Mese: <span>Novembre 2011</span>

Lucio Magri se ne è andato violento con se stesso – e dunque con tutti – come ultimamente Mario Monicelli: la notizia l’avemmo il 29 novembre 2010. Mario abitava nel quartiere Monti di Roma dove abito anch’io. Lucio Magri sarà sepolto a Recanati dove io sono nato. Quanto mi sento vicino, e quanto triste, all’uno e all’altro. Lettore di Plutarco mi rattristo nelle pagine dei tanti suoi personaggi che escono a forza dalla vita. Viviamo oggi un oscuro ritorno al darsi la morte che fu degli antichi. Tengo con me il dono di intelligenza avuto tante volte da Mario e da Lucio e da altri come loro che hanno voluto strappare il velo e precipitarsi a forza dall’altra parte del mistero. A quel dono mi aggrappo per resistere all’urto di questa violenza.

Ho finalmente finito di raccogliere olive. Mille e cento chili di olive. Oltre una tonnellata. Undici quintali. La lingua di fuori, ma felice. Anche se la resa non è stata generosa. Solo cento litri di olio in tutto. Profumato, verde e pastoso, ineguagliabile per i mille sapori che con il pane caldo sprigiona. Solo pane e olio e ci si può fare un pasto e per fine pasto un’insalata di arance che in campagna da noi non mancano mai, condite con olio, cipolla e peperoncino“: è l’attacco di una lettera di Armando Rossitto, il preside di Lentini – mio coetaneo e amico degli anni della Fuci – che qui abbiamo conosciuto il 13 ottobre: Ad Armando e a tutti i giusti della scuola. Nei primi due commenti il resto del messaggio che mi ha mandato in ringraziamento del post.

Il 18 giugno del 1974 vengo al mondo senza braccia: sono rimaste in cielo. Quando la mia mamma si è svegliata dal cesareo e ha visto i volti cupi degli infermieri, che non le lasciavano vedere la sua bambina, è stata malissimo. Poi ha saputo che invece ero sana e salva, soltanto mi mancavano le braccia. Mamma e papà si sono abbracciati e hanno subito deciso il da farsi: mi avrebbero insegnato a prendere il ciuccio con i piedini. Nella vita bisogna guardare quello che c’è, non lamentarsi per ciò che non abbiamo. Qualcosa, tanto, manca a tutti, anche a chi ha braccia e gambe in regola: l’esteriorità si nota prima, ma se il vuoto è interiore il dolore è più straziante. Ringrazio il Signore non per la vita in generale, ma per avermi disegnata esattamente così”: parole di Simona Aztori, ballerina e pittrice, intervistata da Avvenire per l’uscita del libro in cui narra la sua vita: Cosa ti manca per essere felice? (Mondadori, 189 pagine, 17€). Nel primo commento altre notizie.

«Dovetti percorrere l’itinerario d’una accettazione in cui non prevalesse nessuna angoscia e invece prevalesse la parola di pace che è stata detta sul nostro vivere e sul nostro morire»: così in una lettera don Paolino Serra Zanetti (meraviglioso prete bolognese, 1932-2004) a proposito della mamma colpita da ictus. Gli dedico un bicchiere di Vino Nuovo. A chi volesse sapere di più sulla cara immagine fraterna di don Paolino, suggerisco di andare nella pagina PREFAZIONI E CAPITOLI elencata sotto la mia foto, scendere di una decina di titoli e cliccare su quello intitolato a lui: La speranza resistente.

“La vita è la cosa più bella che ho, anche perché mi avete fatto capire che voi siete la feccia della comunità. La vita è migliore senza di voi”: parole scritte su un pilastro di una pensilina della stazione di Formia, tra il quarto e il quinto binario. Sottintendo all’inizio le parole “vado via” e mi figuro uno che parta avendo deciso di vivere altrove dopo i torti subiti. In attesa del treno ha il tempo di tracciare con un grosso pennarello un pubblico commiato provvisto di punteggiatura e di qualche correzione. Come a scuotere la polvere dai sandali. Un senzatetto che ha fatto le scuole. Un gay vessato dai bulli.

Un incidente stradale lo paralizza quando non ha ancora 18 anni e oggi ne ha 41 e afferma: “Non mi sono mai sentito un peso”. Si chiama Giuseppe Pierobon, vive a Cittadella, tiene incontri nelle scuole, lavora al computer azionando la tastiera con una stecca tra i denti. “La mia condizione è la mia croce ma ognuno ha la sua, ciò che conta è trovare la forza per portarla. La conoscenza del proprio limite – la sua accettazione, l’impegno a vedere le cose da una prospettiva diversa – è la prima forma di libertà”. Leggi la sua storia nel capitolo 4 REAZIONE ALL’HANDICAP della pagina CERCO FATTI DI VANGELO elencata sotto la mia foto: L’accettazione del limite è già una libertà.

Non fare mai un passo indietro, neanche per prendere la rincorsa“: è una scritta su un muro di Roma, in zona universitaria, che dedico all’ex premier Berlusconi. La segnala un visitatore discontinuo che si firma Iapino e che l’accompagna con questa referenza: “Un’amica ha postato su facebook la foto di un muro ‘sotto la facoltà di Psicologia a San Lorenzo’. C’è scritto, in stampatello, in colore rosso: NON FARE MAI UN PASSO INDIETRO, NEANCHE PER PRENDERE LA RINCORSA. Credo sia una firma ‘anarchica’, nella foto si intravede un logo che dovrebbe essere la A degli anarchici. Spero ti piaccia”. Et come non, diceva Brancaleone: la trovo pregna e pregnante.

C’è anche una partecipazione orante alla Giornata, di chi è lontano. Tutti i giorni alla messa del mattino nella casa di vacanza che mi ero scelto si ricordavano “i ragazzi che sono a Madrid”. Ho ascoltato un messaggio del cardinale Martini, già catecheta di tanti appuntamenti, che dal suo Parkinson prometteva ai partecipanti attraverso Radio Mater di “fare da intercessore presso Gesù”. Capitando a Monte Sole ho pregato con il priore don Athos – nella cappella che già custodì la pisside del martire don Marchioni – “per i ragazzi che sono a Madrid e per quelli che non sono potuti andare perché a tutti arrivi un dono dello Spirito che li aiuti nel discernimento della vocazione”. – E’ la conclusione in coda di pesce di un mio lungo articolo in forma di inchiesta pubblicato dalla rivista “Il Regno” sulla Giornata mondiale della gioventù che si fece a Madrid in agosto e per il quale avevo chiesto aiuto ai visitatori. Lo si può leggere nella pagina COLLABORAZIONE A RIVISTE elencata sotto la mia foto dove ha questo titolo: Bailar dopo aver adorato Gesù.

La domanda di Pietro – bimbo di quattro anni: vedi post del 14 novembre – “noi perchè ci siamo” mi sembra ogni giorno più vera, da quando mi è stata rivolta. Dedico a essa un bicchiere di Vino Nuovo.

Non private i vostri popoli della speranza! Non amputate il loro futuro mutilando il loro presente“: così ha parlato ieri papa Benedetto in Benin alle autorità dello Stato, al Corpo diplomatico e ai rappresentanti delle principali religioni del Paese. Ecco – qui e nei primi due commenti – alcuni passaggi del suo inno alla speranza: “Occorre diventare veri servitori della speranza. Non è facile vivere le condizione di servitore, restare integri in mezzo alle correnti di opinione e agli interessi potenti. Il potere, qualunque sia, acceca con facilità, soprattutto quando sono in gioco interessi privati, familiari, etnici o religiosi. Dio solo purifica i cuori e le intenzioni“. Mi piace sentire il papa che mette in guardia dal potere e dall’interesse religioso, elencati tra quelli che “accecano facilmente”.