Mese: <span>Luglio 2007</span>

Il National Geographic Traveler mi chiede dieci righe su un “luogo speciale” del Vaticano. Scelgo l’obelisco e queste sono le righe. 

L’obelisco è il personaggio più antico del mondo vaticano, l’unico che qui ha visto tutto: dal martirio di Pietro – crocifisso a testa in giù “iuxta obeliscum”, vicino all’obelisco – alla costruzione della Basilica costantiniana, al saccheggio dei saraceni nell’846, all’operosità del teso Michelangelo. Vede questo e il resto che non sappiamo dal fianco sinistro della Basilica, dove era stato posto nel 37 dopo Cristo a ornamento del Circo di Nerone. Portato al centro della nuova piazza nel 1586 ha visto anche meglio il resto della storia, dal rogo dei libri di Giordano Bruno (1600) al Concilio Vaticano II, alle folle che hanno salutato la partenza del papa polacco e l’arrivo del tedesco. Pur abituato ad attraversare la piazza, ogni volta mi stupisco a vedere chi tutto ha visto.

L’intelligenza di Google ripete e completa come quella umana. La mamma dice “la forchetta serve per mmm…” e il bambino completa la frase con la parola “mangiare”. Digito su Google “Giacomo Leopardi nasce nel” e lui subito mi dice “1798”. La differenza è che mamma e bambino con il tempo possono arrivare dove nessuno ha mai messo piede mentre Google ti porta soltanto nei luoghi già noti alla comunità dei suoi visitatori.  

Credo che della conversazione del papa in Cadore (vedi post del 25 luglio) resterà il concetto di “vero trionfalismo”, che fino a oggi non mi pare avesse mai usato: “In questi contesti di due rotture culturali, la prima, la rivoluzione culturale del ’68, la seconda, la caduta potremmo dire nel nichilismo dopo l’89, la Chiesa con umiltà, tra le passioni del mondo e la gloria del Signore, prende la sua strada. Su questa strada dobbiamo crescere con pazienza e dobbiamo adesso in un modo nuovo imparare che cosa vuol dire rinunciare al trionfalismo. Il Concilio aveva detto di rinunciare al trionfalismo – e aveva pensato al barocco, a tutte queste grandi culture della Chiesa. Si disse: cominciamo in modo moderno, nuovo. Ma era cresciuto un altro trionfalismo, quello di pensare: noi adesso facciamo le cose, noi abbiamo trovato la strada e troviamo su di essa il mondo nuovo. Ma l’umiltà della Croce, del Crocifisso esclude proprio anche questo trionfalismo, dobbiamo rinunciare al trionfalismo secondo cui adesso nasce realmente la grande Chiesa del futuro. La Chiesa di Cristo è sempre umile e proprio così è grande e gioiosa. Mi sembra molto importante che adesso possiamo vedere con occhi aperti quanto è anche cresciuto di positivo nel dopo Concilio (…) Quindi mi sembra che dobbiamo combinare la grande umiltà del Crocifisso, di una Chiesa che è sempre umile e sempre contrastata dai grandi poteri economici, militari ecc., ma dobbiamo imparare insieme con questa umiltà anche il vero trionfalismo della cattolicità che cresce in tutti i secoli. Cresce anche oggi la presenza del Crocifisso risorto, che ha e conserva le sue ferite; è ferito, ma proprio così rinnova il mondo, dà il suo soffio che rinnova anche la Chiesa nonostante tutta la nostra povertà. E direi, in questo insieme di umiltà della Croce e di gioia del Signore risorto, che nel Concilio ci ha dato un grande indicatore di strada, possiamo andare avanti gioiosamente e pieni di speranza”. Una volta – da cardinale – Ratzinger aveva parlato della necessità di una “restaurazione” nella Chiesa del dopo Concilio e un’altra volta dell’opportunità di una qualche “controriforma” liturgica, ma era stato indotto all’uso di quelle parole proibite dagli intervistatori, stavolta invece è da solo che parla di un “vero trionfalismo” da recuperare. E’ bello avere un papa che non ha paura delle parole.

Roma è tutta un palcoscenico: ecco un pagliaccio donna a piazza Venezia con la vocazione a dirigere il traffico. A un’ora fitta di automobili si avvicina minuto e colorato alla pedana del pizzardone che fa fronte a tre fiumane di traffico e con cenni della mano le distribuisce in otto direzioni. Naso rosso e scarpe con nappine, ruota il cerchio a passo di danza e fa cippirimerlo ai guidatori volgendosi anche lui in ogni dove. Il pizzardone lo guarda un attimo sudato, fa cenno di no, che non si può e che vada vada vada. Ma la donna pagliaccio gira su di sé e torna a far girare il cerchio alle spalle del vigile uomo. Quand’egli si gira imponente per sentenziare in quella direzione rivede il naso il cerchio le nappine e scende dalla pedana a spingere per le spalle il leggerissimo pagliaccio verso via del Plebiscito tra le auto che si dividono e ricongiungono disciplinatamente dopo averli lasciati passare.

Il papa che improvvisa è sempre il migliore ed ecco Benedetto a un nuovo e vivace appuntamento in Cadore, con i preti di Belluno e Treviso, come già aveva fatto in più occasioni con quelli di Aosta, di Albano e di Roma. Sono conversazioni riprodotte come sempre dal Sito vaticano e da leggere per intero, perché solo così permettono di cogliere dal vivo l’attivissimo laboratorio mentale di papa Benedetto. Colgo i due punti a mio parere più vivi con questo e con un altro post che pubblicherò dopodomani e li riassumo con le parole audaci che ho messo a titolo di questo e con quelle addirittura spericolate che costituiranno il prossimo titolo: “Imparare il vero trionfalismo”. “In Brasile – ha detto ieri Benedetto nella chiesa di Santa Giustina ad Auronzo di Cadore, in risposta a una domanda sul dopoconcilio – sono arrivato sapendo come si espandono le sette e come sembra un po’ sclerotizzata la Chiesa cattolica; ma una volta arrivato ho visto che quasi ogni giorno in Brasile nasce una nuova comunità religiosa, nasce un nuovo movimento, non solo crescono le sette. Cresce la Chiesa con nuove realtà piene di vitalità, non così da riempire le statistiche – questa è una speranza falsa, la statistica non è la nostra divinità – ma crescono negli animi e creano la gioia della fede, creano presenza del Vangelo, creano così anche vero sviluppo del mondo e della società”.

“Io pregavo ma anche loro pregavano. La mia domanda era se stavamo pregando lo stesso Dio, o un Dio diverso”: detto dal padre Bossi ad Avvenire il 21 luglio. Forse c’è troppa preghiera tra figli litiganti. Il missionario cristiano e i sequestratori musulmani sono per un momento tutti gli uomini e le donne del pianeta. Sulle labbra abbonda l’invocazione ma dai cuori è assente la pace e l’unico Dio viene diviso in due.

“Se la boutade di Bertone (vedi post del 20 luglio, ndr) dovesse concretizzarsi, il nostro Movimento non esiterebbe un istante a organizzare une marcia di protesta dei cattolici sotto la Sinagoga di Verona”. Il movimento è “Sacrum imperium” e queste leggiadre parole sono firmate dal “coordinatore” Maurizio-G. Ruggiero. Nel titolo del comunicato figura l’espressione “Possibile marcia sulla Sinagoga se non cesseranno le pretese dei giudei di stabilire come e per chi i cattolici devono pregare”. Nel Vangelo è scritto “renderete conto di ogni parola che esce dalla vostra bocca”: è stato il primo pensiero alla lettura del comunicato. Subito dopo, chiuso il Compaq Evo N610 dal quale avevo appreso il lieto messaggio, sono entrato nell’aerostazione di Fiumicino e ho visto sullo schienale di un luggage trolley due scritte tracciate in nero, una davanti e l’altra dietro: “Morte ai froci – A morte il pedofilo”. “Renderete conto di ogni parola” ho ripetuto a me stesso. Non pensavo al mortifero scrittore né al “Sacrum imperium” ma a me e a ogni casuale destinatario di quei messaggi. Renderemo conto anche delle parole che leggiamo, cioè dei sentimenti che esse muovono in noi. Perché il male viene dal cuore e non dalle scritte che troviamo in giro per la città o nel Web. Che dice la nostra anima quando leggiamo “marcia sulla Sinagoga” e “morte ai froci”? E’ questo che conta prima e più dell’intenzione di quegli spensierati motteggiatori. 

“Auguri stellina brilluccicosa”: scritto sulla parete di destra dell’uscita dal sottopasso della stazione di “Roma San Pietro”.

Caro Maestro, le scrive il collega Bruno Volpe di “Millenio Messico” e  collaboratore di “Petrus”. Abbiamo avuto il piacere di cenare assieme una volta in Cracovia con il compianto Petrosillo. Vorrei dirle con la massima franchezza: la idea di modificare il messale di san Pio V corretto da Giovanni XXIII ventilata per placare gli ebrei non mi trova d’accordo e cerco di spiegare il perché. Intanto non sta bene che una norma – cioè il motu proprio – viene messa in discussione ancor prima della entrata in vigore il 14 settembre, è di cattivo gusto. Poi: la preghiera sulla conversione dei perfidi ebrei si recita nel triduo pasquale che per lo stesso motu proprio è escluso dal messale tradizionalista. Nella messa della vigilia pasquale tra le intenzioni, la numero sei, ve n’è una che parla degli ebrei e nel capitolo 10 di Marco Gesù parla in tema di divorzio della durezza di cuore dei farisei, che erano ebrei. Vogliamo dunque riformare anche il Novus Ordo e il Vangelo di Marco? Grazie, Bruno Volpe

 

E’ la prima volta che uno mi chiama maestro e la prendo come una simpatica barzelletta. Le dico brevemente: sarei contento che la correzione ventilata dal cardinale Bertone si facesse, ma ritengo che sia difficile farla. Non per i motivi che dice lei, piuttosto per il rischio di scontentare la galassia tradizionalista che il motu proprio voleva avvicinare. Quanto all’esclusione dell’uso del vecchio ordo nel “triduo santo” va precisato che riguarda solo le celebrazioni senza il popolo. Per quelle con il popolo è possibile usarlo: questo punto è stato chiarito da varie autorità. Ma è possibile solo nel testo del 1962, che prega “per la conversione degli ebrei” senza le espressioni “perfidi” e “giudaica perfidia” già emendate da Giovanni XXIII. Sull’atteggiamento da tenere verso i “fratelli maggiori” il Vaticano II ha segnato un passo decisivo che è perfettamente rispecchiato dal rifacimento di quella preghiera voluto da Paolo VI. Sarebbe bello se  per via di convincimento e non di autorità si arriasse tutti a pregare con quel testo. Luigi

 “Da oggi è attivo il mio blog” avverte un’e-mail di Andrea Tornielli vaticanista del Giornale: http://blog.ilgiornale.it/tornielli. Segnala, tra i blog “amici”, anche il mio e io gli ricambio il bel garbo segnalando il suo. Andrea è un caro collega, attivo e combattivo, che diversi tra i miei visitatori citano nei loro commenti. Sta avendo un buon successo con il volume su Pio XII appena uscito da Mondadori e sono in commercio decine di altre sue pubblicazioni. Gli auguro il meglio anche per il blog. – Quanto a questo mio “diario in pubblico” lo vedo e lo voglio diverso da quelli professionali di altri colleghi, da Magister a Rodari per rifarmi a quelli segnalati da Tornielli. Immagino che risulterà diverso anche rispetto alla variante proposta ora da Andrea. Non voglio dire parole eccessive per una piccolezza come un blog, che considero poco più di un gioco ma sta il fatto che io scrivendo per il Corsera e per la rivista Il Regno non avrei affatto bisogno di una terza bacheca per “dire di più” in quanto osservatore delle fedi: qui io cerco di esprimermi oltre la professione. Mi propongo di reagire ai giorni come uomo, se la frase non suonasse eccessiva. E cerco di farlo come uomo cristiano. Forse è una pretesa semicomica ma se qualcuno mi chiedesse che cosa mi riprometto riguardo ai visitatori, sarei tentato di rispondere che anche nei loro confronti – o almeno nei loro commenti – io cerco l’uomo. E’ per questo che mi sono imposto una regola empirica di alternanza tra i temi che vengo trattando: a un post d’argomento professionale cerco di farne seguire uno di varia umanità. Perché se cerchi l’uomo devi guardare dappertutto. – Avendo detto del blog, approfitto per ringraziare i visitatori che sono in costante crescita e in particolare quelli che lasciano commenti. I tre post sulla messa tridentina hanno avuto complessivamente 216 commenti. Il più commentato è arrivato a quota 131! Ringrazio anche – senza nominare nessuno – i  commentatori che apprezzano il mio modo di “moderare” il dibattito e quello di proporre spunti puntando sulla variazione e la contaminazione degli argomenti. Buona estate a tutti. Luigi