Mese: <span>Luglio 2011</span>

Un uomo in uniforme ha cominciato a sparare (17,45). Cerco di rassicurare quelli che sono nascosti con me (17,50). Tutto ok (19,30)“: sono tre sms di Tom, uno dei ragazzi che erano sull’isola norvegese di Utoya nelle ore della strage del 22 luglio. Gli dedico un bicchiere di Vino Nuovo. Il fatto è che mi ritrovo in Tom e vorrei somigliargli: vedo in quella situazione una parabola della vita sulla terra. C’è chi spara e io mi adopero a tenere buono chi è nascosto con me. Ma ecco qui una gustosa conversazione – in quattro chiamate dal cellulare – di una sedicenne di nome Julie, che era sull’isola, con la mamma Marianne. Di Julie, che in tutto mi appare figlia, nel “bicchiere” avevo riportato una frase e volevo darvi il resto. La deliziosa Julie e la mamma che le manda il nonno e che vorrebbe prenotarle l’aereo ci dicono che la vita è colorata, altro che il grembiule massonico di Anders il guerriero. Detto anche il sanguinante, il sanguinoso, il sanguinaccio.

Dialoghetti sulle materie correnti nell’anno 2011: Penati? Che pena. – Verzè? Che cavolo.

Stavolta parlo dell’accanimento dei medici: non in chiave medica o giuridica, che non sono miei campi, ma narrando storie come si addice a un giornalista e la storia di partenza è quella di un amico pediatra di Reggio Calabria che è morto di tumore a 70 anni nel gennaio del 2008, lasciando un caro ricordo in un vasto ambiente del volontariato e della Chiesa reggina. Il ricordo di Lucio ravviva in me quello di altre tre storie che alla sua si legano e che riguardano il patriarca Athenagoras, il cardinale Benelli, la terziaria domenicana Leletta. Storie che invitano a guardare con cautela ai ‘protocolli’ medici ma prima ancora a ciò che da essi noi ci attendiamo“: è l’attacco lento di un mio articolo di un qualche impegno appena pubblicato dalla rivista “Il Regno”. Lo trovi nella pagina COLLABORAZIONE A RIVISTE, elencata sotto la mia foto, con il titolo L’accanimento medico e i santi con i quali lo discuto. Chi voglia sapere di più sul primo di quei “santi”, cioè Lucio Raffa, vada alla pagina CONFERENZE E DIBATTITI e chiami quella del 27 maggio Ricordo di Lucio Raffa medico amico (1937-2008).

Lei scende dal treno e si illumina quando lo vede. Lui ride alla ridente. Io rileggo mentalmente Genesi 3,16: “Verso tuo marito sarà il tuo istinto / ed egli ti dominerà”; e Cantico dei cantici 7, 11: “Io sono del mio amato / e il suo desiderio è verso di me”. Un giorno un biblista mi spiegò che “istinto” e “desiderio” della traduzione Cei 2008 nel testo ebraico sono detti con la stessa parola “teshuquah”. Anche la Nova Vulgata ha un’unica parola: “appetitus”. Come sono ampi questa “teshuquah” e questo “appetitus” e questo “istinto” e questo “desiderio”. Ci stiamo dentro tutti.

«Ci sono patologie della religione che sono assai pericolose e che rendono necessario considerare la luce divina della ragione come un organo di controllo, dal quale la religione deve costantemente lasciarsi purificare e regolamentare»: così parlò una volta il cardinale Ratzinger in dialogo con Juergen Habermas. In altra occasione, parlando con Ernesto Galli Della Loggia, Ratzinger tornò a porre in una relazione positiva cristianesimo e illuminismo: «L’Europa deve difendere la razionalità e su questo punto anche noi credenti dobbiamo essere grati al contributo dei laici, dell’illuminismo, che deve rimanere una spina nella nostra carne. Ma anche i laici devono accettare la spina nella loro carne, cioè la forza fondante della religione cristiana per l’Europa». Partendo da queste affermazioni, elaboro una mia supponente interpretazione dell’appello papale di domenica riguardante la mattanza norvegese: vedila in un articolo pubblicato ieri da Liberal con il titolo Ratzinger e il fantasma. Il fantasma è quello del fondamentalismo cristiano.

Oggi, per la prima volta, ho pregato molto. Ho spiegato a Dio che, a meno che non voglia vedere l’alleanza marxista islamica e alcuni islamici d’Europa distruggere la cristianità europea nei prossimi cento anni, deve far sì che i guerrieri in lotta per la cristianità europea prevalgano“: così Anders Behring Breivik nel suo diario. Un matto sanguinante – questo povero figlio dell’Europa cristiana e secolare – che nell’agire, per fortuna, non somiglia a nessuno ma nel pregare somiglia sì alla maggioranza di noi: prega molto e spiega a Dio quello che deve fare.

Altra giornata di vento a Santa Marinella, altra festa del surf [vedi il post di ieri]. Straordinaria maestria che non serve a nulla ma che ha i suoi riti e i suoi tatuaggi. Arrivano già in tuta e guardano lontano. Cercano di capire il mare prima di avventurarsi. A riva fanno esercizi di riscaldamento. Si legano la tavola al piede e vanno vigili verso il ribollente. Più serie ancora le poche donne. Altri ne arrivano e restano schierati a bordo mare per un tempo e due tempi. Ognuno con la sua tavola, sembrano guerrieri tribali seminudi con gli scudi di corteccia. Quando si profila un’onda più arcuata i riguardanti alzano le spalle e si piegano in avanti come a spiccare il salto. Se l’onda è grande il surfista esprime un desiderio. Anch’io da terra.

Mare mosso a Santa Marinella e raduno di surfisti nella piccola baia della trattoria La Toscana. “Si danno appuntamento in  internet”. Uno sport solitario che non prevede spettatori ma ha bisogno del coro dal quale si stacca il solista. Poi i solisti si incrociano come le voci nel canto e fanno una loro danza tutti insieme.  Mi parlano – io credo – dell’eterna scommessa con l’acqua e con il vento, e di stare in piedi dove non si può e di farlo con slancio. Una volta vidi in Maremma – qui a due passi – due giovani butteri in piedi sui cavalli, anche loro in gara con il vento. Questi butteri del mare vanno in piedi sulle onde e subito cadono, immagini della più veloce giovinezza.

Quel giorno in cui decidemmo di far nascere il nostro Elia, che l’amniocentesi preannunciava Down, uscendo dall’ospedale con il cuore un poco più leggero, il sole ci è sembrato più bello“: parole di Stefania Puecher alle quali dedico un bicchiere di Vino Nuovo. Ringrazio il collega Diego Andreatta che ha narrato la storia nel settimanale Vita Trentina del 26 giugno e me l’ha segnalata.

L’ho incontrato nel villaggio di Mapuordit e ho parlato, dopo tanto tempo, con un sacerdote, quasi una confessione, perchè anche il dolore degli altri mi sgomenta. Ha lasciato tutto per venire quaggiù, e dorme nella capanna di paglia, e va ad attingere l’acqua al pozzo, e predica la speranza: se no, che senso avrebbe questo mondo, questa gente, la sua vita?” Così Enzo Biagi narrava sul “Corriere della Sera”, il 4 marzo 1999, un colloquio con il vescovo Cesare Mazzolari, con il titolo Un prete coraggioso nell’Africa affamata. Dedico ai visitatori le parole di Biagi all’indomani del funerale del caro Cesare nella cattedrale di Rmbek, nel Sud Sudan, dove è stato sepolto. “La mia patria è il Sudan. Ho promesso ai miei fedeli che non li abbandonerò neanche da morto. Loro sanno già dove mi devono seppellire”, aveva detto nel 2004 a Stefano Lorenzetto del Giornale. Il missionario fa sua la nuova patria e lì vuole restare: Mazzolari in Sud Sudan come Matteo Ricci a Pechino, come Clemente Vismara in Myanmar. – Di Mazzolari qui si era parlato il 17 luglio e di Clemente Vismara il 16 luglio. Di Matteo Ricci il 29 maggio, il 30 maggio e il 1° giugno del 2010.