Mese: <span>Settembre 2010</span>

Nella regione abitava un drago. Aveva incenerito tutte le creature viventi nelle alture tranne un uomo della selva che gli teneva testa con gli occhi. Si incontravano quando la notte aveva la durata del giorno e giocavano una loro partita sulla grande scacchiera. L’uomo muoveva gli animali, il drago comandava alle montagne.

È la persona di Gesù che cambia la vita della gente. Il problema è suscitare questa consapevolezza. Cibo, salute, soldi, lavoro, sono necessità reali, ma la salvezza più profonda è scoprire il senso della vita. Scoprire la comunione con Dio e sperimentare il Suo amore è possibile già da ora. È una realtà che ci viene data per grazia, attraverso l’esperienza della Chiesa“: parla così – in un’intervista pubblicata da Mondo e Missione di agosto-settembre – Francesco Commissari, un prete di Imola da cinque anni missionario in Brasile, presso la stessa comunità che era affidata alla cura di un suo zio, don Leo Commissari, ucciso forse dai trafficanti di droga nel luglio del 1998. Per la storia dello zio vedi il capitolo 1 NUOVI MARTIRI, paragrafo MARTIRI DELLA MISSIONE, nella pagina CERCO FATTI DI VANGELO elencata sotto la mia foto. Mando a Francesco un bacio di riconoscenza per l’aiuto a credere che mi viene dalle sue parole che non hanno nulla di straordinario ma sono avvalorate da una scelta di vita secondo il Vangelo e dal sangue di un familiare.

Intervengo nel dibattito su che cosa debbano fare i cattolici per avere migliore voce in politica e dico che dovrebbero dare vita a una continuata ‘tempesta di cervelli’ e a un serrato confronto tra diversi non avendo paura delle divisioni politiche, partendo anzi da esse e cercando di esplorare e rendere possibile – fin dove sarà possibile – una comune influenza sulla vita pubblica del Paese“: è l’avvio in sordina di un mio articolo tutto ideologico e partigiano pubblicato oggi da LIBERAL a pagina 11 con il titolo UN FORUM TRA CHIESA E STATO.

La sovranità popolare significa che le elettrici e gli elettori hanno il diritto non solo di scegliere il presidente del Consiglio ma anche i parlamentari, perchè è vergognoso – e qui faccio mea culpa percghè ho contribuito anch’io – che vi sia una lista prendere o lasciare“: così ha parlato ieri Fini a Mirabello. Mi sono parse parole giuste. Come mi erano sembrate puntuali quelle dette da Casini il 2 settembre: “Questa legge elettorale è un’indecenza, perchè consente a cinque persone di nominare mille parlamentari“. Io non ho votato nè Fini nè Casini ma ho sempre ritenuto che quella legge era lesiva della sovranità popolare e sono contento che ora la riconoscano tale due politici che furono decisivi per la sua approvazione. Il ripensamento in politica è nobile e va onorato.

Da un mese Il Giornale di Feltri – pardon: della famiglia Berlusconi, diretto da Feltri – dedica la prima pagina con titolature monumentali a Fini, alla compagna, al cognato, alla casa di Montecarlo, alla cucina acquistata a Roma. Ricordando il Feltri collega al Corsera e guardando quelle pagine ho provato e riprovato ogni mattina e fino a oggi un sentimento come di imbarazzo, per un qualcosa che era meglio non guardare. Più volte ho buttato giù qualche frase per farci un post e sempre ho lasciato lì, mezzo vergognandomi che anche quello fosse oggi il giornalismo. Fini a Mirabello ha detto un’ora fa: “campagne paranoiche e insieme patetiche”, ascrivendole al “metodo Boffo”. Mi è parso ben detto.

E’ domenica e la benefattrice accompagna la barbona a passeggio per il quartiere [vedi post del 10 agosto: La barbona va a fare la spesa]. La saluta e le dà la mano per alzarsi. Rischiano tutte e due di cadere ma infine sono in piedi e la donna colorata prende sotto il braccio l’amica grigia come il marciapiede sul quale vive. Camminano e parlano ma forse la benefattrice non capisce e allora l’altra scrive col dito qualcosa, una parola, un nome, un numero, sul muro che costeggiano. Scrive più a lungo su una vetrina. Quando tornano al punto di partenza, riseduta la barbona ancora scrive con il dito sulla polvere del marciapiede. L’altra forse intende o forse no ma ride e la saluta.

Don Verzé: ecco che farei se fossi papa“: ho letto il testo del creativo don Luigi Maria Verzé pubblicato dal Corsera del 3 settembre e mi sono divertito e lo difendo dalle critiche che – come d’abitudine – ha provocato. Di mio io don Verzé – che leggo da una vita e che da una vita mi allieta – stavolta non l’avrei letto, immaginando di sapere già quello che avrebbe fatto “da papa”: e infatti l’ho letto solo oggi pomeriggio, provocato dalle critiche che ha ricevuto. Svolge i paradossi che ha sempre proposto con invidiabile libertà di spirito. Ma – si obietta – crea confusione su ciò che un cristiano è tenuto a credere. Un momento: un cristiano crede al Credo, mica a don Verzé. “Ma è un prete”: i preti non sono così importanti. “Contraddice la disciplina canonica e la comune dottrina”: lo fa rivendicando la sua libertà di opinione e la sua responsabilità. “Come mai le dice oggi quelle cose e non quando c’era il papa polacco?” Le ha sempre dette, già un ventennio addietro e di nuovo in vista del conclave del 2005, presente ancora Giovanni Paolo: allora l’antifona non era “se io fossi papa”, ma “se il futuro papa facesse questo e quello”. – Abbiamo bisogno di maggiore tolleranza interna, di una più rigorosa concentrazione sulla vita evangelica invece che sulle diatribe. Se uno dice una stravaganza lo si compatisce. Se ha compiuto 90 anni e ha la fantasia di dirne un’intera sequenza, io gli mando un bacio. In più c’è il fatto che don Verzé spariglia i giochi e non sai se è di destra o di sinitra e questo mi piace alla follia.

A Sua Santità Papa Benedetto XVI, il Pastore che cerca di condurci ai pascoli delle benedizioni e ai pascoli della pace. Con grande stima. Shimon Peres, Presidente dello Stato di Israele”: è la dedica incisa in una targhetta posta alla base della Menorah – il candelabro a sette bracci del Tempio di Gerusalemme – che Peres ha donato ieri al papa, facendogli visita a Castel Gandolfo. Quella dedica l’ha composta il presidente: è facile vedere in essa un richiamo alla predicazione di pace svolta da Benedetto in Terra Santa nel maggio del 2009. Quando dice “cerca di condurci” la dedica parla a nome del popolo israeliano ma a me piace intendere quel “noi” come abbracciante anche il popolo palestinese. Dedico ai visitatori del blog gli 87 anni di Peres, gli 83 di Benedetto, quella dedica e questa mia abusiva interpretazione.

Amo troppo l’arcivescovo Agostino Marchetto per poterne parlare con distacco. Cercherò di dire poco: che mi dispiace il modo della sua uscita di scena e che spero vi possa essere un correttivo a essa, con il tempo. L’ho intervistato tante volte, l’ultima a ferragosto per il Corriere Veneto – egli è di Vicenza – sul motto “prima i veneti” posto a criterio ispiratore del progetto per lo statuto della Regione: trovi il link in un post del 13 agosto. L’ho sempre trovato disponibile e schietto ma la mia gratitudine ha ragioni più ampie: l’esempio che diede nella malattia, la puntualità nello studio del Concilio, il coraggio nelle battaglie per i più poveri della terra. Sulle dimissioni dirò che era vera la sua volontà di lasciare a 70 anni espressa già un anno addietro, ma è vero anche che l’accettazione di quella richiesta al compleanno e senza passaggio ad altro incarico è un segnale riparatore ai tanti che la libertà di parola dell’arcivescovo aveva urtato: dal governo italiano a quello francese. Per la vicenda della malattia Marchetto era da tempo un personaggio della mia indagine sui FATTI DI VANGELO: lo trovi nel capitolo 5, Anche in ospedale si può essere felici, della pagina CERCO FATTI DI VANGELO elencata sotto la mia foto.