Mese: <span>Novembre 2011</span>

Nell’anniversario della partenza di Adriana Zarri per l’Ovesturia dedico ai visitatori la sua PREGHIERA D’INVERNO in cui sono queste parole che mi sono d’aiuto e che faccio mie: “Facci attendere, Dio, senza stancarci, / senza timore di morire per sempre (…) / Aprici gli occhi, o Dio, / facci vedere ciò che non si vede”. L’intera poesia è nel primo commento.

Quando durante la liturgia c’è il segno della pace, ci si dà la mano. Se non c’è nessuno vado a prendere la zampina della mia gatta”: così Adriana Zarri nel libro intervista con Domenico Budaci Tutto è grazia (Aliberti 2011). A un anno dalla morte di Adriana – vedi post del 18 novembre 2010: “Ho vissuto e attendo” – dedico ai visitatori quelle sue gentili parole, come un saluto dall’eremo in cui viveva. Nei primi due commenti una spiegazione di quel “segno di pace” con la micia Arcibalda.

Monti e i suoi ministri hanno appena giurato e io mi sento già meglio. Quelle tre donne forti alla Giustizia, agli Interni e al Lavoro. Tagliati sei ministeri compreso quello di Calderoli detto della semplificazione: e questa mi pare una buona semplificazione. Anche l’età dei ministri è rassicurante: il più giovane è il mio amico – già presidente del Meic – Renato Balduzzi, 56 anni. Il premier Monti ha i miei anni: dunque l’età giusta. Ci sono sei lombardi che – immagino – hanno il compito di incastrare i lumbard. Ma ciò che mi aiuta ad avere un minimo di fiducia in più rispetto al gabinetto uscente è la certezza che questi professori di fronte a una qualsiasi operazione dolorosa – poniamo le pensioni o il contributo di solidarietà – non si metteranno a dire: colpirebbe chi vota per noi. Buon lavoro dunque miei validi coetanei.

Sono amico sia di Gianni Letta sia di Giuliano Amato e li vedo bene nel governo Monti: sono seri, capaci, galantuomini. Di parte ma non settari. E’ il momento di fare spazio a uomini siffatti. Bocchino e Capezzone mi fa senso solo a dirli.

Un nipotino di nome Pietro che ha quattro anni – già noto da queste parti – mi ha chiesto ultimamente in rapida sequenza: “Quanto è grande il mondo? E quanto dura il tempo? E noi perchè ci siamo?”

«Dovreste vederli, i miei alunni, quando mi incontrano ogni tanto, come si emozionano e sorridono e scherzano e tutti hanno lo stesso sguardo felice per gratitudine»: parole di Armando Rossitto, preside a Lentini, Siracusa, che lascia l’incarico e saluta alunni e colleghi. A lui – e a tutti i giusti della scuola che mai sapremo ricompensare – offro un bicchiere di Vino Nuovo.

Sono contento che Berlusconi – costretto dai mercati – abbia lasciato e che il ruolo di premier vada a chi meglio comprende il mondo che ci circonda e da esso meglio è compreso. Ma credo che la sua uscita da Palazzo Chigi vada guardata con il rispetto che è dovuto a chi fu posto in quel ruolo dal voto degli elettori. Io così la guardo. Auguro a Berlusconi di potersi infine riposare e difendere al meglio nei tribunali e trovare una qualche pace dopo tante battaglie. Se gli fossi amico gli consiglierei di lasciare la politica. Ritrovare la pace può essere un’impresa che chiede ogni energia. Immagino anche che la sua uscita dalla politica aiuterebbe la stessa politica a ritrovare un equilibrio dopo la tempesta.

«Quando Mario e Nicoletta in platea si sono avvicinati a mia figlia Francesca, figlia di un carcerato, ho capito che mi avevano perdonato»: parole di Francesco Ranieri uno dei 13 carcerati segnalati dal Premio “Carlo Castelli” per la solidarietà 2011. Le dedico ai visitatori accompagnandole con un bicchiere di Vino Nuovo.

Sono a Padova sulle tracce di Francesco Canova – 1908-1998, medico, fondatore di Medici con l’Africa – in vista di una pubblicazione che potrebbe avere questo titolo: “Francesco Canova. Un cristiano creativo che porta in Africa 1328 medici”. Chi ha spunti me li dia. E’ bellissima persona restata fino a oggi in ombra. Sto provando a illuminarla. Una frase: “La luce è un gran medico”. Un gesto simbolico: innamorato della Terra Santa – dove passa dodici anni a fare il medico “in missione”, tra il 1935 e il 1947 – chiama la prima figlia Giordana.

Il Pontificato di Papa Benedetto è “in crisi”. Anzi: «È caratterizzato da un succedersi impressionante di crisi come non era avvenuto con nessuno dei Papi degli ultimi cento anni». È la tesi accusatoria del volume appena pubblicato da Marco Politi per Laterza intitolato Joseph Ratzinger crisi di un Papato (pagine 328, euro 18). Quell’accusa merita una risposta sia perché è bene argomentata, sia perché corrisponde al sentimento di “crisi”- la parola tematica è stata scelta bene – vissuto da una vasta componente del mondo ecclesiale in Italia e fuori. La mia prima risposta è che c’è sì una crisi – o quantomeno l’avvertenza, il sentimento di una crisi – ma essa riguarda la Chiesa e non il Pontificato di Papa Benedetto: ovvero, non solo il Pontificato. La seconda risposta è che la reazione “impolitica” alla crisi che Papa Ratzinger viene svolgendo – concentrazione sulla figura di Cristo e sulla teologia dell’amore, opzione per la purificazione penitenziale della Chiesa – è forse l’unica possibile e non ha dato fino a oggi cattiva prova di sé. E’ il gagliardo attacco di una mia risposta spropositatamente lunga a Politi, pubblicata oggi da LIBERAL con il titolo Processare Ratzinger.”Puoi arrivare a dodicimila battute? – Come no”. Per leggerlo vai nella pagina ARTICOLI DI LIBERAL elencata sotto la mia foto.