Anno: <span>2009</span>

“Le affermazioni di Mons. Williamson non riflettono la posizione della nostra Fraternità. Perciò io gli ho proibito, fino a nuovo ordine, ogni presa di posizione pubblica su questioni politiche o storiche. Noi domandiamo perdono al Sommo Pontefice e a tutti gli uomini di buona volontà per le conseguenze drammatiche di tale atto. Benché noi riconosciamo l’inopportunità di queste dichiarazioni, noi non possiamo che constatare con tristezza che esse hanno colpito direttamente la nostra Fraternità discreditandone la missione. Questo non possiamo ammetterlo e dichiariamo che continueremo a predicare la dottrina cattolica e ad amministrare i sacramenti della grazia di Nostro Signore Gesù Cristo”: così il vescovo Bernard Fellay, superiore della “Fraternità San Pio X” in un comunicato diffuso anche dalla Sala Stampa vaticana. Io trovo che questa dichiarazione sia un acquisto per più di un verso e dunque batto le mani a Fellay e mi congratulo con il lungimirante Williamson.

Coraggio! Vogliate bene a Gesù Cristo, amatelo con tutto il cuore, prendete il Vangelo tra le mani, cercate di tradurre in pratica quello che Gesù vi dice con semplicità di spirito. Poi, amate i poveri. Amate i poveri perché è da loro che viene la salvezza, ma amate anche la povertà. Non arricchitevi”: sono parole dette nella cattedrale di Molfetta dal vescovo Tonino Bello come ultimo saluto il giovedì santo del 1993. Morirà 12 giorni più tardi. Nel testamento, che dettò due giorni prima di morire, cioè la domenica in albis, ci sono queste altre frasi: “Ho voluto bene a tutti e sempre” (era il titolo della mia conferenza), “E’ il giorno del Signore. Ed è bellissimo”. Metto qui queste parole come dono ai visitatori, avendo avuto l’occasione di presentare ieri a Molfetta il sesto volume dell’opera omnia del vescovo Bello (1935-1993), ringraziando le persone incontrate: il vescovo Luigi Martella che mi ha invitato (egli ha introdotto la causa di canonizzazione del predecessore), il direttore di “Luce e vita” don Domenico Amato che mi ha accolto, i fratelli di don Tonino, Marcello e Trifone, calorosi come sempre. E Guglielmo Minervini e i cari amici della FUCI di quarant’anni addietro, Damiano e Giuditta. Questo piccolo ricordo a caldo, in attesa di inserire il testo della mia conversazione nella pagina “Conferenze e dibattiti” elencata sotto la mia foto.

Il papa ha “rimesso” la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani e quando cade una scomunica io faccio festa. “Questo dono di pace, al termine delle celebrazioni natalizie, vuol essere anche un segno per promuovere l’unità nella carità della Chiesa universale e arrivare a togliere lo scandalo della divisione”: sono le parole forse più significative del decreto di “remissione” firmato dal cardinale Re. Come per il motu proprio sul vecchio rito della messa, così per questa decisione di pace io esprimo la mia piena adesione ben sapendo che molti, tra i miei amici, hanno difficoltà ad accettarla. Io non ne ho e ci tengo a farlo sapere. Mi fido dell’indagine condotta dal papa e condivido pienamente il generoso obiettivo di ridurre gli elementi di discordia e di promuovere la più ampia tolleranza all’interno della Chiesa di Roma.

Si chiama Maria Angela, è una giovane suora già tifosa della Juventus, che sa cioè che cosa siano le tifoserie, ma che oggi è scandalizzata dall’aggressività dei blog cattolici e si è assunta “il compito di pacificatrice” in questo campo brado. Dedica “un po’ di tempo, ogni giorno, a entrare nei siti più bellicosi” e prova “a ridimensionare i giudizi, a placare gli animi, a difendere i deboli, a fare la pace”. Rimedia anche lei “la sua dose di scherno e di offese” ma “non demorde” e qualche volta riesce a “stemperare un anatema”. Evviva: ho trovato la mia anima gemella (vedi post “Miei bloggers state calmi se potete” dell’8 dicembre 2008 e leggi qui sotto il primo commento a questa parabola)!

No alle manifestazioni davanti ai luoghi di culto: il ministro Maroni annuncia una direttriva ai prefetti perchè estendano – con discrezionalità – a chiese, sinagoghe, moschee e tempi di ogni fede la regola che già valeva per le sedi istituzionali, di partito e diplomatiche. Tendo a fidarmi del criterio di discrezionalità e mi dico che presto ne sapremo di più, basterà dunque un poco di pazienza. Ma così come suona, la novità non mi piace. A che titolo la critico? Da romano che va spesso nelle chiese. A Roma dovrebbero cessare le manifestazioni a piazza San Giovanni, a piazza del Popolo (dove le chiese sono tre), a piazza Navona e a piazza Santi Apostoli? Da romano considero le chiese un pezzo di città e non le vorrei escluse da nulla. Non mi va il paragone con le istituzioni, i partiti e le ambasciate. Da cittadino che frequenta le chiese le vorrei aperte a tutti e a tutto. Libere da cancellate (vedi post del 2 maggio 2008), biglietti per entrarvi, divieti di ingresso d’ogni specie. Vorrei non si facesse nulla per tenere la gente lontana dalle chiese, dalle moschee e dalle sinagoghe. “Ma se i musulmani pregano davanti al Duomo?” A Roma hanno pregato davanti al Colosseo: per un cristiano, dov’è la differenza?

“Ci opporremo a misure che espandano l’aborto”: è una delle affermazioni rivolte dai vescovi cattolici statunitensi al presidente Obama alla vigilia dell’insediamento. Altre preoccupazioni dei vescovi – espresse con una lettera aperta firmata dal presidente della Conferenza episcopale, cardinale Francis George – riguardano i poveri e la pace nel mondo. I vescovi sollecitano il nuovo presidente a “fare di questo periodo di cambiamento nazionale un tempo per far avanzare il bene comune e difendere la vita e la dignità di tutti, specialmente i vulnerabili e i poveri”. Chiedono “una transizione responsabile” in Iraq, uno sforzo per “porre fine al violento conflitto in Medio Oriente” e per “continuare” la lotta all’Aids in Africa con mezzi “efficaci e moralmente appropriati”. Apprezzo queste parole del cardinale che all’indomani dell’elezione di Obama aveva detto a nome dei cattolici statunitensi: “Io credo sinceramente che dobbiamo tutti esultare” per il fatto che “un Paese che un tempo aveva adottato la schiavitù razziale nel suo ordine costituzionale ora ha eletto un afroamericano alla sua presidenza” (vedi post dell’11 novembre 2008).

Ero per caso al Colosseo oggi al tramonto, quando passava la manifestazione Dalla parte dei palestinesi. Vedendo dalla posizione del sole che era l’ora della preghiera, i manifestanti musulmani si sono fermati, hanno steso a terra le bandiere e si sono inginocchiati su di esse per la prostrazione del vespro. Solo gli uomini. Le donne velate li guardavano dai marciapiedi. La cosa era organizzata ma anche spontanea: chi arrivava – e vedeva gli altri inginocchiati – correva a stendere la bandiera per non perdere l’appuntamento. Poi di nuovo tutti in piedi e in marcia, come più animosi. Io non sono “dalla parte dei palestinesi” perchè mi studio di passare in mezzo, tra loro e gli israeliani. Ma per quei due minuti ero con loro. Ho poi recitato il Salmo 122 per stare altri due minuti con i fratelli ebrei: Sia pace all’interno delle tue mura Gerusalemme.

Poiché ancora una volta, Signore, non più nelle foreste dell’Aisne, ma nelle steppe dell’Asia, non ho né pane, né vino, né altare, mi innalzerò al disopra del simboli fino alla pura maestà del Reale e Vi offrirò, io vostro sacerdote, sull’altare della Terra tutta intera, il lavoro e la sofferenza del Mondo… Ricevete, Signore, l’ostia totale che il creato, mosso dalla Vostra attrazione, Vi offre in questa nuova alba. Il pane, nostra fatica, di per sé non è altro, lo sento, che una grande realtà disgregata. Il vino, nostro dolore, non è anch’esso, ahimé, se non una bevanda dissolta, ma in fondo a questa massa informe avete posto un irresistibile desiderio santificante, che fa esclamare a tutti noi, dall’empio al fedele: Signore, fate di noi uno solo!” è la famosa “messa sul mondo” di Teilhard de Chardin, che riporto nel testo fornito a p. 109 dal volumetto “Teilhard de Chardin. Una mistica della traversata” di Edith de la Héronnière, editore L’Ippocampo. La preghiera è così presentata dall’autrice: “Il momento per lui più “attivo”, ammette, è quando ogni mattina celebra la ‘Messa sul Mondo’, arricchendola ogni volta di spunti, meditazioni e preghiere nuove che i paesi attraversati e le persone incontrate gli ispirano. In ogni luogo e circostanza, nella sua lunga traversata esistenziale, il prete in lui, con quella preghiera, prende la sua casa sulle spalle”. Dedico questo omaggio al gesuita francese perchè in questi giorni se ne è parlato nel blog e per dire ai visitatori che anch’io ho un piccolo debito giovanile nei suoi confronti.

Per la prima volta sulla Freccia Rossa, il treno ad alta velocità che ti porta da Roma a Milano in tre ore e mezza. Mi diverto a vedere come lasciamo indietro le automobili, quando ci accompagniamo all’Autostrada del Sole. La penna deraglia dalla riga se provo a fare un appunto per la conferenza di stasera ma trovo che posso sopportarlo e mando messaggi ai figli: “Sono sulla Freccia”. Orvieto si profila e scompare in un baleno. Faccio appena in tempo a pensare quanto avranno impiegato a scolpire la facciata del Duomo. Passiamo per Firenze e Bologna senza fermarci e questo mi pare sgarbato. Ripenso ai figli e ai film veloci che tanto li prende e mi dico che la Freccia è fatta per loro. Non fosse per i prezzi: 71 euro la seconda classe.

“Morte al pacifista!” leggo dal treno su un’arcata del ponte di via Stalingrado, a Bologna, sulla sinistra di chi viene da Firenze. Stavo giusto leggendo alla pagina due del Corsera che “un terzo degli oltre ottocento morti e tremila feriti della striscia di Gaza sono bambini”. Dunque mille bambini feriti e 267 bambini morti.