Mese: <span>Luglio 2006</span>

Nei giorni scorsi un post intitolato Se Benedetto avesse interrotto la vacanza ha avuto un massimo di commenti (53) che si sono aggirati in prevalenza intorno al linguaggio con cui parlare del papa. Mi sono trovato a segnalare ai visitatori più caldi alcune espressioni che ritenevo eccessive, osservando che lo stesso Benedetto le avrebbe disapprovate. Tra esse ve ne erano un grappolo riguardante l’elezione del papa: “Dal momento che è scelto da Dio”, scriveva per esempio una visitatrice. Nella testa mi ronzava un testo ratzingeriano che ridimensionava simili espressioni devozionali, ma non riuscivo a rintracciarlo. Infine l’ho ritrovato e lo offro ai visitatori traducendolo dall’inglese, ma riporto anche il testo inglese che a sua volta lo traduceva dal tedesco: con le fonti giornalistiche la prudenza non è mai troppa. Si tratta di un’intervista alla televisione bavarese che risale al 1997, citata dal National Catholic Reporter del 14 aprile 2005. Alla domanda se lo Spirito Santo sia responsabile dell’elezione del papa il cardinale rispondeva: “Non direi così, nel senso che sia lo Spirito Santo a sceglierlo. Direi che lo Spirito non prende esattamente il controllo della questione, ma piuttosto, da quel buon educatore che è, ci lascia molto spazio, molta libertà, senza pienamente abbandonarci. Così che il ruolo dello Spirito dovrebbe essere inteso in un senso molto più elastico, non che egli detti il candidato per il quale uno debba votare. Probabilmente l’unica sicurezza che egli offre è che la cosa non possa essere totalmente rovinata. Ci sono troppi esempi di papi che evidentemente lo Spirito Santo non avrebbe scelto”. In inglese: “I would not say so, in the sense that the Holy Spirit picks out the pope. I would say that the Spirit does not exactly take control of the affair, but rather like a good educator, as it were, leaves us much space, much freedom, without entirely abandoning us. Thus the Spirit’s role should be understood in a much more elastic sense, not that he dictates the candidate for whom one must vote. Probably the only assurance he offers is that the thing cannot be totally ruined. There are too many contrary instances of popes the Holy Spirit would obviously not have picked.”

Il ministro Clemente Mastella “dedica” l’indulto a Giovanni Paolo che al Parlamento aveva chiesto un “gesto di clemenza”. Ma Antonio Di Pietro contesta: “Sono certo che il papa pensasse ai poveri e agli sfortunati che sono in carcere e non ai corrotti e ai corruttori”. Ho già segnalato che Wojtyla nella lettera per il “giubileo nelle carceri” aveva chiesto un gesto rivolto a “tutti i detenuti” (vedi post del 29 luglio). Aggiungo che Di Pietro sbaglia quando restringe ai diseredati “la carità e la solidarietà” insegnate dai Vangeli: oltre che dei poveri, dei lebbrosi e delle prostitute, Gesù era amico dei pubblicani, che prendevano in appalto le imposte, facevano opera di strozzinaggio nei confronti della popolazione ed erano “collaborazionisti” dell’occupante romano. Erano cioè parte di quel ceto dei “senza dignità” al quale oggi appartengono i tangentisti. Ma più che con ogni altro mi trovo con Adriano Sofri, che oggi su Repubblica parla del “rischio del bene” a proposito di questi dodicimila che usciranno dal carcere e che di certo, in parte, torneranno a scippare, rapinare e corrompore.

Festa di saluto per Joaquin Navarro-Valls ieri sera, a Palazzo Cesi, in via della Conciliazione 51, offerta dai giornalisti accreditati presso il Vaticano (vedi post del 12 luglio). Salvatore Mazza di Avvenire, presidente degli accreditati (Aigav) parla a nome di tutti e dice del rapporto di amicizia e che i 22 anni del portavoce sono anche i suoi 22 anni di accreditato e dunque si sente legato a doppio a Joaquin. Il mio caso è diverso. Nei 31 anni del mio accredito ho conosciuto tre altri portavoce: Federico Alessandrini, Romeo Panciroli e Piefranco Pastore. Di tutti sono stato anche amico. Di Aessandrini anche perchè era di Recanati come me. Panciroli l’ho recuperato all’amicizia dopo che lasciò l’incarico (vedi post del 19 marzo), Pastore è stato più volte a casa mia. Navarro-Valls non è il primo laico chiamato a questo ruolo e Alessandrini lo era più di lui, che è pur sempre un consacrato dell’Opus mentre il mio conterraneo era sposato e padre. E non è stato il primo – dicevo – a giocare la carta dell’amicizia – o della complicità – con i giornalisti. Ma una singolarità l’ha avuta: è stato un vero uomo dei media e non un uomo di Chiesa che si affaccia sul mondo dei media. Quell’appartenenza al mondo della comunicazione l’ha aiutato a svolgere la funzione di regista dell’alleanza tra i media e il papato che si è realizzata con Wojtyla e Ratzinger, in funzione della loro predicazione al mondo e che io credo sia destinata a durare. Un’alleanza che prima non c’era e che ha pure aiutato questi papi nel governo della Chiesa.  

Contento dell’indulto. Ma avrei preferito una riduzione di pena per tutti gli abitanti delle carceri. I più lontani dal mio sentimento, dunque, sono stati An e la Lega che non l’avrebbero voluta per nessuno. Ma anche l’animoso Di Pietro che abitualmente apprezzo, ma che in questa occasione si è battuto perchè la riduzione non fosse applicata ai reati finanziari e simili. Non nego la prudenza che è necessaria in materia di morale pubblica e di sicurezza, ma in me prevale la vocazione a “fare l’avvocato degli sfigati”, come mi dicono i figli. “Così escono anche i tangentisti, i corruttori, gli specupatori, i votoscambisti” mi griderebbe dietro Di Pietro. E’ vero, è gente “senza dignità”, rispetto al ladruncolo per necessità. Ma il gesto di clemenza mira appunto a raggiungere le persone, oltre ogni sentenza e anche questi “indegni” sono persone e hanno bisogno – magari più di altri – d’essere raggiunti da qualcosa che non sia un giudizio. Aggiungo in coda che papa Wojtyla nel duemila aveva chiesto una riduzione della pena “a vantaggio di tutti i detenuti”.

“Da quando ho te credo negli angeli. Nando”: letto su una parete del sottopasso della stazione di Santa Marinella, ripartendo per Roma dopo un primo spezzone di ferie. Lo dedico ai visitatori del blog.

Steven Spielberg, produttore di un cartoon per bambini che li spaventa e li attrae, Monster House, una casa che divora piccoli e grandi, difende la produzione affermando che “ai bambini piace spaventarsi”. Ogni genitore sa quanto sia vero. Ma sa anche quanto il piacere dello spavento tenda a mescolarsi – nei piccoli – con le vere paure, quelle che non fanno dormire la notte e magari durano tutta la vita. Credo che il piacere di spaventarsi dei piccoli sia simile al piacere dell’alcool dei grandi: esso va governato. I piccoli non sono in grado di farlo e dunque io credo che i cartoon e i film giocati per intero su quel piacere andrebbero evitati. E non credo che basti farglieli vedere in compagnia: si può stare insieme a loro in una sala, ma non potremo entrare nei loro incubi.

Tra i visitatori del blog , c’è un gruppo preoccupato delle critiche che colpiscono papa Benedetto, tanto da prendere male anche un’osservazione innocente del tipo “se fosse rientrato dalla vacanza avrebbe avuto più ascolto” (vedi post precedente). Credo si tratti di persone giovani e questo spiega forse a metà la loro preoccupazione, perché non hanno conosciuto la critica assai più forte incontrata dai predecessori. Per restare a Giovanni Paolo, basterà ricordare i malumori che provocava il suo viaggiare, o l’ipersensibilità cui andava incontro il suo richiamo all’origine polacca. Ricondotte le critiche al già visto, dirò che un papa sempre le deve mettere nel conto perché figura unica e bianca, cioè posta sul candelabro; perché il suo fare e dire tocca anche i non cattolici e i non credenti, e tutti quindi sono come provocati a interloquire; perché tanto decide nella Chiesa e dunque ognuno cerca di averlo per sé. Se il papa è chiamato a parlare a nome di tutti, è naturale che tutti si attendano di essere interpretati.

Incontro un vescovo intelligente che mi sorprende con questo ragionamento riguardo alla sottovalutazione – da parte dei media – degli appelli del papa per il Medio Oriente: “Se fosse rientrato a Roma dalla Valle d’Aosta, il giorno in cui ha invitato a una giornata di preghiera e di penitenza, l’attenzione sarebbe stata diversa. Egli certamente non ha bisogno di lasciare la montagna per pregare e fare penitenza, ma quel gesto avrebbe aiutato il mondo a udire il richiamo”.

“Donaci la pace – Signore – non domani o dopodomani, ma oggi!” Così ha pregato papa Benedetto ieri pomeriggio in visita alla chiesa parrocchiale di Rheme Saint George, pochi chilometri sopra Introd (Aosta). Quell’invocazione a Dio esprimeva la stessa ansia con la quale sei ore prima si era rivolto alle parti in conflitto: “Cessino subito il fuoco”. Abbiamo già imparato ad apprezzare la forza delle sue parole (vedi post del 13 luglio) quando parla a noi, ma io credo che le sorprese maggiori le avremo ascoltandolo parlare a Dio.

A proposito dell’origine campagnola (vedi post del 22 luglio): uno può pensare di non avere più nulla, dentro, di quel mondo, dal momento che vive a Roma da quarant’anni, fa il giornalista e tiene un blog, ma ecco due smentite legate al grano che mi vengono agli occhi e all’anima in questi giorni del luglio vacanziero. La veduta dei campi mietuti, innanzitutto: quell’oro delle stoppie che più lo guardo e più lo godo. E la scoperta quasi commossa dell’importanza che il grano ha sempre avuto per l’umanità mediterranea: termino oggi di leggere La guerra del Peloponneso di Tucidide (vedi post del 3 luglio) e come dirò la sofferenza che ho provato, per ogni primavera di quella interminabile guerra, all’incipit ritornante: “quando il grano era in fiore, i peloponnesi invasero l’Attica e devastarono i campi”. Oppure: “essendo ormai maturo il grano, sbarcarono e diedero fuoco ai campi”. Quelle parole mi colpivano come se le devastazioni non risalissero a duemila e quattrocento anni addietro, ma le sentissi annunciare dal telegiornale della sera. Il soprassalto che mi provocavano mi diceva che dentro sono restato sempre un contadino.