Mese: <span>Settembre 2006</span>

Da don Sergio Mercanzin, direttore del centro “Russia ecumenica”, ricevo questo messaggio:
Caro Luigi, ritengo una delle più belle avventure della mia vita essere stato per tanti anni amico, collaboratore, compagno di viaggio, confidente di mons. Milingo. Quello che più mi ha impressionato è sempre stato il Milingo esorcista. Quanti esorcismi abbiamo vissuto insieme. Non si stupiva di nulla, sfidava-interrogava-comandava ogni presenza estranea e maligna, conosceva una realtà per me sconosciuta e tenebrosa.  
Ho visto psichiatri accompagnare da Milingo pazienti dalle patologia misteriose, famosi esorcisti ricorrere a  lui per i casi insolubili. P. Gabriele Amorth, con alle spalle migliaia di escorcismi, mi diceva:”Milingo esorcista? Davanti a lui mi sento un pigmeo!”. Ed erano esorcismi, non stregonerie. Milingo esorcizzava con la Sacra Scrittura, con le preghiere della Chiesa, e naturalmente sempre in nome di Cristo. Con lui esorcista ho  intravisto il Male (maiuscolo) e il Bene (maiuscolo).
Per me è stato un maestro, un grande e raro maestro. Dico maestro, non dico modello, perché ho sermpre visto anche i suoi limiti.
L’ultima scivolata io la spiegherei così: tanto protagonismo, poca comunione. Un giorno in cui era particolarmente in crisi con le autorità della Chiesa e voleva sbattere le porte e andarsene gli ho detto: “Eccellenza, diavolo vuol dire: colui che divide. Lei l’ha tanto combattuto.  Adesso vuole dividere proprio lei?” 
Allora mi ascoltò. Allora…
Ciao! Don Sergio Mercanzin
PS. “Scomunicato”, secondo te, è un termine giuridico ecclesiastico per indicare l’evangelica “pecorella smarrita”? Se fosse così dovremmo andargli incontro con trepidazione e amore. E’ quello che mi riprometto di fare.

“Accurturàteve”: letto su un cartone appoggiato a una bancarella di libri usati, sotto i portici di piazza Vittorio a Roma. – Altri usi creativi del romanesco nelle scritte sui muri: “Laziale sèntite male” su un cartellone nelle vicinanze del Pantheon; “Cristiano te credevo un amico”, a via Telese (Quartiere Prenestino).

Per l’audacia del papa che prega, da me guardata come uno dei doni che ci vengono da Benedetto XVI (vedi post del 12 e 19 settembre), segnalo un passaggio dell’udienza di mercoledì 27. Parlava dell’apostolo Tommaso che dice a Gesù (Giovanni 14): “Signore, non sappiamo dove vai, come possiamo conoscere la via?” e così la commentava: “La sua domanda conferisce anche a noi il diritto, per così dire, di chiedere spiegazioni a Gesù. Noi spesso non lo comprendiamo. Abbiamo il coraggio di dire: non ti comprendo, Signore, ascoltami, aiutami a capire. In tal modo, con questa franchezza che è il vero modo di pregare, di parlare con Gesù, esprimiamo la pochezza della nostra capacità di comprendere e al tempo stesso ci poniamo nell’atteggiamento fiducioso di chi si attende luce e forza da chi è in grado di donarle“. Papa Benedetto considera un suo compito insegnare la franchezza della preghiera.

Padre Livio stamane a Radio Maria ha raccontato una sua conversazione con l’arcivescovo Milingo, una quindicina di anni addietro, in un’occasione in cui l’ebbe ospite a Erba: “Mi disse tra l’altro che quando voleva conoscere fatti o notizie per i quali non c’erano fonti possibili, interrogava gli indemoniati. Io mi meravigliai e gli dissi: ma eccellenza, lei non sa che il diavolo è bugiardo?” Per padre Livio quel comportamento sarebbe la prova provata dell’ingenuità del vescovo esorcista. Anch’io un poco ho conosciuto Milingo e l’ho trovato sfuggente ma non ingenuo. Soprattutto in lui avvertii un vivo risentimento da uomo nero che vive tra bianchi e non si sente rispettato: “Mi trattano così perchè vengo dallo Zambia”. Fossi in Bertone, che un poco lo conosce, non sottovaluterei la presa che la sua vicenda più che la sua parola potrebbe avere sul clero africano, renitente al celibato e attirato dai riti di guarigione e di esorcismo. Sconsiglierei di deprezzarlo insistendo sull’età (76 anni), sull’ingenuità e magari sul plagio che avrebbe subito da Moon. Uomini di Chiesa, prendetelo sul serio se potete! Badate un po’ meno al suo inverosimile matrimonio che seduce i media e un po’ di più al fatto che ha speso la vita per aiutare il prossimo. E tenete presente che la questione dei preti sposati non l’ha inventata lui.

A Vigevano per una conferenza, vado a respirare in piazza Ducale e la trovo invasa da un imponente Bob Sleigh Skeleton, cioè da un impianto di slittino su rotaia e risuonante delle grida dei ragazzi che prendono la rincorsa, saltano sullo slittino, scendono a capofitto e salgono a freccia sull’altro versante e a freccia tornano indietro. Il tutto all’altezza delle finestre più alte della piazza salotto d’Italia. Le ragazze mostrano qualche timore nel salto e realizzano meno punti ma non si divertono di meno. Grande spasso di tutta la città, che guarda quella festosa ragazzata dai tavoli dei bar. I loro padri giocavano ancora all’albero della cuccagna, ma uguale è l’impegno a studiare la presa: allora del palo insaponato, oggi della maniglia in ferro e plastica. Penso ai miei figli e mi diverto quanto quei ragazzi gridanti.

Oggi all’angelus papa Benedetto ha ricordato suor Leonella (vedi post precedente) definendola “serva dell’amore e artigiana di pace”. Ha narrato il suo martirio della carità a commento di una sentenza della Lettera di Giacomo che si legge nella messa di oggi: “Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace” (3,16-18). “Queste parole – ha continuato Benedetto – fanno pensare alla testimonianza di tanti cristiani che, con umiltà e silenzio, spendono la vita al servizio degli altri a causa del Signore Gesù, operando concretamente come servi dell’amore e perciò ‘artigiani’ di pace. Ad alcuni è chiesta talora la suprema testimonianza del sangue, come è accaduto pochi giorni fa anche alla religiosa italiana suor Leonella Sgorbati, caduta vittima della violenza. Questa suora che da molti anni serviva i poveri e i piccoli in Somalia, è morta pronunciando la parola ‘perdono’: ecco la più autentica testimonianza cristiana, segno pacifico di contraddizione che dimostra la vittoria dell’amore sull’odio e sul male“.
Nel telegramma inviato alle consorelle il 19 settembre, il papa aveva descritto Leonella come “fedele discepola del Vangelo” che “svolgeva con gioia” il suo servizio alle popolazioni somale.
Durante la trasmissione “A sua immagine” di Rai 1, prima e dopo la diretta dell’angelus, una consorella e la superiora di suor Leonella (missionaria della Consolata) hanno confermato la loro decisione di restare in Somalia, nonostante il consiglio del nostro Ministero degli Esteri di “lasciare il paese perché la situazione si è fatta troppo pericolosa”. Parlando dei pericoli che correva nell’intervista citata al post precedente, Leonella aveva detto: “E’ facile avere paura l’uno dell’altro, ma dove c’è paura non c’è amore”.

Anche i musulmani nella loro religione vera sanno che Dio è tolleranza, Dio è misericordia, Dio è amore, Dio ama le sue creature. In realtà non ci dovrebbero essere difficoltà a lavorare insieme. E qui non ci sono”: così suor Leonella, uccisa domenica a Mogadiscio, aveva parlato a una televisione austriaca (intervista riproposta dal TG 2 il 20 settembre). Suor Leonella ha pagato con la vita quelle parole, le più importanti che un cristiano possa pronunciare. L’ultima carta di fronte agli increduli. Così papa Ratzinger aveva indicato quell’ultima risorsa parlando al santuario di Czestochowa il 26 maggio scorso: “Deus caritas est: questa verità su Dio è la più importante, la più centrale. A tutti coloro a cui è difficile credere in Dio, io oggi ripeto: Dio è amore”.

Il vescovo Michele Pennisi, che ha conosciuto questo sito navigando in Internet (vedi un suo commento del 20 agosto a un post del 13 agosto), manda un messaggio che racconta un’esperienza concreta di dialogo con ambienti musulmani, dov’è segnalata la difficoltà a ottenere reciprocità, ma anche la poca eco che tra i musulmani di Bosnia ha avuto la sfuriata antipapale dei giorni scorsi. Grazie al vescovo Michele.

Caro dottor Accattoli, sono tornato ieri da un breve viaggio di tre giorni in Bosnia Erzegovina dove ho visitato a Zenica i bambini, in maggioranza mussulmani, ospiti di un orfanotrofio, che assieme a circa 700 altri bambini di vari orfanotrofi della Bosnia, tramite una associazione di volontariato, da quasi quindici anni vengono ospitati da famiglie siciliane durante le vancanze estive e quelle del periodo natalizio. Ho avuto un colloquio con il cardinale arcivescovo di Sarajevo Vinko Puljic, il quale ha sottolineato lo spirito di dialogo che caratterizza i rapporti con la Chiesa ortodossa e con la maggioranza musulmana, anche in questi giorni di polemiche innescate dal discorso del Santo Padre a Ratisbona, che non hanno avuto una vasta eco fra le popolazioni di quella regione, come ho potuto constatare negli incontri con vari esponenti della comunità mussulmana. Il porporato ha però detto che il dialogo deve essere improntato a reciprocità e si è lamentato che da ben otto anni attende il permesso di costruire una nuova chiesa a Sarajevo, mentre sono state costruite varie moschee. L’altro Ieri, dopo un incontro con il sindaco di Visegrad, Miliadin Milicevic, ho preso parte assieme al pope ortodosso e all’iman mussulmano all’inaugurazione di un caseificio costruito con i contributi di associazioni, operatori economici ed enti pubblici della Regione siciliana, alla presenza dei rappresentanti della Chiesa ortodossa serba e della comunità musulmana, delle autorità locali e governative, di rappresentanti sindacali e dei militari italiani della forza di pace Eurofor, che hanno contribuito alla realizzazione dell’opera. Gli interventi sia del pope che dell’iman sono stati improntati a spirito di amicizia. Il dialogo interreligioso va favorito anche attraverso opere concrete di solidarietà e un’opera educativa a lunga scadenza che parta dai bambini. Michele Pennisi, vescovo di Piazza Armerina

“Quando preghiamo noi tocchiamo il cuore di Dio perchè tocchi il cuore degli uomini”: così avevo sentito il collega Andreas English tradurre a braccio un’improvvisazione del papa durante l’ultimo appuntamento della visita in Baviera, giovedì scorso. Quelle parole mi erano entrate dentro e le volevo proporre qui, ai vsitatori del blog, in adempimento della promessa che ho fatto (vedi post del 12 settembre) di segnalare le parole che papa Benedetto rivolge a Dio, che trovo più vive di quelle che rivolge agli uomini. Posso farlo ora che il sito vaticano ha fornito la traduzione di quel discorso improvvisato e lo faccio con “cioia” direbbe Ratzinger, perchè ho visto che Andreas aveva tradotto bene e io avevo intuito giusto: in questo brano abbiamo un’attestazione ardente di ciò che il papa intende per preghiera. Mi tocca soprattutto quello scongiurare Dio, tendendo a scuoterlo, a toccargli il cuore, appunto: “Fallo per favore”. Ecco il brano nella traduzione ufficiale, sotto l’intestazione “Incontro con sacerdoti e diaconi. Freising, Mariendom, 14.09.06”:  “Pregare Dio perchè mandi sacerdoti  significa scuotere il suo cuore e dire: “Fallo per favore! Risveglia gli uomini! Accendi in loro l’entusiasmo e la gioia per il Vangelo! Fa’ loro capire che questo è il tesoro più prezioso di ogni altro tesoro e che colui che l’ha scoperto deve trasmetterlo!” Noi scuotiamo il cuore di Dio (…) Come persone di preghiera, colme della Sua luce, raggiungiamo gli altri e, coinvolgendoli nella nostra preghiera, li facciamo entrare nel raggio della presenza di Dio, il quale farà poi la sua parte. In questo senso vogliamo sempre di nuovo pregare il Padrone della messe, scuotere il suo cuore, e con Dio toccare nella nostra preghiera anche i cuori degli uomini, perché Egli, secondo la sua volontà, vi faccia maturare il “sì”, la disponibilità; la costanza, attraverso tutte le confusioni del tempo, attraverso il calore della giornata ed anche attraverso il buio della notte.

Sempre c’erano in conclave cardinali teologi che mai venivano eletti, almeno in epoca moderna. L’ultimo era stato Pio V, che fu un “custode della fede” più che un teologo di professione. Con l’elezione del cardinale Ratzinger la cautela di non legare il magistero papale a una teologia ha subito un’eccezione e forse – io credo – è stata superata. Quando papa Wojtyla lo chiamò a Roma pose la condizione di poter continuare a pubblicare lavori teologici e ieri – come già il 22 dicembre scorso, sull’interpretazione del Vaticano II – ha parlato da teologo che svolge la sua teologia. Ha persino avvertito l’uditorio accademico che a quella sua lezione aveva dato una “stesura provvisoria”, in quanto mancavano le note che ha promesso di aggiungere “in un secondo momento”. La libertà rivendicata da papa Benedetto di non smettere i panni del teologo non arriva improvvisa, ma trova la strada spianata dagli ultimi cinque papi che non avevano smesso quelli del lavoro diplomatico (Pacelli), del cultore di storia ecclesiastica (Roncalli), del lettore di teologia francese (Montini), del catecheta popolare (Luciani), del polacco che gira il mondo (Wojtyla). E’ buona per la Chiesa questa interpretazione sempre più personale del ministero petrino? Credo di sì e guardo con favore alle possibili conseguenze: che cresca – per esempio – l’immagine del papa come testimone della fede (vedi post del 6, 7, 13, 19, 26 luglio), con tutta la necessaria caratterizzazione individuale di ogni testimonianza; e che diminuisca, poniamo, la portata normativa di ogni suo gesto, parola, preferenza.