Mese: <span>Marzo 2014</span>

Il treno passa per Sacile e poi per Casarsa con me che vado a Udine. Alberelli, corvi. Ho nella borsa “La lirica del Novecento” di Ancheschi e Antonielli che comprai – facendo seri risparmi – nel 1964: Vallecchi Editore, lire 4.000. Leggo a pagina 763 i versi di Pier Paolo Pasolini intitolati “O me giovanetto!”, i più belli suoi che io conosca. Qui li riporto in lingua friulana e nel primo commento metto la traduzione italiana dello stesso Pasolini. Ricordo ai visitatori che Casarsa era il paese della mamma di Pier Paolo, dov’egli visse con lei a partire dai 21 anni, essendo nato a Bologna e avendo conosciuto per alcune stagioni la Lombardia, il Veneto e Sacile. I versi sono in “Poesie a Casarsa”, Bologna 1942.

O mè donzèl, memòrie / ta l’odor che la plòja / da la tière ‘a sospìre, / ‘a nàs. ‘ nàs memòrie / di jèrbe vive e ròja. // In fònt al pòs Ciasàrse / – còme i pras di rosàade – / di timp antic ‘a trème. / Lajù, ‘i vif di dul / lontàn frut peciador, / tra un rìdi sconsolat. / O mè donzèl, serène / puàrte la sère ombrène / tai vècius mûrs: in sièl / la lûs imbarlumìs.

“Io spero che i mafiosi possano essere toccati, almeno alcuni, dalle parole del Papa che ha ricordato a loro l’inferno. Ne sono convinta perché in ogni persona ci sono un cuore e un’anima. Anche in un mafioso. Francesco ha detto proprio questo”: parole di Marisa Fiorani, che è di Mesagne, Brindisi, dov’è nata la mafia pugliese, la Sacra Corona Unita. Lei ha partecipato all’incontro di “Libera” con il Papa, avvenuto a Roma il 21 marzo, per portare a quell’appuntamento la memoria della figlia Marcella Di Levrano, uccisa per vendetta mafiosa a 25 anni. Marcella era una delle tante sfortunate vittime della droga e, solo dopo la nascita della figlia, frutto di una relazione con un giovane altrettanto sventurato, decise di liberarsi dalle catene della dipendenza, per dare un futuro diverso e migliore alla sua piccola. Per questo decise di raccontare quello che sapeva dei traffici di sostanze stupefacenti nel brindisino e per questa sua collaborazione con le forze dell’ordine venne poi uccisa. Marisa ne rivendica la memoria come un segno di speranza e ringrazia Ciotti e il Papa d’averla incoraggiata su questa strada. Io la saluto con un bicchiere di Vino Nuovo.

Trovata a terra una manciata di zolfanelli il capo scout Matteo s’ingegna a dare fuoco alle code di paglia del partito. Ne vengono fiamme che arrossano l’occhio del piromane Civati e le scaglie firmate della salamandra Cuperlo. Matteo Matteo non ti fermare, sono troppo belli la salamandra e il piromane rossi di sera.

Sono un detenuto che ha incontrato Papa Francesco, questa persona incredibilmente umile che ci rende tutti uguali, gregge col pastore, famiglia insieme al padre, Chiesa, con lui, davanti a Dio. Ho trovato la mia pietra d’angolo”: parole di Carlo Scaraglio, uno dei 17 detenuti del carcere Don Bosco di Pisa che il 19 febbraio hanno incontrato il Papa. Le ho salutate con un bicchiere di Vino Nuovo.

Ab initio erat birra: la birra c’era dall’inizio. E’ scritto sul muro della birreria dove sto cenando. La traduzione è mia. Sono a Trieste per un’altra conferenza e c’è la bora e mi delizio a scoprire questa città sempre letta e mai vista. Sulla parete di fronte c’è un murale con certi monaci che arano, falciano, trasportano, fanno bollire e imbottano la favolosa birra di malto che sto bevendo. Sono salito al Castello nel vento. “Volate di San Giusto sui ruderi romani”, intimava il Carducci da una lapide. Ho visto un ragazzo accucciato a un angolo di Via della Bora che s’accaniva ad accendere una sigaretta. Di che non è capace l’umanità.

Rientro ora in albergo – Hotel Duca d’Aosta – dopo una bella serata con le parrocchie di Mogliano Veneto, Treviso, sul tema “Il perdono guarisce chi lo dà e può aiutare chi lo riceve. Incontro dopo la proiezione del film Philomena”. Tanta gente, tante domande. Nei primi tre commenti, alcuni passaggi della mia conversazione.

“Io, Sara, desidero rispondere a Cristo che mi ha amata, donando a lui tutta me stessa. Per questo, alla presenza di tutti i santi, davanti al vescovo, monsignor Gino Reali, e alle mie sorelle, prometto a Dio di vivere la verginità, la povertà e l’obbedienza fino alla morte, secondo la regola delle Missionarie di San carlo Borromeo e pongo questo mio voto nelle mani della mia superiora”. Erano le 17.00 di oggi, mi trovavo nella chiesa parrocchiale di Santa Maria del Rosario ai Martiri Portuensi, nell’emozione delle litanie dei santi, Sara prostrata, tutti in lieta confusione di mente e di cuore. Volevo farvi partecipare a quanto ho vissuto, che non era poco.

Don Pierluigi di Piazza, di Udine, è un prete di strada come don Ciotti. Ero da lui giovedì, a Zugliano, a presentare al Centro Balducci il suo libro “Compagni di strada”, appena uscito da Laterza e mi diceva che il giorno dopo sarebbe corso a Roma per essere presente all’incontro di “Libera” con Francesco. L’ho visto infatti parlare al Papa, tra quelli che l’hanno salutato alla fine dell’incontro. Don Pierluigi ed io siamo diventati amici il marzo dell’anno scorso, non conoscendoci prima, per una convergenza in unità di tempo sull’attesa di un Papa latino-americano. Alla vigilia del Conclave lui dichiarò a un programma Rai condotto da Marinella Chirico che si augurava l’elezione di “un cardinale non italiano, non europeo, per uscire finalmente dall’eurocentrismo”, un Papa che si esprimesse “con la forza e il potere dei segni del Vangelo”. Io in contemporanea scrivevo sul “Corriere della Sera” del 12 marzo che la crisi della Chiesa in Europa poteva spingere il Conclave a “portare il Papato fuori dal vecchio continente” e che a tale scopo “l’ipotesi matura” era quella dell’elezione di un latino-americano. Chi fosse interessato al profilo di don Ciotti tracciato da don di Piazza legga qui dove troverà anche una rapida descrizione del libro “Compagni di strada”.

Ho visto ieri alle Terme di Diocleziano la mostra “Rodin. Il marmo, la vita”. Stupore fermo delle muraglie delle Terme, le stesse nelle quali Michelangelo mio da Settignano ha ricavato Santa Maria degli Angeli e dei Martiri. Stupore fuggiasco dei marmi di Rodin, “Fugit Amor 1887” tra tutti. Chi mi aiuta a scoprire da dove venga il motto “Fugit Amor”?

Più che a qualsiasi Papa del passato, ieri Francesco somigliava a don Ciotti: si direbbe che volesse somigliare a don Ciotti, il prete callejero che ha preso per mano all’ingresso della chiesa e che davanti all’altare l’assisteva in maglione“: è un passo strapieno di allusioni di un mio articolo pubblicato oggi dal “Corriere della Sera” alle pagine 1 e 23, con il titolo Mano nella mano come un prete di strada.