna – quarto del volume su Gesù – papa Ratzinger conduce un lungo dialogo con “il grande erudito ebreo Jabob Neusner” autore di un volume intitolato Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù (Piemme 1996), facendone – si direbbe – l’interlocutore privilegiato dell’intera opera. Quel dialogo gli è occasione per esprime una comprensione fraterna dell’ebraismo di oggi e delle interpellanze che esso rivolge ai cristiani. Ecco qualche brano che meglio segnala questo atteggiamento:
Questa disputa (di Neusner con Gesù, ndr) mi ha aperto gli occhi sulla grandezza della parola di Gesù e sulla scelta di fronte alla quale ci pone il Vangelo. Così, in un paragrafo, desidero entrare anch’io da cristiano nella conversazione del rabbino con Gesù, per comprendere meglio, partendo da essa, ciò che è autenticamente ebraico e ciò che costituisce il mistero di Gesù (93);
Cerchiamo di riprendere l’essenziale di questo colloquio per conoscere meglio Gesù e comprendere più a fondo i nostri fratelli ebrei (130);
Alla cristianità farebbe bene guardare con rispetto a questa obbedienza di Israele (alla Torah, ndr) e così cogliere meglio i grandi imperativi del Decalogo, che essa deve tradurre nell’ambito della famiglia universale di Dio (150).
La ricerca di un atteggiamento fraterno con gli ebrei di oggi risuona anche in altre parti del volume. Ecco per esempio nel capitolo sul Padre nostro come viene commentata la norma ebraica che “non si pronunciasse” l’audodefinizione di Dio – “Io sono colui che sono” – “percepita nella parola YHWH”: “E pertanto non è corretto che nelle nuove traduzioni della Bibbia si scriva come un qualsiasi nome questo nome per Israele sempre misterioso e impronunciabile, riducendo così il mistero di Dio, del quale non esistono nè immagini nè nomi pronunciabili, all’ordinarietà di una comune storia delle religioni” (173).
Con piacere ho letto sull’Avvenire del 1° giugno che il rabbino Jacob Neusner ha dato un giudizio entusiasta del volume del papa: “Col suo Gesù di Nazaret le dispute ebraico-cristiane entrano in una nuova era“.
Ad Asti per una conferenza intitolata “Io non mi vergogno del Vangelo” sono stato interrogato sulla politica e ho sostenuto la libertà di scelta, aggiungendo che ogni opzione risulterà inadeguata e ne verrà il dovere di impegnarsi a diffondere nella compagnia che si è scelta i sentimenti cristiani che in essa sono meno accolti. Se hai votato a sinistra ti adoperai perchè l’ambiente di sinistra sia più ricettivo nei confronti della vita, della famiglia e della libertà educativa. Se il voto ti ha portato a destra, promuoverai le sorti dello straniero, della pace e degli ultimi. Ho pure detto che in questo modo ci si fa portatori del Vangelo in politica, mentre quando ci appelliamo al cristianesimo per polemizzare con i cristiani che stanno dall’altra parte usiamo la fede a scopo politico. Un ragazzo presente all’incontro mi scrive per chiedermi un parere sull’opportunità che i cristiani tornino a raggrupparsi in un unico partito. Riporto la lettera come primo dei commenti e sviluppo poi la mia risposta che è favorevole alla trasversalità della presenza cristiana e anche alla sua mobilità, compreso il voto disgiunto, ma che è contraria all’unità politica dei cattolici. Perchè una tale unità – quando non è necessaria, come nell’Italia di oggi – mortificherebbe l’importanza delle scelte politiche subordinandole a un’idea generale e ridurrebbe la funzione di lievito della nostra presenza – il lievito dev’essere ovunque – risultando, in definitiva, meno efficace nella promozione dei sentimenti e valori cristiani.
“Miao Micia! FC”: scritta su un muro, leggibile dalla ferrovia sul tratto La Spezia-Lerici. Immagino che i gatti siano così numerosi, in quel tratto, da indurre il nostro a mettere le proprie iniziali in modo che il messaggio risultasse inequivoco, quanto al mittente.
“I conquistatori vanno e vengono, restano i semplici, gli umili, coloro che coltivano la terra e portano avanti semina e raccolto tra dolori e gioie. Gli umili, i semplici sono, anche dal punto di vista puramente storico, più durevoli dei violenti”: così il papa a p. 108 del libro su Gesù, a commento della terza beatitudine di Matteo, riguardante i miti che possiederanno la terra. Mi piace leggere in Ratzinger questa lode degli umili “anche dal punto di vista puramente storico”. In letteratura l’intuizione che il mondo è sostenuto dai semplici rivela i grandi autori cristiani, da Manzoni a Tolkien. L’amore di Renzo e Lucia ha la meglio sulle mene di don Rodrigo e dell’Innominato. Due hobbit insignificanti come Frodo e Sam – detti anche “mezzi uomini” – battono l’Oscuro signore nonostante i nazgul e gli orchetti. Tra i teologi quell’avvertenza degli ultimi che durano più dei potenti segnala chi ha percezione della vita oltre che studio delle Scritture. Per un altro spunto simile già incontrato nel volume del papa – riguardante il potere di Dio come “potere vero nel mondo” – vedi il post del 27 maggio.
“Auguri Clà! Alvaro”: scritto con spry bianco sul marciapiede davanti a un portone di via Cavour a Roma, in modo che sia leggibile per chi esce dall’edificio.
La partecipazione del cardinale Bertone – giovedì sera – a Porta a porta ha fruttato un’informazione indicativa di che cosa fosse la regola del riserbo nel Vaticano di quarant’anni addietro: il famoso “terzo segreto” non era conosciuto appena da tre o cinque persone, come si credeva finora, ma era stato letto a una “plenaria” del Sant’Uffizio eppure mai nulla se ne seppe fino alla pubblicazione nel duemila. Ha detto dunque il cardinale segretario di Stato che era “strano” che il cardinale Alfredo Ottaviani, segretario del Sant’Uffizio negli anni ’60, avesse affermato in un’occasione che il testo del segreto era di “25 righe” – mentre è di 62 – perché “il cardinale lo conosceva bene, avendolo mostrato a una plenaria del dicastero”. Di questa consultazione e del voto contrario alla pubblicazione da essa espresso non si era mai saputo. Ho chiesto l’anno alla segreteria del cardinale Bertone e mi ha fatto dire che quella plenaria si tenne il 1° marzo 1967 in vista del viaggio di Paolo VI a Fatima (13 maggio di quell’anno). Finora si riteneva che prima di Giovanni Paolo e dei suoi collaboratori il “segreto” l’avessero letto Giovanni XXIII e Paolo VI assistiti dai rispettivi segretari e prefetti del Sant’Uffizio e da un paio di interpreti portoghesi, qualcosa dunque come otto persone. Ora invece sappiamo che erano stati una trentina a conoscerlo. Eppure il segreto – alla cui caccia erano devoti e medium, giornalisti e spie – ha retto per oltre trent’anni, calcolando a partire da quella “plenaria” e per un totale di 66 anni a contare dal scrittura di suor Lucia. Davvero il Vaticano non è più quello di una volta: ultimamente abbiamo saputo in anticipo le nomine di Tettamanzi Bertone Bagnasco e riteniamo di conoscere con buona approssimazione l’andamento degli scrutini degli ultimi tre conclavi. Quanto reggerebbe un “quarto” segreto di Fatima che venisse letto oggi alla plenaria della Congregazione per la dottrina?
Batto le mani al vescovo Rino Fisichella che era da Santoro ieri sera ad Annozero, alle prese con il filmato della Bbc sui preti pedofili. L’approvo per esservi andato, oltre che per come ha parlato. Ci voleva fegato ad andarvi ed egli l’ha avuto. Da giornalista apprezzo chi a domanda risponde. L’autore del filmato Colm O’ Gorman ha scusato il taglio unilaterale dell’inchiesta con il fatto che prima dal Vaticano e poi dalla Chiesa cattolica della Gran Bretagna non era riuscito a ottenere interviste. Una scusa debole, perchè se credi nel contraddittorio un Fisichella lo trovi (e questo vuol essere un riconoscimento anche a Santoro), o quantomeno ripieghi su un “avvocato” che ne faccia le veci. Ma quella del collega O’Gorman non è una scusa inventata: ognuno che ha lavorato da giornalista con gli uomini di Chiesa sa la risposta che ottiene quando chiede un “commento” a uno scandalo: “Non mi citi neanche”. Forse Fisichella una volta lì poteva ammettere – poniamo – che la preoccupazione per le vittime la Chiesa cattolica l’ha maturata sotto la spinta dell’opinione pubblica. Ma l’importante era esserci. Finalmente la cattolicità ufficiale sta facendo i conti – al proprio interno – con quello scandalo, ma non è ancora pronta a parlarne fuori casa. Fisichella l’ha fatto.
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