Nei giorni più duri della pandemia, dal reparto di Malattie infettive dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, il dottor Simone V. Benatti chiama la moglie di un ricoverato ormai senza prospettive e al termine della conversazione la donna gli chiede di dire al marito che lo ama. Riporto nei commenti – con piccole abbreviazioni – la narrazione del medico, affidata alla rivista “Fatebenefratelli”.
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L’uccisione a Como di don Roberto Malgesini mi riempie di tristezza e di esultanza: tristezza per la perdita di un fratello prezioso, esultanza per il dono di un martire. Nei commenti riporto le parole con cui il vescovo di Como e il Papa hanno salutato questo martirio, fornisco qualche informazione sul generoso don Roberto, chiarisco la categoria di “martire della carità”.
Tra le storie di pandemia che vado raccogliendo, una delle più singolari è quella di don Gianluca Mangeri, 47 anni, laureato in medicina con specializzazione in oncologia al Gemelli di Roma, poi sacerdote dal 2011 nella diocesi di Brescia, da due anni cappellano nell’Ospedale Poliambulanza di Brescia e lì infine ricoverato per Covid. Nei commenti riporto alcuni capoversi delle narrazioni che ha affidato a Elisabetta Reguitti per la rivista “San Francesco Patrono d’Italia” che l’ha pubblicata il 28 maggio; e ad Andrea Cittadini del “Giornale di Brescia” del 16 marzo.
Il primo giorno di scuola mi coinvolge sempre e stavolta di più. Nei commenti dico i titoli del coinvolgimento e scommetto che anche in pandemia la scuola farà il miracolo di sempre. Metto infine il link a una preghiera dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini.
Elisa Da Re è un giovane medico che all’arrivo della pandemia si sta specializzando in chirurgia generale in un ospedale vicino a Bergamo che viene trasformato in Coronahospital. Le viene detto che può interrompere il lavoro o rimanervi volontaria come Covid-doctor. S’improvvisa medico della pandemia e racconta la sua forte esperienza in un testo intitolato “Un medico in prima linea: dalla solitudine alla condivisione” per la rivista “Dialoghi” dell’Azione Cattolica, nel volume “Quaderni di Dialoghi. Speciale 2020” intitolato “La fede e il contagio. Nel tempo della pandemia”, che esce nel maggio del 2020. Il testo di Elisa è alle pagine 27-29. Nei commenti ne riporto alcuni capoversi.
Nel Vangelo che leggeremo domani a messa [Matteo 18, 21-35] incontriamo il comando del perdono senza calcolo. “Perdonando di cuore” – come dice la parabola del servo spietato nel versetto finale – e facendolo “settanta volte sette”, cioè sempre, noi possiamo cancellare i debiti altrui e per questa via possiamo attenderci che venga azzerato anche l’ammontare del debito che a nostra volta abbiamo accumulato. Ma c’è qualcosa di ancora più incredibile in questa pedagogia del rabbi di Galilea: oltre a modificare il passato essa anticipa il futuro, scioglie cioè in cielo ciò che scioglie sulla terra. Il perdono ci fa partecipi del giudizio finale. Nel primo commento riporto alcuni dei versetti che leggeremo e poi metto un altro mio spunto di lettura.
“Un’esperienza devastante che deve aiutarci a passare dall’idea di concorrenza a quella di soldiarietà»; e che dovrebbe “farci responsabili verso chi soffre”: parla così Francesco Maria Cusaro, novarese di 58 anni, sposato e con un figlio, ricoverato per Covid l’8 marzo 2020 e dimesso il 18. Dirigente in un’azienda di ingegneria aerospaziale a Milano, animatore della memoria degli Alpini italiani in Russia (dove perse il papà), racconta la malattia sulla sua pagina Facebook, in un’intervista con Elena Mittino per “La Voce di Novara” del 24 Marzo 2020 e in un’altra con Laura Politi per i “Settimanali della diocesi novarese” del 17 aprile. Nei commenti riporto parti di questi due colloqui omettendo le domande e i dati di cronaca.
Passando stamane per via Paisiello, che corre a lato di Villa Borghese, ho fotografato in facciata Villa Grotta Pallotta che ha nella cornice o tagliapiano di centro una sentenza latina sulla grande bellezza di Roma: la riporto, la traduco e ve la dedico nel primo commento. Nel secondo dico di chi è e con bel garbo ne scippo una parte e la faccio mia.
Di Alberto Franzini, 73 anni, parroco della Cattedrale di Cremona, non abbiamo parole che abbia detto nell’imminenza della morte, avvenuta nella notte tra il 3 e il 4 aprile. Anzi, ne abbiamo una sola, di sua parola, confidata in un messaggino di cellulare al vescovo Antonio Napolioni e poi abbiamo la lettera aperta che il vescovo gli ha scritto in morte e nella quale riferisce quell’ultimo messaggio del suo prete ricoverato: “L’è dura e lunga, grazie”. Riporto per intero la lettera del vescovo, ricoverato prima del prete e che si è salvato a stento dal Covid: egli è un altro personaggio di questa mia rassegna. Originario di Bozzolo, Franzini da ragazzo aveva avuto don Mazzolari come parroco e gli aveva fatto da chierichetto. Il titolo che metto alla sua storia lo prendo dalla lettera del vescovo.
Alberto Luigi Bellucci di Rimini muore il 10 aprile, due settimane dopo il rientro a casa, apparentemente guarito dal covid ma da esso debilitato. Festeggia comunque i 101 anni con i familiari e al momento di chiudere gli occhi riesce a salutare tutti, in presenza e in videochiamata: la moglie di 92 anni, i figli, i nipoti. I giornali locali ne hanno parlato come del riminese che aveva conosciuto la spagnola ed era scampato ai tedeschi. I familiari considerano “una grazia” averlo potuto accompagnare nell’addio. Nei commenti le parole con cui la nipote Elisa ha narrato la vicenda al “Corriere Romagna”.
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