Mese: <span>Settembre 2010</span>

“Nel pomeriggio, presso la nunziatura apostolica di Londra, il Papa ha incontrato un gruppo di persone vittime di abusi sessuali da parte di membri del clero. Benedetto XVI si è commosso ascoltando le storie delle vittime e ha espresso profondo dolore e vergogna per le sofferenze loro e delle loro famiglie. Ha pregato con loro e ha assicurato che la Chiesa Cattolica, mentre continua a mettere in atto misure efficaci per la protezione dei giovani, sta facendo tutto il possibile per verificare le accuse, per collaborare con le autorità civili e per consegnare alla giustizia il clero e i religiosi accusati di questi gravi crimini. Come in altre occasioni, ha pregato affinché tutte le vittime di abusi possano sperimentare guarigione e riconciliazione e riescano a superare la propria angoscia passata e presente con serenità e nuova speranza per il futuro”: è la prima volta che un comunicato della Sala Stampa vaticana usa le parole “consegnare alla giustizia”. Il concetto era stato affermato più volte, a partire da Sydney nel luglio del 2008. Ma questa espressione tagliente, che io condivido, arriva oggi. La sollecitavo – nel mio piccolo – con un post del 13 dicembre 2009. [Segue nel primo commento]

La personalità mite e ferma dell’ospite che farà breccia anche nei critici, il precedente beneaugurante di Papa Wojtyla che passò in Gran Bretagna sei giorni felici tra il maggio e il giugno del 1982, l’attesa dei cattolici inglesi che sono pochi ma hanno un grande spirito di Chiesa, la loro secolare e persecutoria lontananza – e quasi forzata astinenza – dai Papi e dal Papato che deve ancora essere soddisfatta: sono le quattro ragioni della buona accoglienza dei britannici a Papa Benedetto come da me strologate in un articolo pieno di saccenteria pubblicato oggi da LIBERAL  a pagina 19 con il titolo L’ARMA DELLA SINCERITA’ SEDURRA’ GLI INGLESI. Con sprezzo del pericolo ho pure svolto un un disinvolto confronto sul Corsera tra la forma diplomatica della visita di Benedetto e di quella di Giovanni Paolo del 1982: WOJTYLA ACCOLTO DA UN PAESE IN GUERRA.

Il postino senegalese fischiettando Piazza Grande di Lucio Dalla porta il catalogo dell’Ikea ai cinesi di piazza Vittorio.

Interrogato in aereo sulla pedofilia – durante il volo Roma-Edimburgo – Benedetto ha dato una risposta con due o tre idee vive: “Queste rivelazioni sono state per me uno shock”, “dobbiamo reimparare l’assoluta sincerità”, “come possiamo riparare”. “Innanzitutto – ha risposto – devo dire che queste rivelazioni sono state per me uno shock e sono una grande tristezza. E’ difficile capire come questa perversione del ministero sacerdotale era possibile. Il sacerdote nel momento dell’ordinazione, preparato per anni a questo momento, dice ‘sì’ a Cristo di farsi la sua voce, la sua bocca, la sua mano e servire con tutta l’esistenza, perché il Buon Pastore che ama, che aiuta e guida alla verità sia presente nel mondo. Come un uomo che ha fatto e detto questo possa poi cadere in questa perversione è difficile capire, è una grande tristezza, una grande tristezza anche che l’autorità della Chiesa non era sufficientemente vigilante e non sufficientemente veloce, decisa nel prendere le misure necessarie”. [Segue nei primi tre commenti]

Il nipotino Pietro – tre anni, noto ai visitatori del blog – ha messo alla prova le maestre della Scuola Materna, alla quale è stato appena avviato, con il suo colpo segreto denominato “sono Batman”. Come gli altri bambini maschi non mostra alcun interesse ai pasti, al banco al quale dovrebbe sedersi e ai compagni con i quali “fare il trenino”. Ma solo da lui le meschine – quando gli dicono “Pietro mettiti in fila” – si sentono rispondere: “Io non sono Pietro. Io sono Batman!” [Continua nel primo commento]

Secondo voi è più difficile essere cristiani oggi rispetto a 50 anni fa?” è una domanda che manda ai conoscenti un amico di Vinci, Marco Sostegni, uso a porre con semplicità questioni pungenti. E aggiunge: “Per me sì”. Ho risposto: “E’ più difficile. Ma è scritto ‘beati voi quando vi insulteranno’ e dunque, evangelicamente, siamo in vantaggio“.

C’era soprattutto, ed è stato questo a sconvolgermi, un’Italia sconosciuta che rifiutava i luoghi comuni della politica e i suoi stitici ghirigori di chiacchiere. Che chiedeva di parlare e confrontarsi sui problemi reali. Dopo tante stagioni di giornalismo e di direzioni, con la sicurezza e la prosopopea che inevitabilmente cattura tutti coloro che per anni detengono il potere (o quello che loro stessi presumono tale), con la stupida arroganza di chi si sente più ganzo degli altri, non avevo capito nulla. O quasi. E se ancora qualche dubbio mi restava, i giorni seguenti me li avrebbero tolti tutti“: è un passaggio del libro che Pietro Calbrese, morto l’altro ieri, ha scritto sulla sua malattia e che uscirà il 29 settembre da Rizzoli con il bellissimo titolo L’albero dei mille anni. All’improvviso il cancro, all’improvviso la vita. Il Corriere della Sera ne ha anticipato oggi un brano e da esso ho preso la citazione. In essa egli riflette su come la scoperta del cancro l’abbia aiutato a “vedere” la serietà della nostra gente che aveva sempre ignorato – una serietà che gli si mostrò attraverso le lettere che riceveva dai lettori della rubrica con cui su Sette – il magazine del Corsera – raccontava la vicenda del suo male: la prima puntata è del 28 maggio 2009, l’ultima del 10 luglio scorso. Non ho mai incontrato Calabrese, che aveva qualche mese meno di me. Lo conoscevo per fama e non lo stimavo granchè stante l’immagine spregiudicata e anche mondana che me ne aveva trasmesso Orazio Petrosillo che l’aveva avuto direttore al Messaggero, ma avevo preso ad amarlo con la lettura di quelle puntate. E ora più di prima.

Prima di tutto perché sono simpatico e perché ho un po’ di grano, il terzo motivo è che la leggenda dice che ci so fare e infine perché le ragazze pensano: è vecchio e ricco, tra un po’ muore e io erediterò tutto”: sono i quattro motivi per cui tante ragazze cercano Berlusconi, elencati da sé medesimo. L’ha detta oggi ad Atreju 2010 e mi è piaciuta. Nella stessa occasione il premier ha osservato che i suoi avversari  “non ridono mai” ed è quasi vero ma Bersani proprio ieri alla Festa democratica di Torino ha avuto una battuta su Bossi che mi è parsa migliore – o almeno pari  – alle quattro di Berlusconi su di sé: “Uno che va troppo ad Arcore può lasciarci la canottiera”. Nel clima pestifero della nostra vita pubblica, batto le mani a queste due uscite.

Una conferenza sui media a San Giovanni Valdarno l’altro ieri (vedi post del 10 settembre) e un’altra ieri a Parabiago. Mi chiedono con quali criteri scegliere un giornale. Procedo in negativo. Evitare quelli che non mettono mai in prima pagina notizie internazionali se non servono per la polemica interna. No a quelli che fanno per un’intera stagione lo stesso titolo a nove colonne contro una persona. Ma lei ce l’ha con Feltri e Belpietro? Ho risposto che io parlo in generale, Libero ognuno di pensare a un Giornale o all’altro.  – Fuori di scherzo do un consiglio ai tenaci colleghi dei due quotidiani: continuate così, i vostri lettori ormai sono affezionati a quei titoli ripetuti per 45 giorni e un cambiamento anche minimo potrebbe disorientarli. [Nel primo commento un paio di dettagli sui titoli inox]

Monna Tancia di San Giovanni Valdarno ha 75 anni quando la peste del 1478 le uccide fuglio e nuora: eccoli a terra avvolti in un lenzuolo, nel dipinto di Luberto da Montevarchi. Tancia cerca una balia per il nipotino Lorenzo di tre mesi che ci guarda sveglissimo dallo stesso riquadro, insaccato nelle fasce e che succia il dito. Ma nessuna voleva attaccare al proprio seno il figlio degli appestati. Tancia invoca nel terzo riquadro la Vergine e il latte sgorga dal suo seno di nonna. Mi sono appassionato come fossi un vero giornalista al racconto di don Luigi, rettore della Basilica delle Grazie. Ho pensato con recuperata simpatia alle mamme-nonne di oggi e mi sono chiesto se sia mai capitato che una mamma affidataria dei nostri giorni abbia dato i capezzoli a un bimbo sieropositivo. Intanto don Luigi mi mostrava la curiosa “Cappella del miracolo”, che ha a pavimento l’antica strada che portava fuori dalle mura e segnato da una scritta il punto dove la tenace Tancia si era inginocchiata per alzare le braccia e il cuore. [Segue nel primo commento]