Mese: <span>Gennaio 2007</span>

«Anche tra santi ci sono contrasti, discordie, controverse. E questo a me appare molto consolante, perchè vediamo che i santi non sono “caduti dal cielo”. Sono uomini come noi, con problemi anche complicati. La santità non consiste nel non aver mai sbagliato, peccato. La santità cresce nella capacità di conversione, di pentimento, di disponibilità a ricominciare e soprattutto nella capacità di riconciliazione e di perdono»: l’ha detto Benedetto XVI all’udienza generale di questa mattina, parlando dei collaboratori dell’apostolo Paolo, Barnaba, Sila e Apollo. Ha improvvisato quella riflessione sulle discordie dei santi dopo aver accennato ai contrasti tra Paolo e Barnaba a riguardo di Marco, che Barnaba – in una certa occasione – voleva prendere con sè in un viaggio, incontrando l’opposizione di Paolo che non aveva sopportato una precedente presa di distanza di Marco dal lavoro comune. – Una riflessione che ricorda quanto affermato da Giovanni Paolo il 3 settembre 2000, beatificando insieme i papi Mastai e Roncalli: “La santità vive nella storia e ogni santo non è sottratto ai limiti e condizionamenti propri della nostra umanità. Beatificando un suo figlio la Chiesa non celebra particolari opzioni storiche da lui compiute“.

Alla Lateranense per incontrare il vescovo e rettore Fisichella ne approfitto per una visita al Battistero di San Giovanni, luogo cristiano tra i più antichi che emoziona per la possibilità che offre di unirci a quanti lì hanno pronunciato nei secoli le parole di Gesù. Accanto alla porta è seduta una zingara avvolta in maglie colorate che mi alza al volto un cartello con la scritta: “In bocca a lupo per esami. Io prego sempre per voi”. Qui sciamano gli studenti della Lateranense e questa è stagione di esoneri, esami, tesine. Le do un euro e le chiedo da dove venga: “Romania, cinque figli”. “Cinque anch’io” le rispondo ed entro nel Battistero, dove mi rifugio nella Cappella di San Venanzio, fatta costruire da papa Giovanni IV (640-642), dalmata, e dove sono raffigurati in mosaico otto martiri dalmati con libri e corone. Insieme a me siedono nei banchi una decina di studenti neri dell’Università. Papa dalmata, studenti neri e zingara romena: Roma dalle molte anime, nel secolo sette e in quello ventuno.

Infine ho rintracciato – e la dedico ai visitatori – la poesia di Mario Luzi che Piergiorgio Welby aveva chiesto gli venisse letta prima di “addormentarsi”, come narrò il cugino Francesco al funerale (vedi post del 12, 22, 24 dicembre e del 9 gennaio). Si intitola La notte lava la mente, fa parte della raccolta Onore del vero (1957) e ha la sua punta cristiana nel verso “chi pronto al balzo, chi quasi in catene”. Ancora un fraterno abbraccio a Welby che si sentiva “pronto al balzo”.

La notte lava la mente

Poco dopo si è qui come sai bene,
fila d’anime lungo la cornice,
chi pronto al balzo, chi quasi in catene.

Qualcuno sulla pagina del mare
traccia un segno di vita, figge un punto.
Raramente qualche gabbiano appare.
 

“Qualcuno mi riferì che il Santo Padre, quandò visitò la Casa dei Moribondi, a Calcutta, aveva sussurrato a Madre Teresa: ‘Se potessi, farei il papa da qui’. Mi sembrava poco delicato, e perciò non gli ho mai chiesto se avesse pronunciato quella frase. Ma, a ripensarci, era verosimile. Perchè era rimasto sconvolto, a vedere Cristo crocifisso nella carne martoriata di quella povera gente. E perchè, a stare accanto a Madre Teresa, nella realtà concreta della sua vita, della sua missione, aveva compreso una volta di più come, nella gratuità assoluta del donarsi agli altri, l’essere umano possa arrivare alla felicità più profonda. E Teresa era una donna felice” (Stanislaw Dziwisz, Una vita con Karol. Conversazione con Gianfranco Svidercoschi, Rizzoli, Milano 2007, pp. 224, euro 17,00).

“Basta che un angelo pensi a un altro per averlo accanto a sé”: così Borges (Il libro degli esseri immaginari, Adelphi 2006, p. 22) esemplifica la capacità degli angeli di Swedenborg di “fare a meno delle parole”. Considero quella facilità di relazione come una facoltà della preghiera cristiana: in essa possiamo avere con noi tutti quelli che idealmente prendiamo per mano prima di dire “Padre nostro”.

A una conferenza mi chiedono che senso abbia l’attuale rimescolamento dei popoli. Rispondo che Dio fa circolare i suoi figli sulla terra perchè imparino ad amarsi.

Leggo che in Siria – per decisione del ministero degli Affari religiosi – presto verrà unificata per tutto il paese l’ora dell’Adhan, cioè del richiamo alla preghiera: un segnale radio proveniente dalla Moschea degli Omayyadi di Damasco (quella visitata nel 2001 da Giovanni Paolo) raggiungerà i minareti di tutto il paese e dai loro altoparlanti potrà esere udito, nello stesso istante, da ogni credente. Mi viene in mente il “sogno” coltivato dal Maestro del romanzo Il castello bianco di Orhan Pamuk, ambientato nel XVII secolo, che era quello di costruire un “orologio della preghiera” così preciso che permettesse a tutti di prostarsi a Dio contemporaneamente: egli esponeva con entusiasmo al Sultano quale avrebbe potuto essere “l’energia della preghiera che ognuno nello stesso attimo preciso avrebbe recitato” (p.34 dell’edizione Einaudi 2006). C’è qualcosa di affascinante in questo sogno islamico che oggi si realizza via radio. Fa pensare al fatto che i primi orologi meccanici sono stati realizzati nel tardo Medioevo nei monasteri dell’alta Italia sempre in funzione dell’ora della preghiera e che a tale scopo inizialmente sono stati alzati gli orologi sulle torri e i campanili delle chiese.

Ho letto con buona partecipazione le confessioni di Giovanni Lindo Ferretti raccolte in Reduce (Mondadori 2006, 120 pagine, 13 euro). E’ stato un bell’incontro dove temevo uno scontro. Perchè mal sopporto quei tipi ultrapuntuti che prima ci scaneggiavano da sinistra e ora ci scaneggiano da destra, sempre arciconvinti che la vasta umanità mai nulla ha capito e mai capirà. Ferretti ha compiuto anche lui il passaggio, essendo prima un cantante rivoluzionario “rovinato dal ’68” (dice in versi) e presentandosi ora come un “reduce” da quell’avventura, che si scopre pieno di ferite e si riscopre cristiano. Ha compiuto il passaggio, ma oggi ama l’umanità non la vitupera. Le pagine più belle le dedica alla nonna (41-43) e alla mamma (76-77): un vero dono quello sguardo riconoscente sulle creature più semplici e benefiche e sul sole e i cavalli, e Dio. “Ho cominciato a guardare la realtà tutta per quello che è e sono stato travolto dal cielo, dalla terra, dall’umanità e dintorni” (105). Preferisco i passi narrativi a quelli argomentativi. Quando fa memoria la sua scrittura è potente, come già lo era il recitativo recto tono dei suoi canti.

La battuta più cattiva sul cardinale Bertone: da quando è Segretario di Stato è mutata l’interpretazione della sigla SDB che sull’Annuario pontificio viene dopo il nome dei salesiani: non dice più “Società salesiana di San Giovanni Bosco”, ma “Sono di Bertone”.

La più cattiva sul papa: “E’ vero che a Istanbul ha pregato rivolto alla Mecca, ma dava le spalle al popolo!”

Sono pieno di riconoscenza per Carlo Castagna, detto dai giornali “papà Castagna”, marito padre e nonno di tre delle quattro vittime di Erba. Uomo giusto che subito scagiona il genero Azuz dall’accusa di essere lui l’assassino. Che dice di voler perdonare, anzi di aver perdonato gli uccisori. Che abbraccia e porta al giusto banco, in chiesa, Azuz durante la celebrazione per la moglie Paola: quell’Azuz scagionato ma pur sempre malvisto dagli altri parenti e dai vicini per i suoi precedenti. Che ha il cuore per leggere la prima lettura dal libro della Sapienza: “Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio”. Io credo ci sia riuscito perchè davanti alle telecamere aveva detto più volte parole equivalenti. Viene criticato – papà Carlo – per la rapidità del perdono, ma chi critica non coglie che egli l’aveva maturato per un mese quel perdono, avendo magari intuito chi e quali avessero a esserne i destinatari. Infine va detto che al perdono – come all’accettazione della morte – ci si prepara con tutta la vita. La dichiarazione dei figli, chiarissime sull’atteggiamento evangelico del papà, ci fa certi che egli ha lungamente cercato di avere in sè i sentimenti di Gesù. Io gli mando un bacio.