Mese: <span>Luglio 2006</span>

“Voglio dire che anche oggi, nel contesto della cultura moderna, con tutti i problemi che abiamo, anche oggi è possibile credere in Gesù Cristo, la luce che ci orienta anche nelle circostanze attuali”: sono parole dette ai giornalisti da Benedetto XVI durante il volo Roma-Valencia, sabato scorso. Le propongo come l’esempio più semplice di ciò che intendo quando affermo che il papa teologo si pone continuamente di fronte alla difficoltà a credere che ha l’umanità di oggi e cerca come di viverla dentro di sè, per poter in qualche modo venire in suo aiuto. Sono parole simili ad altre che ognuno di noi si trova a pronunciare quando vuole rispondere alle domande dei figli, o dei genitori, o degli amici che chiedono se davvero crediamo – poniamo – alla resurrezione della carne. Mi propongo di tornare sull’argomento e di proporre domani un altro esempio, preso sempre dal viaggio a Valencia, di ciò che intendo quando indico il papa come un cristiano che parla a nome di tutti.

Se ne va Joaquin Navarro-Valls, uomo vivo e portavoce di due papi per quasi 22 anni e prende il suo posto il padre Federico Lombardi, vivissimo cristiano tenuto fino a oggi in faticosi ruoli amministrativi, alla Radio Vaticana e al Centro televisivo vaticano. Ho avuto una consuetudine quasi quotidiana con Joaquin da prima che diventasse portavoce, quand’era lui – corrispondente del quotidiano spagnolo ABC – a venire da me per sapere le cose e conosco Federico dalla metà degli anni ’70, quand’era il vice di Sorge alla Civiltà cattolica e mi chiamava a parlare ai gruppi scout dei quali era animatore. Ambedue hanno partecipato da fratelli alle mie vicende familiari, tragiche e liete. Dedico a loro questo pensiero: se la sfida epocale per ogni papa, oggi, è quella di essere un cristiano chiamato a parlare a nome di tutti (vedi post del 7 luglio), allora l’uomo che egli sceglie come sua voce dovrà aiutarlo a parlare a tutti. Ho maturato questa idea vedendo all’opera Navarro-Valls e ascoltando le radiocronache e le telecronache del padre Lombardi.

Mezza giornata di turismo nell’incanto di Valencia, in coda alla visita del papa. Ne approfitto per mandare agli amici del blog due cartoline. La prima rappresenta una pietra d’angolo dietro il Miguelete, la torre che domina la facciata della cattedrale. Ho girato a lungo intorno al fascinoso edificio in cerca di un’erma, una stele o una pietra delle fondamenta che possa essere stata tempio di Diana, chiesa visigota, moschea, chiesa del Cid Campeador e di donna Jimena, di nuovo moschea e di nuovo chiesa (vedi post dell’8 luglio) e mi figuro d’averla trovata per l’appunto dietro il Miguelete, dov’esso si raccorda con un angolo rientrante all’edificio. La dedico ai cultori del meticciato di civiltà, ai quali forse potrei apparentarmi. E in primis al patriarca Angelo Scola, che ha proposto quel motto d’epoca. – La seconda cartolina ritrae le due catene del porto di Marsiglia, che vedi appesi alla parete di destra e a quella di fondo della “Cappella del santo Caliz”: furono tagliate e asportate dagli aragonesi con un atto di pirateria nel 1423 e qui appese come reti da pesca ad asciugare e come… ex voto! Beato quel tempo in cui ci si assaliva tra cristiani e si lodava Dio per la buona riuscita dell’assalto, che voleva dire – ovviamente – rapina e fraterno scannamento. Questa cartolina la dedico a quelli che sanno vedere gli aspetti negativi della modernità, senza dimenticare quelli positivi.

Un visitatore che si firma Francesco73 ha osservato in un commento, a proposito dei toni bassi di papa Benedetto, che “il nostro tempo non può fare a meno della scossa dei grandi gesti”. Non mi attendo grandi gesti da papa Ratzinger. Immagino che riuscirà comunque a scuotere il mondo con la concentrazione sul cuore del messaggio: Deus caritas est. Credo non vi sia messaggio più terremotante. Ma intuisco un dramma del tempo nel suo destino di papa. Egli avrebbe bisogno di una lunga stagione per la sua pedagogia dell’essenziale, ma non ne dispone, essendo stato eletto all’età in cui Wojtyla compiva vent’anni di pontificato. Non gli resta che scommettere sul tempo di Dio, che può essere lungo in una breve durata.

Sono con il papa nella cattedrale di Valencia e il cuore sfarfalla all’idea che questo luogo e parte di queste pietre furono tempio pagano in epoca romana e quindi chiesa cristiana e poi moschea, tra l’VIII e l’XI secolo. Per la seconda volta chiesa cristiana con il Cid Campeador, appena otto anni, tra il 1094 e il 1102. Di nuovo moschea e stavolta per piu` di due secoli, poi che Valencia fu ripresa dai mori e tolta alla sposa del Cid, donna Jemena, che l’aveva tenuta ancora per tre anni dopo la morte di lui. Torna a essere una nostra chiesa dopo la reconquista definitiva del 1238, da parte di Giacomo I d’Aragona. Una volta tempio pagano, due volte moschea e tre volte chiesa: che altro ti puo`capitare se sei terra o pietra?

Un visitatore del blog mi chiede che differenza io veda tra il papa che governa e il papa che parla a nome di tutti (vedi post precedente). Il papa che parla a nome di tutti è Giovanni Paolo II che si oppone alla guerra (a ogni guerra) e alla manipolazione genetica, che chiama fratelli maggiori gli ebrei e fratelli i musulmani. Il papa che governa è Giovanni Paolo II che promulga il codice di diritto canonico, che nomina i vescovi di tutto il mondo, che fa annunciare la scomunica di Marcel Lefebvre. Il papa che governa formulando leggi e applicandole resta il papa della Chiesa cattolica. Il papa che si pone a portavoce del Vangelo sulla scena del mondo potrebbe essere riconosciuto, domani, da tutti i cristiani. Immagino per il futuro prossimo una diminuzione della componente di giurisdizione del papato, parallela a un’esaltazione della dimensione apostolica. Per il futuro lontano sogno un papa apostolo investito del compito di attestare il Vangelo a nome di tutti i cristiani.

Sabato e domenica, 8 e 9 luglio, sarò a Valencia con il papa: sono felice di andarvi, anche perchè non ho mai visto Valencia, la ciudad del Cid Campeador! Ma sono attirato ovviamente dall’avventura conoscitiva del nuovo papa, che non è mai così viva come quando viaggia. A Roma il papa – qualsiasi papa ma soprattutto questo, che tende a nascondersi – è come coperto dalla ritualità che l’avvolge e lo riconduce, ogni momento, all’ombra dei predecessori. La visibilità papale si fa massima, invece, nelle trasferte. Allora egli è raggiungibile da ogni lato e non solo frontamente, come quando si affaccia alla finestra. Non parlo – si capisce – della sola visibilità fisica e gestuale, che è anch’essa importante: la novità delle situazioni esalta la percezione delle scelte, degli insegnamenti. Tanto più se non siamo semplicemente in attesa di capire il suo “governo”, ma se lo guardiamo come si guarda a un cristiano chiamato ad agire a nome di tutti. Ho già detto per il viaggio in Polonia (vedi i post del 25 maggio-1° giugno) che questa è la mia intenzione, quando mi applico a capire un papa. L’andata in Spagna merita il massimo d’attenzione, in quanto ci va per la famiglia e in Spagna c’è un conflitto politico su di essa più vivo che da noi. Che fa in quella situazione il cristiano che porta la responsabilità di parlare a nome di tutti? Parto con questa domanda negli occhi. A risentirci. 

A proposito di Provenzano e delle sue Bibbie (vedi post del 14 e 15 aprile, e del 4 giugno), trovo una vecchia pagina del Corriere della Sera (18 marzo 2005) dove il collega Dino Martirano ritratta Massimo Tata, 40 anni, condannato a 25 per omicidio, fine pena 2019, che lievita i tempi lunghi della sua vita rinchiusa leggendo libri per i ciechi. Lavora cioè per la collana Libro parlato dell’Unione ciechi italiani: “Prima del carcere non leggevo molto. Guidavo tutto il giorno il carro attrezzi e quando non guidavo dormivo. Poi a Rebibbia ho chiesto una Bibbia forse per raccomandarmi al Signore e ho scoperto parole e significati ai quali non mi ero mai avvicinato”. Mi chiedo come sia avvenuto che abbiano negato una Bibbia a Provenzano, dopo l’arresto. Un collega della giudiziaria mi dice: perchè in isolamento non puoi avere libri. Già, la Bibbia è un libro!

Leggo qualcosa di un’antologia sulle pagine personali del web (Dopo la democrazia? Il potere e la sfera pubblica nell’epoca delle reti, Apogeo editore) e forse intuisco perché mi sono buttato nell’impresa di questo blog: per fare qualcosa con i miei figli informatici, che me lo stanno costruendo, ma anche per vedere se mi riesce di dire la mia fuori da ogni condizionamento. E’ un’avventura, questo mi è chiaro. Sento la spinta a tenere un diario in pubblico e trovo nella rete lo spazio per mettermi alla prova. Non so se funzionerà. Con due mesi di “numeri zero” e altri due di passa-parola tra amici ho messo insieme un’ottantina di visitatori diversi al giorno e avverto la tentazione di affrontare nuovi argomenti. Vedo la rete come un luogo dove uno può parlare a chi passa senza pagare pedaggi e può invitare i passanti a rifarsi vivi. La faccenda ha qualcosa a che fare con il mercato dove uno piazza il suo banco e con la conversazione in piazza, tra la fontana e il comune. Ringrazio i primi duemila visitatori e vado avanti.

“La pace è resa più salda se segue la guerra” e viene sempre il momento in cui “bisogna essere convinti che il ricorso alle armi è inevitabile”, ma soprattutto “non bisogna lasciare che gli avversari diventino più potenti”: non sono righe prese da articoli di Giuliano Ferrara sulla guerra all’Iraq, ma da La guerra del Peloponneso di Tucidide, che leggo in questi giorni di vacanza. Anche quella fu una guerra preventiva, motivata – a parere dello scrupoloso narratore, che dedicò la vita a studiarla – “dall’accrescimento della potenza ateniese e dal timore che essa incuteva agli spartani”. E’ cambiato tutto nel mondo, dal quinto secolo avanti Cristo a oggi, ma non è cambiata la legge della forza e della paura e il calcolo che ne fanno gli uomini accampati gli uni di fronte agli altri. Le parole tra virgolette sono prese dai paragrafi 124, 144, 86, 23 del libro primo di quel grande testo. Merita leggere chi pensò a lungo prima di scrivere e tanto si interrogò sui pro e i contro di una guerra quasi trentennale.