Mese: <span>Settembre 2007</span>

Conosco Carlo Di Cicco da 32 anni e grande è stata la mia meraviglia – almeno quanto la contentezza – quando ho saputo che il papa lo nominava vicedirettore dell’Osservatore romano. Da altrettanti anni conosco Giovanni Maria Vian, il nuovo direttore dell’Osservatore ma in lui c’erano tutti i presupposti per quel ruolo: prestigio di studioso, da sempre di casa in Vaticano dove avevano lavorato il nonno e il papà (Nello Vian, delizioso gentiluomo del quale ho un ricordo carissimo) e dove lavora un fratello. Ma Di Cicco no, viene dalla campagna, ha badato alle pecore da piccolo, ha fatto l’obiettore di coscienza ed è stato in carcere per questo. E’ nato povero e ama la povertà in cui è nato. Ha la mia età, abbiamo fatto insieme tante vacanze in Abruzzo, in Alto Adige e in Valtellina. I suoi due figli hanno l’età dei miei più grandi. Insieme siamo andati in pellegrinagguio familiare a Santiago de Compostela nel 1986 con un pulmino preso in prestito da parenti. In un periodo difficile della mia vita familiare egli e la moglie Flavia hanno tenuto a lungo i miei figli con loro. Siamo insomma come fratelli, stessa idea del giornalismo, stessa allergia ai ricevimenti. Carlo non ama la cravatta, non gli piacciono i piatti elaborati. E’ un appassionato della montagna. Ha sempre difeso chi paga di persona, chi aiuta il prossimo. Ha subito preso passione per papa Benedetto al quale ha dedicato un “fresco libro” (così l’avevo presentato in questo blog il 25 giugno 2006) scritto con intelletto d’amore: Ratzinger. Benedetto XVI e le conseguenze dell’amore (Edizioni Memori 2006). Per un mio incontro con lui il giorno del funerale in piazza di Piergiorgio Welby vedi un post del 24 dicembre 2006. A portarlo alla vicedirezione dell’OR è stato il fatto che aveva studiato dai Salesiani e quindi era conosciuto dal cardinale Bertone. Egli ora è come un contadino in Curia, uno spiazzamento che immagino fecondo. Una sorpresa della sorte. Lo abbraccio con entusiasmo.  

C’è una donna milanese di trent’anni con tre figli piccini e un compagno che è finito in carcere per droga a Singapore. Il poveretto è abbandonato dalla sua famiglia per la comprovata attitudine a mettersi nei guai e in quel carcere potrebbe restarci anche dieci anni. Lei prende su i tre figli e si stabilisce a Singapore, parla lingue che non conosce, attraversa la città due volte al giorno con i piccini intorno, cucina per lui e i suoi compagni, lavora di notte per comprare i cibi da cuocere, elemosina via posta elettronica dagli amici per pagare l’avvocato. Così va avanti da mesi. Da quando so la sua storia me la ripeto ogni giorno come una parabola evangelica.

Altre due scritte dai parapetti di Ponte Milvio, a Roma, che ne ha più di millanta (vedi post del 26 settembre). “Cucciolo mio ti amo da morire. Non importa dove, Roma, Modena, Australia… L’unica cosa che voglio è stare con te. Elisa”. Mi azzardo a immaginare che Elisa sia di Modena, essendo Roma e l’Australia mete del suo vagabondare in coppia. – “Cri e Marty. Io e te sempre o mai”: qui c’è il rifiuto della provvisorietà, come a dire che se il nostro legame non è “per sempre” dovremmo lasciarci subito.

Essendo stato alla conferenza stampa di MicroMega sulla “dolce morte” di papa Wojtyla (vedi post del 24 e 25 settembre) e avendo riletto e riparlato con le persone informate dei fatti, sono arrivato a tre conclusioni polemiche nei confronti di quell’iniziativa. Una riguarda il metodo, un’altra la conoscenza dei fatti e l’ultima – ma forse la prima per importanza – l’idea caricaturale della morale cattolica che ispira quella campagna. Sul metodo ho già detto nei giorni scorsi: una ricognizione medica a distanza può porre domande o azzardare ipotesi, qui invece si arriva ad affermazioni trancianti. Non sono medico ma ho parlato con dei medici. Non potendo accedere alla cartella clinica, ci si potrà chiedere come mai il sondino permanente o altra forma di alimentazione artificiale non sia stata adottata prima del 30 marzo, ma certo non si arriva ad affermare “con certezza” che deve esserci stato un rifiuto di quella risorsa da parte del paziente.

(continua nel primo commento a questo post)

Ecco altre due scritte che ho letto sui parapetti del Ponte Milvio (vedi post dell’11 settembre). “Oggi sono due mesi che stiamo insieme e direi che sono stati mesi bellissimi ke nemmeno Dio sa!!!” L’iperbole tradizionale suonava “ti voglio bene che solo Dio sa quanto”: è conseguente che la cultura secolare suggerisca che “nemmeno” Dio può saperlo. – Oggi facciamo un mese e io ti amo da una vita. By Momo x Moma”. Nella stagione dei legami brevi il “compimese” è divenuta una gran tappa.

Il Vaticano non parla, almeno per ora. Pare che abbiano deciso di mantenere un riserbo totale di fronte alle obiezioni mediche e bioetiche di Lina Pavanelli sulla morte di Giovanni Paolo II pubblicate da “MicroMega” con il titolo La dolce morte di Karol Wojtyla (vedi post del 14 aprile 2006, 18 e 24 settembre 2007). In vista della conferenza stampa di domani (vedi post precedente) mi sono preparato a fare qualche domanda. Lina Pavanelli afferma:“Nei due mesi antecedenti la morte, il paziente non ha ricevuto una quantità di nutrimento sufficiente e non ha usufruito in  tempo utile di quei presidi terapeutici che sono normali per molti malati con patologie simili”. Come può formulare questa affermazione non potendo accedere alla cartella clinica? Afferma anche che le dichiarazioni di Navarro-Valls non menzionano mai – eccetto una volta – il 3 marzo – all’aspetto nutrizionale della situazione del paziente. Ma questo non è vero, io ho trovato cinque riferimenti alla nutrizione tra il 4 febbraio e il 3 marzo: il 4 febbraio, il 7 febbraio, il 28 febbraio, il 3 marzo il portavoce dice che GPII si alimenta regolarmente; il 25 febbraio dichiara che “stamane ha fatto la prima colazione con buon appetito”. La questione nutrizionale seria dobbiamo dunque immaginare che prenda corpo dopo il 3 marzo, poniamo intorno al 10 marzo, quando viene annunciato un prolungamento della degenza in ospedale. Le informazioni da me raccolte per indiscrezione dicono che l’impianto ripetuto del sondino nasogastrico inizia nell’ultima fase del secondo ricovero. Ma se questo – più o meno – è il quadro dei fatti, su che cosa si basa l’affermazione che l’impianto permanente del sondino era un provvedimento salvavita e che il mancato ricorso “tempestivo” ad esso non può che essere dovuto a un rifiuto del paziente? Combinando la residua alimentazione per via orale con il supporto della flebo e del sondino nasogastrico impiantato a più riprese non si potrebbe concludere per un nutrimento sufficiente? Sono domande che avanzo analizzando le affermazioni della dottoressa Pavanelli e confrontandole con le affermazioni ufficiali e ufficiose venute dall’ambiente vaticano. E concludo: non disponendo di dati clinici su che cosa possiamo fondare la certezza che il “deficit nutrizionale” grave si sia manifestato molto prima – addirittura due mesi prima – di quando esso è stato affermato dal medico curante, cioè il 30 marzo? Se non vi è questa certezza che senso ha la questione bioetica che viene sollevata?

La conferenza stampa di MicroMega sulle ultime settimane di vita di papa Wojtyla (vedi post del 18 settembre) è stata spostata da martedì a mercoledì 26 e dunque cadono le mie riserve sulla possibilità di esserci (esposte in un commento al post citato), dovute alla concomitanza – su domani – di un’altra conferenza stampa del vescovo Betori segretario della Cei. Andrò dunque alla Facoltà Valdese e ascolterò le argomentazioni che verrano proposte a sostegno dell’affermazione che il il vecchio papa abbia rifiutato l’alimentazione tramite sondino che il magistero papale ritiene moralmente doverosa per pazienti in quelle condizioni. Alla conferenza stampa parteciperanno “Paolo Flores d’Arcais direttore di MicroMega, Lina Pavanelli medico anestesista, Mina Welby moglie di Piergiorigio Welby, Giovanni franzoni, teologo, già abate di San Paolo fuori le mura”. Ho esposto sul “Corriere della Sera” e in questo blog la mia idea, che contrasta con quell’affermazione. Invito i visitatori che hanno competenza medica o bioetica a fornirmi argomenti, se ne hanno, a sostegno della mia posizione. Grazie a tutti in anticipo. Luigi 

Sono stato a un matrimonio e ne sono felice. Gli sposi si chiamano Daniela e Massimo. Per oggi non scrivo altro. Luigi

Partecipo – quasi per caso – a una riunione di esperti in liturgie papali e sento questo bel racconto di come ebbe inizio, con Paolo VI, l’uso della “croce astile” nelle celebrazioni. Papa Montini fu il primo papa, non so da quanti secoli, a celebrare con il popolo: prima di lui i papi – compreso Giovanni XXIII – in San Pietro e altrove assistevano alle celebrazioni ma non celebravano. Celebravano solo in privato. Paolo VI che firmò i documenti conciliari con il titolo di “vescovo di Roma” volle anche celebrare con il popolo come fanno i vescovi diocesani. Ma celebrando “non sapeva dove tenere le mani”, perché da arcivescovo di Milano aveva il “pastorale” ma i papi – l’avvertirono i cerimonieri – non hanno mai avuto il pastorale e la “croce papale”, quella con tre bracci, veniva usata solo per aprire la “porta santa” dei giubilei, o per la proclamazione dei dogmi. Egli dunque li incoraggiò a offrirgli una croce astile, cioè con l’asta come il pastorale ma senza i tre bracci tanto impegnativi. Ecco come è nata la croce a cui si aggrappava tremante negli ultimi tempi, che fu poi raccolta con timore e tremore da papa Lucani,  che papa Wojtyla brandiva i primi tempi con il piglio del missionario del mondo e che oggi papa Ratzinger impugna con mite fermezza.

Eccoci al secondo tempo – annunciato (vedi post del 15 settembre) – della riflessione sul “carattere esorcistico del cristianesimo” di cui tratta il libro del papa su Gesù alle pagine 207-210. “Esorcizzare – spiega Ratzinger-Benedetto – cioè collocare il mondo nella luce della ratio che proviene dall’eterna Ragione creatrice come pure dalla sua bontà risanatrice e a essa rimanda – questo è un durevole e centrale compito dei messaggeri di Gesù”. Poi cita l’apostolo Paolo che al capo sesto della Lettera agli Efesini avverte: “La nostra battaglia non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti”. Per una interpretazione immediatamente fruibile di questa “rappresentazione della lotta del cristiano” riporta una pagina dell’esegeta Heinrich Schlier, che riprendo nel primo commento a questo post, limitandomi qui a suggerire ai visitatori un’attualizzazione letteraria di grande efficacia di tale “battaglia contro i dominatori di questo mondo di tenebra”: ed è quella del Signore degli anelli di Tolkien, mitologia interpretativa dell’avventura umana che il cristianissimo autore scrisse durante la seconda guerra mondiale. Per chi fosse interessato a vagliarne le risorse, rimando a tre miei piccoli saggi che sono riportati nella pagina “Collaborazione a riviste” elencata sotto la mia foto ad apertura del blog e intitolati cumulativamente “Che cosa ci insegnano gli hobbit”. La conclusione di Ratzinger-Benedetto (che riporto per esteso nel primo commento, insieme alla pagina dello Schlier) è per l’evidenza degli “avvelenamenti mondiali del clima spirituale che minacciano l’umanità”. Anche a me sono evidenti, ma non trovo le parole per dirli nella lingua della nostra epoca se non – al momento – quelle della parabola letteraria.

(continua nel primo commento)